La Volontà di potenza, diversamente da Nietzsche per cui è volontà di interpretazione[1], resta per Jünger fondamentalmente connessa alla dimensione dell’azione in guerra e costituisce il criterio di costruzione di una logica dell’azione. Attraverso l‘azione, prevalentemente intesa come attacco, assalto, emerge la trama nascosta del mondo storico, dominato dalla violenza, dallo scontro, dal primato dell‘iniziativa, e del mondo metastorico, la dimensione cosmica, planetaria[2]. La guerra fa scoprire l’esperienza della morte, una morte improvvisa, fulminea che interviene nel pieno del lavorio di potenziamento del combattente[3]. Il singolo, temprato dall‘esperienza bellica, rappresenta un nuovo tipo umano, una razza di combattenti, che potrà diventare una cerchia eletta di combattenti esperti[4]. In guerra ogni azione ed avvenimento, persino la morte, assumono un carattere funzionale. L‘individualismo borghese non può sussistere. L’individuo, ormai divenuto il singolo, viene inserito, nella nuova configurazione, in costruzioni organiche. Il nuovo tipo si richiama ad un altro spazio e ad un’altra legge: una realtà che ha come centro la Forma. Il linguaggio dell‘azione rivoluzionaria dell‘Operaio, che si converte in atto, coincide con la sua «pura esistenza, la mera presenza»[5] e si presenta con caratteristiche particolari: volto-maschera, rigidità del corpo, uniformità dell’abbigliamento.
Nel costume che tende all’uniformità viene così alla luce una nuova, totale immagine del mondo[6]. Il lavoro e il combattimento si identificano. Il campo di battaglia diventa uno Spazio totale per una guerra totale[7]. Le trasformazioni materiali dell‘ambiente di guerra preludono ad un mutamento globale del significato e delle dimensioni dei conflitti. L‘approccio della filosofia della storia di Jünger è catastrofico, apocalittico, nemico di ogni progresso graduale e di ogni escatologia storica. Il rifiuto del progresso si basa del principio della conservazione dell’energia, esposto nel famoso par.1067 de La volontà di potenza di Nietzsche:
La potenza del cosmo rimane sempre la stessa, non ci sono progresso o regresso né accelerazione o decelerazione che possano modificarla. Ciò che cambia sono solo le figure, le forme che la storia, anzi la terra produce incessantemente dal suo profondo[8].
In Jünger la Gestalt si colloca al di là della dialettica, ma non dei contrasti e delle contraddizioni, che non vuole aggirare ma «attraversare spezzandone il fronte»[9]. Lo stesso rapporto con la Forma genera la sovrabbondanza della volontà di potenza. La rivoluzione prepara il transito ad una nuova forma del dominio, «di nuove grandezze di ben altra natura»[10]. La Volontà di potenza diventa, nella forma del dominio, non più una forza elementare, ma una forza storica. Lo scopo principale dell’azione, così concepita, non è la conquista del potere dello Stato, che risulta inutile in sé, senza un cambiamento di forma di segno epocale. Der Arbeiter è dunque un libro impolitico, nell’accezione propria del famoso libro di T. Mann Considerazioni di un impolitico[11], che si schiera a favore della vita contro la politica razionalizzata del fronte del progresso, un libro non-storico, cioè un programma d’azione divenuto libro di storia suo malgrado. Aristocratico come Nietzsche, spregiatore delle folle e dei regimi politici di massa, Jünger è in fondo antiautoritario e antistatale almeno quanto Stirner: il dominio, nell’impianto concettuale di Der Arbeiter, non è il potere statale e la forma dell’Operaio non è quella della legge e dell’ordinamento. Egli mantiene la forte distinzione nietzscheana tra Macht (Herrschaft) e Gewalt, potenza-signoria e potere-violenza. La sua critica anti-istituzionale è incisiva quanto quella di molte pagine marxiane. Egli pensa ad una autonomia forte della forma rispetto al divenire storico. La seguente dichiarazione suona come una condanna di tutti i storicismi: «La storia non produce forme, ma si modifica in virtù della forma»[12]. Essa, scrive ancora «è la tradizione che un potere vittorioso fornisce a se stesso…prendendo le mosse dalla forma dell’operaio, dovrà essere scritta una nuova storia»[13].
