Chi divora la nostra memoria? Non solo non è necessario immagazzinare informazioni nella propria memoria, ma è anche superfluo, poiché basta aprire il proprio cellulare o computer per avere accesso diretto alle informazioni più eterogenee ● Si prevede che nei prossimi decenni l'”amnesia tecnologica” diventerà un problema molto serio, che riguarderà la maggior parte delle persone. ● Quale è il motivo del visibile e massiccio degrado delle nostre funzioni di memoria? Secondo l’opinione di molti neuroscienziati e psicologi cognitivi, la causa va ricercata nell’uso sistematico dei dispositivi digitali, che dovrebbero essere stati creati per espandere le nostre capacità di memoria e liberare la nostra mente da pesi “non necessari”.
Al giorno d’oggi, le persone raramente si preoccupano di memorizzare un numero di telefono, ricordare il nome o dove si trova una strada, fare da soli una elementare operazione aritmetica o memorizzare alcune brevi informazioni, come un numero di telefono o il compleanno di una persona cara.
E perché farlo? È per questo che esistono i vari gadget digitali, o no? Telefoni cellulari, agende elettroniche, sistemi di navigazione portatili, smartphone con computer integrati, ecc., tutte queste moderne fonti esterne di informazioni ci sollevano dalla necessità di utilizzare e stancare le nostre menti. Il risultato, però, dell’uso diffuso e quotidiano di questi gadget “necessari” è il progressivo degrado delle nostre capacità di memoria.
Infatti, un numero crescente di giovani si lamenta di frequenti lacune di memoria e del fatto che, oltre a gravi problemi di amnesia, hanno anche grandi difficoltà a concentrarsi, di elaborare nuove informazioni e capacità di riflessione. In breve, le disfunzioni mnemoniche e i fenomeni amnesici, che fino a tempi recenti caratterizzavano principalmente gli anziani, sono oggi osservati in massa in età sempre più giovane, anche negli adolescenti.
Se escludiamo i singoli casi di malattie mentali e cerebrali, quale è la causa del massiccio degrado di queste funzioni mentali di base? Secondo l’opinione di molti neuroscienziati e psicologi cognitivi, la causa dovrebbe essere ricercata nell’uso sistematico di dispositivi digitali, che dovrebbero essere stati creati per espandere le nostre capacità di memoria e liberare la nostra mente da pesi “non necessari”. Qualcosa che sembrano fare così bene che le funzioni mentali di base degli utenti, come la conversione della memoria a breve termine in quella a lungo termine e l’assimilazione di nuove informazioni, hanno già iniziato ad atrofizzarsi.
“Lettere” di memoria temporanea e permanente
Tuttavia, la riduzione della memoria osservata non è un fenomeno biologico puramente quantitativo, ma anche profondamente psicosociale, perché implica la perdita del “sé”: poiché, per dare un senso al nostro presente e dare forma al nostro futuro, dobbiamo fare riferimento alle “Lettere” dei ricordi del nostro passato. Pertanto, capire i fattori che influenzano il processo di memoria cerebrale — ma anche l’oblio che inevitabilmente lo accompagna — è sempre stata una grande sfida per il pensiero umano.
Perché alcuni ricordi durano più a lungo, forse per il resto della nostra vita, mentre altri scompaiono nel giro di pochi minuti? La risposta a questa domanda cruciale va ricercata sia nel substrato cerebrale dei fenomeni di memoria, sia nelle condizioni operative della macchina della memoria.
L’ 87% dei volontari di età superiore ai cinquant’anni può facilmente ricordare la data di nascita di almeno tre dei propri parenti, mentre la percentuale di successo nella stessa domanda scende drasticamente al 40% per i volontari di età inferiore ai trent’anni.
Il modo esatto in cui le esperienze presenti vengono registrate, consolidate e richiamate dalla memoria è uno dei principali problemi della moderna ricerca neuroscientifica. È ormai chiaro che meccanismi neurochimici e un numero abbastanza elevato di cellule cerebrali (neuroni) siano coinvolti nel passaggio decisivo dalla registrazione temporanea della memoria a breve termine ai “file” di memoria più permanenti della memoria a lungo termine.
Sia la memoria a breve che quella a lungo termine sono catturate nelle connessioni, cioè nelle sinapsi tra i neuroni che compongono le strutture cerebrali e sono “catturate” in specifiche lettere di memoria. Le moderne neuroscienze, infatti, sono riuscite a decifrare l’esatto meccanismo neurochimico che si attiva ogni volta che si registra qualsiasi informazione di memoria nella vasta rete neurale del nostro cervello.
In breve, affinché si formi un nuovo record di memoria, le sinapsi tra i neuroni devono essere attivate. Questa attivazione è ottenuta sia dai segnali chimici che elettrici che questi neuroni si scambiano (attraverso le loro sinapsi).
