La situazione si è fatta più chiara e angosciante: nei giorni scorsi il cambio di passo militare e politico deciso dal Pentagono con la costituzione di un «gruppo di contatto» formato da 43 Paesi, al comando del quale si sono messi gli Usa, rende evidente che non si tratta di resistere ma di sconfiggere la Russia. Scrive Enrico Euli: “La prosecuzione della guerra con altri mezzi (più pesanti, più distruttivi, più offensivi, più disastrosi, più irreversibili) dà la sensazione al timoniere di divenire più potente e di controllare meglio il corso e gli esiti, ma in realtà li affida (e ci sottopone) a una serie di evenienze e imprevisti assolutamente fuori dalla sua e nostra portata, come avviene in una grande tempesta nell’oceano…”
Chi volesse pretendere di presentarsi come un intellettuale o un politico intellettualmente e politicamente onesto dovrebbe ora ammettere che la situazione si è fatta più chiara. Se prima poteva ancora nascondersi dietro il dito del diritto a resistere, della guerra umanitaria, del sostegno legittimo al debole aggredito, dovrebbe almeno riconoscere che ora la situazione è cambiata. L’obiettivo dichiarato (e non più coperto) diviene quello di “sconfiggere e disarmare la Russia”: obiettivo ancor più complesso e pericoloso di quel “cambio di regime” peraltro retoricamente condannato soltanto un mese fa, quando un Biden in preda a un lapsus veritatis se lo fece fuggire dal seno… Non sono più io e (pochi) altri a dirlo: lo ammettono coloro che, da entrambe le parti, vogliono vincere questa guerra: vogliono proseguirla, e quindi non vogliono che finisca. Perché chi vuole vincere questa guerra, come è sempre più evidente, non può volere che finisca. Può solo espanderla, nel tempo e nello spazio. Non vuole negoziare, sino a quando non vince o almeno lo crede possibile.
A quel punto non si tratterà più di negoziare il conflitto, ma – come alla fine di ogni guerra – solo di trattare sulle condizioni che il vincitore detterà allo sconfitto: il vincitore le chiamerà “pace” e andrà così invece a costituire le basi delle guerre che verranno (come già accaduto a Versailles e Yalta).
Allora, possiamo ora tornare agli intellettuali e ai politici: chiunque di loro, almeno da ora in poi, sostenga le ragioni di una guerra offensiva dell’Occidente contro la Russia e la giustifichi utilizzando strumentalmente le ragioni dell’Ucraina, si rivela per quel che è: un militarista. E va da subito ritenuto responsabile dell’escalation in atto e riconosciuto come colui che ci sta portando dritti dritti dentro la Terza guerra mondiale (nucleare). Lo so che non lo crediamo possibile. E che il non crederci ci permette di proseguire a non agitarci e a non agire. Accade, lo sappiamo bene, anche per le catastrofi climatiche, che pure iniziano a manifestarsi.
Su entrambe le questioni, non si vuole neppure ascoltare le voci di ragionevolezza che pur si levano da più parti anche all’interno delle nostre società, sempre più insistenti, nonostante un regime di guerra sempre più invadente e repressivo.
La prosecuzione della guerra con altri mezzi (più pesanti, più distruttivi, più offensivi, più disastrosi, più irreversibili) dà la sensazione al timoniere di divenire più potente e di controllare meglio il corso e gli esiti, ma in realtà li affida (e ci sottopone) a una serie di evenienze e imprevisti assolutamente fuori dalla sua e nostra portata, come avviene in una grande tempesta nell’oceano.
E soprattutto ci abbandona paradossalmente proprio e soltanto alla ragionevolezza del nemico: dinanzi alle nostre sanzioni e minacce e alla nostra sempre più scoperta co-belligeranza, le ragioni della pace potranno infatti confidare soltanto nella capacità che Vladimir Putin saprà avere di non reagire e di non collaborare all’escalation avviata in questi giorni dalla Nato.
Purtroppo (e con molta maggiore probabilità), le ragioni della guerra si fondano invece sul fatto che Putin (come già accaduto nei mesi scorsi) si lasci provocare e contrattacchi. E se sarà lui – a quel punto ad aggredire Polonia, Bulgaria o Romania (da cui stanno già partendo di fatto armamenti e attacchi anche sul suolo russo e verso cui iniziano -non a caso- a chiudersi i rubinetti del suo gas), il gioco è fatto: la Nato potrà legittimamente intervenire, per “difendersi”, ovviamente. E anche l’uso del nucleare, a quel punto, potrà giustificarsi.
Affidare la cura della propria psicosi di massa a uno psicotico di rango quale è Putin (a sua volta apprendista stregone della psicosi di massa inevitabilmente in corso nel suo paese contro di noi) può farci capire quanto stiamo rischiando oggi (su come la soggettività sociale oscilla tra epidemia depressiva e psicosi aggressiva di massa scrive Franco Berardi Bifo in Il precipizio).
La tragedia sta nel fatto che, anche capendolo, non vediamo come sia ancora possibile fermarsi. Non si vedono reazioni credibili, generalizzate e sufficientemente potenti all’orizzonte per provare a invertire il corso degli eventi. E i precedenti stessi non confortano: nella storia, nessun popolo, nessun diritto internazionale, nessuna organizzazione mondiale è mai riuscito a fermare una guerra, quando i potenti l’hanno voluta e si sono alleati – pur atteggiandosi a nemici – per farla insieme.