La scala di valori che discende dalla nuova forma, che sostituirà i vecchi valori ormai al crepuscolo, avrà un valore relativo, in connessione con le azioni creatrici del nuovo soggetto storico. La direzione del pensiero di Jünger è nietzcheana. La sua indaginee ontologica si misura con le creazioni della volontà: «l’essere è valore in quanto l’ente è volontà di potenza». I valori si collocano “oltre la linea”, un punto che coincide con il nulla, oltrepassando il quale «i valori vengono riferiti ad una forma priva di qualità, ma creatrice»[14]. «Per il nichilista, deserti e foreste vergini sono forme»[15].
La scrittura di Jünger non rinuncia, con toni talora oracolari e profetici, nè al significato cosmico della volontà di potenza, né al suo significato storico-politico. In Der Arbeiter, il lavoro di analisi è circoscritto alla Storia, più propriamente alla sfera politica dello Stato e dell’anti-Stato, intesi come volontà di potenza e interpretati secondo la metafisica della volontà di potenza. Lo Stato è visto espressione della volontà di potenza in cui coesistono la forza (Macht) e il potere (Gewalt) che spesso è espressione immediata di violenza. L‘opera intende revisionare in grande stile i monumenti del passato e attivare un’officina concettuale in cui ogni attività, ed in particolare il Lavoro nell’officina del Tipo operaio, assuma un carattere totalizzante e inauguri la costruzione di nuove categorie dell’essere e dell’agire.
Il vero scontro in politica, il cui segno è la violenza, non è quello “visibile”. Le cronache di questa lotta si leggono sui bollettini di guerra e, anche in tempo di pace, persino durante le trattative per il disarmo, è sempre la logica dell’azione espressione della volontà di potenza a battere il tempo. La scena autentica il cui l’essere e il nulla contendono è la battaglia. Nel teatro di guerra la volontà di potenza si svela, l’invisibile diventa visibile. La migliore critica delle istituzioni, delle ideologie, dell’economia, del sistema delle informazioni e dell’opinione pubblica si realizza in guerra. Essa rovescia l’ordine dei valori riconosciuti e consolidati, perché li espone al potere della morte, al destino sospeso sugli uomini. Lo spazio e il tempo ne risultano sconvolti. Gli eventi storici, analizzati alla lente del microscopio, con l’ordine e il metodo dello zoologo, mostrano allora altri tratti. L’indagine non mira all’oggettività, ma ad una nuova oggettività, che nasce dalla transizione al nuovo Tipo umano. Non influenzato dalla sua “equazione personale” l’analista è freddo. L’anatomia della società civile trova la sua chiave non nell’economia politica, come per Marx, ma nella Forma dell’Operaio. Il suo scopo non è la conquista del potere statale, ma riempire lo spazio del potere, «dandogli un senso»[16], radicando il dominio (Herrschaft) nel terreno in cui si salda «l’unità di sangue e spirito che fa irresistibile la parola»[17].
Il mondo borghese è estraneo alla natura più schietta e innocente. L’Operaio, però, da parte sua, è estraneo al sistema di valori borghesi e rappresenta, nella sua attività più propria, una “forza d’urto”[18] i cui mezzi si sono formati nel combattimento. La logica dell’azione di Jünger si compone di dinamismo, velocità, impeto, assalto. L’Operaio agisce sulla base del rapporto con le forze elementari[19], mentre il borghese si dedica ai suoi traffici, al suo gioco, basato sull’interesse ed ha, dunque, bisogno di sicurezza, di «negare l’aspetto pericoloso dell’esistenza e chiudere ermeticamente lo spazio vitale, in modo tanto impenetrabile da impedire ogni irruzione dall’esterno»[20], escludendo la violenza, almeno sul piano teorico e morale. Il borghese esorcizza le forze elementari, magnifica l’economia e il progresso, è ostile alla guerra. Di qui il paradosso: mentre la violenza regna sovrana sui campi di battaglia, la ragione e la morale borghesi la condannano come inumana e illegale[21]. D’altra parte, per Jünger, l’aggressione è il «fondamento essenziale della guerra»[22]. Estranea al borghese, che non conosce la guerra, la guerra è per l’operaio l’assalto per la conquista della società. La società contrattuale e la libertà borghese sono condannate a morire perché non si adattano all’azione[23]. Il dominio dell’Operaio non sarà però un dominio di classe, ma della Forma. La rottura si produce netta, irreversibile. Non è possibile nessuna continuità tra mondo borghese e Forma dell’operaio. Questi, in quanto forma di un nuovo destino, è in «totale diversità» con la società borghese[24]. La sua sfera propria è l’azione, al di là di ogni trattativa.