Nel caso delle registrazioni della memoria a breve termine, questo fenomeno di attivazione neuronale dura da pochi minuti ad un massimo di un’ora. Al contrario, le lettere di memoria più permanenti della memoria a lungo termine risultano dalla ripetizione dell’attivazione di questi circuiti neurali originali. La nostra capacità di memorizzare un numero di telefono, guidare un’auto, ballare un tango o recitare un episodio delle nostre vacanze estive sono alcuni esempi molto familiari delle nostre capacità di memoria. Tuttavia, come dimostrano tutte le ricerche pertinenti, ognuna di queste abilità richiede un diverso tipo di memoria!
Ricordare per un attimo il numero di telefono che ci hanno appena detto è un tipico esempio di memoria “a breve termine” della durata di pochi minuti. La trasformazione di questa memoria temporanea in una memoria “a lungo termine” più permanente (giorni, settimane o addirittura anni) è un passo successivo e coinvolge diverse strutture cerebrali.
La ripetizione porta quindi al progressivo rafforzamento di questi schemi di attivazione tra i neuroni e, in definitiva, al consolidamento della registrazione mnemonica originale, ma non per sempre. Fino alla fine del Novecento, la psicobiologia della memoria (ma anche la psicoanalisi) si basava sul principio rassicurante ma del tutto arbitrario dell’immutabilità delle impronte mnemoniche, cioè della stabilità dei nostri ricordi.
La validità di questo principio iniziò a essere seriamente messa in discussione dopo le ricerche della famosa neuropsicologa Elisabeth Loftus, la quale, dopo aver studiato per tanti anni la cosiddetta “memoria autobiografica”, giunse alla preoccupante conclusione che la stabilità di un ricordo è un mito. Ricerche successive di Karin Nader, Joseph LeDoux e Susanne Sara hanno dimostrato che esiste un solo processo cerebrale di “ringiovanimento” in corso che determina ricostruzioni significative dei ricordi originali delle nostre esperienze.
E le ricerche più recenti confermano sia la plasticità intrinseca di ogni processo di memoria sia la natura dinamica dei nostri presunti ricordi consolidati “per tutta la vita”. Sono anche riusciti a dimostrare sperimentalmente che ogni atto di richiamo della memoria porta a una modifica parziale dei microcircuiti neurali che sono il substrato cerebrale dei ricordi a lungo termine.
Perdite di memoria dovute a cause tecnologiche
Contrariamente a quanto solitamente si crede, la nostra memoria non è un enorme magazzino con innumerevoli e ben ordinati “cassetti”, in cui tutto ciò che conosciamo o sperimentiamo viene registrato (automaticamente) e recuperato (meccanicamente).
Si tratta di una complessa e sensibile rete di circuiti neurali, che pur specializzandosi nella memorizzazione, elaborazione e recupero di informazioni, le loro prestazioni sono decisamente influenzate dal loro utilizzo.
Questo è il fenomeno relativamente nuovo, ma già massiccio, della cosiddetta “amnesia tecnologica”, ovvero il calo delle prestazioni della memoria umana dovuto all’uso quotidiano di mestieri “intelligenti”. Un fenomeno emerso per la prima volta, con la sua ricerca pionieristica, da Ian Robertson, ora Professore Emerito di Neuroscienze al Trinity College di Dublino.
Volendo esplorare come l’uso sistematico delle nuove tecnologie influisca sul benessere della memoria dei propri utenti, Robertson ha analizzato, negli anni 2010-11, un campione abbastanza ampio di 3.000 volontari. Da questa ricerca è venuta l’inaspettata conclusione che: le persone di mezza età “con molta facilità” “battevano” i più giovani in termini di prestazioni mnemoniche.
Infatti, l’87% dei volontari sopra i cinquant’anni ricordava facilmente la data di nascita di almeno tre dei loro parenti, mentre tra quelli sotto i trent’anni la percentuale di successo per questa domanda è crollata al 40%. Per questi ultimi, il ricordo di queste informazioni non aveva senso, poiché nel giorno opportuno si sarebbero assicurati di essere ricordati dal relativo avviso acustico sul proprio cellulare!
Altrettanto sorprendente è stato il fatto che circa un terzo dei volontari più giovani, di età compresa tra i trenta e i quarant’anni, ha ammesso di non conoscere nemmeno il proprio numero di telefono di casa: “conoscevano” il numero del proprio cellulare, e questo è bastato. Ricerche simili sono state condotte da allora in varie parti del mondo e tutte senza eccezioni hanno registrato e continuano a registrare un netto calo delle capacità di memoria nelle generazioni più giovani.
Sembra che nei prossimi decenni l'”amnesia tecnologica” diventerà un problema molto serio, che riguarderà la maggior parte delle persone. Pertanto, oggi dobbiamo pensare come garantire, d’ora in poi, che l’uso onnipresente e costante di macchine intelligenti e l’ulteriore sviluppo delle applicazioni di Intelligenza Artificiale non abbiano come effetto di “perdita collaterale” l’eliminazione dell’intelligenza umana.
Fonte: efsyn.gr