L’operaio da massa diventa esercito. Il patto sociale transita ad un “ordine gerarchico”[25], che segna la fine dell’homo oeconomicus. L’azione, ossia il combattimento, si colloca al di sopra degli imperativi e delle norme economiche, oltre il marxismo e la lotta per la libertà che sia «continuamente ravvivata dalla constatazione dello sfruttamento»[26]. L’operaio è il signore di questo mondo, un guerriero guidato dalla logica dell’azione, che è “un nuovo attacco” contro i sistemi politici e i codici morali. Dalla sua forma nasce un nuovo stile e una nuova morale, che si definisce nell’età della violenza, emergendo dall’esperienza della guerra. E’ l’espressione di un essere particolare di un nuovo tipo, che segna la fine dell’individuo: la stirpe del lavoratore-soldato, del milite del lavoro diventerà una cerchia eletta, una milizia scelta[27] che prende a modello un ordine cavalleresco[28]. La Tecnica diventa, in tale passaggio, lo strumento più efficace della rivoluzione totale[29], che produce pienamente i suoi effetti soltanto sotto il dominio dell’operaio, nel carattere di lavoro totale che ha assunto la sua attività. L’eroismo è possibile dunque soltanto in guerra e nel lavoro totale come mobilitazione delle forze materiali da parte dell’operaio.
La mobilitazione totale della prima guerra mondiale diventa mobilitazione del mondo a partire dalla forma dell’operaio e dal suo lavoro. Il soggetto si legittima nell’azione sovrana, cioè nell’azione eroica che “mobilita il mondo“, la quale è l’azione della tecnica attuata nella forma dell’operaio[30]. Certamente la scena è, puntualmente, quella della volontà di potenza e delle sue manifestazioni, che vede contrapporsi le forze nichilistiche o reattive al dinamismo dell’azione eroica. La figura del Superuomo è sostituita e integrata dal Tipo superiore dell’Operaio, dunque tradotta in termini storico-politici. La contemplazione dell’ordine dentro il caos dello scontro, nel fragore della battaglia, si richiama alla visione goethiana, superiore, della Forma e alla visione schopenaueriana di una intuizione intellettuale della Vita. Si realizza così il corto circuito, tipicamente jüngeriano, tra metafisica ed esperienza storica. Il Destino, cui guardava sempre l’orizzonte della Volontà di Potenza di Nietzsche, diventa l’orizzonte del “crescere”, del “più”[31] della “pienezza”[32], l’espressione di un’unità di vita[33]. Niente sarà più irreversibile per la volontà in azione. L’irreversibile contraddice la filosofia della libertà del singolo di Jünger, così vicina all’Unico di Stirner, contro l’uomo, l‘individuo e la massa[34].
Il principio della volontà di potenza della Gaia Scienza e dei Frammenti postumi di Nietzsche è il terreno di nascita della fondazione del realismo eroico. A tale proposito, questa dichiarazione contenuta nel testo de L’operaio è illuminante: «La dimostrazione che della volontà di potenza ha un valore universale si ottiene di primo acchito; la individuiamo in un lavoro capace di minare anche i percorsi più sotterranei di una morale vecchio stile, e di raggiungere ogni sua astuzia»[35].
Crescere diventa essenziale per non decadere e allontanarsi dalle cose straordinarie. Entrare nella “zona pericolosa“ e congiungersi con le forze elementari significa tradurre la forza elementare in forza storica. La forza distruttiva può essere scambiata, confondendola, con le forze elementari, ma queste in Der Arbeiter figurano come espressioni di vita, di energia e non di distruzione. Il borghese esorcizza le forze elementari e la pericolosità del vivere, odia tutto quello che puo’ mettere in crisi la sua proprietà. Il calcolo prevale su ogni altro aspetto della sua vita e la sua morale viene trasformata in una razionalizzazione dei meschini interessi di classe. L’operaio, «una forza in divenire su cui si fonda il destino della nostra terra», rischia di essere ridotto a marionetta dal borghese, per costruire «gli artifici del suo spettacolo»[36]. La forza in divenire è, però, una forza in ascesa». Questa ascensione è l‘azione stessa della volontà di potenza. Dunque l‘operaio sarà un destino, per la Germania e per il mondo. L’interpretazione meta-economica della figura dell’Operaio fa tesoro della necessità ontologica di un primum pratico, di un soggetto unificatore, di un processo di emanazione costitutivo del cosmo, che sia anche il centro dell‘azione. L’ontologia dinamica plotiniana diventa una risorsa di Jünger. La Forma dell’Operaio rinvia a quella del Demiurgo del Timeo platonico o all’Uno delle Enneadi di Plotino[37].
La Gestalt si esprime nei suoi simboli, ma non si riduce ad essi; i contesti in cui essa si presenta nel tempo storico – che per Jünger è sempre il tempo presente di colui che osserva e giudica gli avvenimenti – quali il carattere di officina del mondo, la mobilitazione della materia, il campo di battaglia, le rappresentazioni artistiche, la tecnica come messa in opera del dominio del nuovo tipo umano, non si presentano con caratteri vincolanti per la Forma, che è certamente un’origine, ma non in senso storico. Il bilancio della storia tedesca e della catastrofe tedesca non può far dimenticare a Jünger la dimensione universale della Forma, che si esprime in figure e simboli, ma precede tutte le sue manifestazioni, ivi compresa quella del Superuomo[38]. In ultima istanza essa è il destino dell’uomo che agisce nella storia, cioè l’intemporale che nutre il conflitto-divenire della storia. L’uomo che combatte, infatti, esprime nel tempo la consapevolezza di appartenere all’eternità, come esige la venerazione totale a ciò che custodisce la totalità[39]. Così la Gestalt non vuole essere in alcun modo soltanto una nozione storiografica e teoretica, ma il criterio della critica del tempo presente, dell‘esercizio di una filosofia della cultura che si converte in azione demolitrice delle illusioni millenarie e, in senso rigorosamente nietzscheano, di una genealogia delle menzogne (il liberalismo e il culto dell’individuo e della libertà, il preteso internazionalismo del socialismo che si presenta come continuazione dell’individualismo borghese etc.).
Da questa altezza Jünger analizza la fenomenologia della Zivilization contro cui si era levata la voce di T. Mann nelle Considerazioni di un impolitico. L’illusione più grande da combattere resta la fede nel progresso storico, che riduce la potenza e l‘efficacia dell‘azione e comprime la vita. Contro questa fede consolatoria e mistificante, l’analisi micrologica di Jünger affonda il pugnale. In tal senso ne L’operaio (1932), così come nel romanzo Sulle scogliere di marmo (1939) è presente un‘impostazione neoplatonica ciclica con una forte struttura armonica che costituisce la trama del mondo: gli eventi e i passaggi storici diventano significativi e comprensibili soltanto in rapporto alla Forma e all’emergere del nuovo Tipo. All’interno di questa metafisica della storia, la Forma mantiene la dimensione di totalità e la portata cosmica di una conoscenza profonda dell’Essere. L’organicità della Forma non va confusa con la sua natura biologica, perché la vita in quanto tale non interessa Jünger. Soltanto la potenza che si dispiega nel dominio come mobilitazione totale del mondo (o, in termini sociologici, trasformazione della materia nel processo del lavoro totale) sono centrali. Come in Nietzsche la volontà conferisce al mondo il suo significato così la Forma in Jünger crea tipi, plasma la terra e delimita uno spazio imperiale di dominio, eliminando tutti gli ostacoli e rimuovendo l’immagine di normalità e legittimità storica della realtà quotidiana.
L’impronta della Forma è un conferimento di senso, che per Heidegger, pur rinviando a Platone, è moderna, ma rimane un‘opera che ha la sua patria nella metafisica[40], poichè «l‘essenza della metafisica [l‘occultamento o la dimenticanza dell‘essere nell‘ente] si rivela come il luogo essenziale del nichilismo»[41]. L’azione, per Jünger, non si inserisce in un corso di eventi, in un processo preesistente, ma diventa istitutiva del senso stesso. Questo aspetto demiurgico avvicina senza dubbio Jünger a Platone, ma la logica e la passione dell‘azione, soprattutto sul campo di battaglia, nella fabbrica e nell’agòne politico, segnano un punto di opposizione al platonismo[42]. La storia e il tempo che gli appartiene non possono avvenire che a partire dalla Forma, a partire dal destino che la Forma rappresenta. Essa presiede alla storia, la pre-costituisce e vi pre-esiste. E’, in un certo senso, il Primo e l’Unico e il tempo stesso si presenta come tempo del destino[43]. La metafisica della storia di Jünger si svela come metafisica dell’Essere. A questa altezza non si solleverà mai il borghese. La religione della sicurezza è l’unica sua fede, la difesa è forma secondaria (reattiva) alla quale è costituzionalmente legato. L’impulso elementare alla battaglia e al pericolo è oltre il suo orizzonte. Alla Forma egli oppone, in linea con il suo nichilismo passivo o volontà di potenza reattiva, le forze repressive della morale e del bene, che si prolungano nel progressismo e nell’individualismo liberale.
I limiti della razionalità borghese sono quelli delle mura difensive che costruisce contro il dilagare della spazio vitale: «Esistono due tipi d’uomo, uno dei quali si mostra ad ogni costo pronto alla trattativa, l’altro ad ogni costo pronto al combattimento»[44]. L’azione è, da un lato, certamente, prodotta dall’impulso della volontà, ma la sua simmetria, la sua precisione, la sua esattezza[45] è oggettiva. Dal punto di vista dell’ontologia di Jünger la forma è adagiata nel solco dell‘essere, ed è dunque collocata profondamente sul piano oggettivo[46]. Essa è la ferita di una lama profonda, insieme sigillo e impronta, strette da un rapporto. creativo di armonia e compiutezza. La forma è un timbro e un cònio che assume valore universale ed investe una sfera planetaria di dominio della forma, grazie al «carattere di lavoro totale in cui si scorge il sigillo che imprime l’impronta»[47]. Il realismo e l’astuzia della ragione borghese non possono in nessun caso costituire il criterio dell’analisi dei rapporti di forza. Jünger adotta il modello neoplatonico dell’armonia, che si dà come compiutezza e figurazione compiuta della forma, pur se essa si compie con un’azione violenta. Nel suo pensiero corre una tensione tra l’attivismo del dinamismo vitalistico nietzscheano, declinato nell’impeto della rivolta storica, e la visione goethiana, di derivazione neoplatonica, di una superiore conciliazione, armonia e simmetria delle forze opposte nel cosmo.
Il realismo eroico vive di questo contrasto, che si concilia nell’intuizione del cosmo come vita e volontà di potenza. La forma oltrepassa ogni territorio e ogni opera del passato, gioca con il tempo, il suo croupier, ed entra nella “zona del pericolo“[48]. Si pone “al muro del tempo“, tra tempo ed eternità. Vuole determinare una nuova vita rispetto al futuro, mentre contempla il muro del tempo passato, il cui suono «sembra penetrare, balzando da grande distanza, nel silenzio che circonda i loro simboli frantumati»[49]. La guerra ha segnato l‘inizio della realizzazione della transvalutazione dei valori, modificando il rapporto degli uomini con il tempo e con lo spazio. Lo spazio è diventato teatro di battaglia, officina, spazio di dominio del lavoratore e della rivoluzione planetaria. La vicinanza della morte, del fuoco e del sangue nell’esperienza del protagonista del Tenente Sturm conduce ad «uno stato di buona salute mai sperimentato prima»[50].
Ne L‘Operaio l‘azione del combattente, come già ne Il tenente Sturm, non si colloca soltanto nella sfera storico-sociale, cioè nella politica e nella sua continuazione, la guerra, ma riveste un carattere fondativo, metafisico, in rapporto all‘Essere. L‘azione del Singolo, una figura che sostituisce la persona della civiltà tradizionale e l‘individuo della società borghese, forza il destino. L‘assunto di principio è inconfutabile: l‘essere della terra è il Pòlemos, è impossibile sottrarvisi. Lo sforzo per cui gli uomini si agitano e si risolvono ad agire per un fine, diventa uno spazio nuovo, mitizzato e sacralizzato dalla presenza e dall‘azione del Singolo. Si tratta di una conferma della tesi, sopra richiamata, secondo cui «la storia non produce forme, ma si modifica in virtà della forma»[51]. Il tempo storico, con le sue oscillazioni, rinvia all’Essere come Forma. Nell’azione storica l’iniziativa soggettiva incontra insieme il tempo della vita reale e il tempo del destino, il tempo-tappeto[52]. La Forma si presenta di fronte ai grandi compiti della vita come volontà di potenza, il cui tempo è quello in cui si preparano cose straordinarie. Lo spazio diventa l’officina della mobilitazione totale del mondo, attraverso la tecnica, nella forma del lavoratore, che per Heidegger «corrisponde al progetto della forma essenziale di Zarathustra all‘interno della metafisica della volontà di potenza»[53]. Questo spazio è divenuto per il nuovo Tipo umano il campo di battaglia, definito lo spazio totale o la zona di annientamento della guerra totale[54].
La guerra è, in sintesi, per Jünger, l’occasione per uno studio profondo della natura umana, le cui componenti nascoste si svelano soltanto in condizioni straordinarie. Jünger riduce tutte le forme dell’azione e della cultura, tutta la prassi e tutte le sovrastrutture, all‘esperienza pura della guerra, il combattimento, che trova poi la sua naturale continuazione nel principio della nuova forma dell’operaio, il Lavoro. Si tratta non di semplice riduzione, ma di un denudamento, di uno svelamento. Soltanto nella guerra e nel combattimento, nella mobilitazione totale delle forze e nel lavoro che supera la sfera economica e diventa “lavoro totale” e domina lo spazio, si realizza la metafisica della volontà di potenza. Non esiste altra azione, diversa dall’azione di guerra che possa fungere da criterio e principio di intelligibilità della fase storica, della situazione politica e delle possibilità del futuro. L’azione di base della guerra, l’aggressione, mera esplosione della violenza, è il paradigma della società organica creata dal nuovo tipo di umanità, rappresentato dall’Operaio. La descrizione della guerra, della lotta quotidiana dei combattenti e dello scontro titanico tra gli elementi (la “battaglia di materiali”) apre all‘osservatore questo passaggio: la realtà si offre compiutamente nella guerra, durante le azioni belliche dei singoli e della massa in movimento, grazie ai grandi apparati e al potenziale industriale che la tecnica mette in campo. La guerra è la radice di tutti i rivolgimenti, di tutte le rivoluzioni.
Lo studio del caso Germania consente di generalizzare l’esame ontogenetico a livello filogenetico. Cartina al tornasole di tutte le linee politiche e di tutte le ideologie essa ha dimostrato che l’ordine borghese non è eterno, che gli Stati possono crollare e che la vita si afferma anche nel teatro dell’orrore della guerra, in mezzo alle distruzioni della battaglia. Bisogna ripensare l’ultimo secolo della storia tedesca e mondiale a partire dal teatro plurale della volontà di potenza. La guerra, fenomeno politico e tecnico, diventa immagine dell‘ontologia del divenire, nella forma della volontà di potenza. Si tratta di un‘enorme innovazione rispetto alla metafisica della volontà di potenza di Nietzsche, dichiaratamente inattuale. Il campo della politica è diventato il campo della volontà di potenza, ma non si tratta di un campo chiuso. Jünger mantiene, nella sua visione, una dimensione cosmica della volontà di potenza, una sfera eterna della sua fenomenologia, che è quella in cui si manifesta una ontologia del divenire. Le forme, insomma, sono al tempo stesso tipi ideali, sul piano della filosofia della storia, il cui disegno generale è la conquista della verità della vita e la lotta tra nichilismo e potenza attiva, e ipostasi eterne, sovrastoriche. «L’uomo in quanto forma appartiene all’eternità» e in quanto indipendente dalle tavole dei valori morali mira ad una esistenza più alta e all’affermazione di sé. Dietro il movimento della vita si nasconde dunque un’esistenza perfettamente immobile[55].
Il mondo borghese, fondato sulla ragione e il sentimento, è stato cancellato nelle trincee della prima guerra mondiale. Si apre un’età di transizione. Il tempo che viene è quello nel quale «vedremo, sentiremo e agiremo di nuovo sotto il dominio delle forme» ed in politica diventa decisivo «porre in discussione forme»[56]. Se la forma racchiude un Tutto, che comprende più della somma delle sue parti, la politica si richiama a questo surplus, alla volontà di superare se stessi, che è la volontà di potenza, il cui teatro è la storia: «la Storia è qualcosa di più; essa è forma, con la stessa forza e certezza con cui essa ha per contenuto il destino di forme»[57]. L’azione e la sua forza, come nel motore, simbolo dell’epoca, diventano sinonimo di precisione e la “gaia anarchia” di “ordine intransigente”[58]. Esplosione e precisione geometrica non dovranno più essere termini contrapposti. La volontà di potenza tecnica, che l‘Operaio, come nuovo Tipo, realizza, distrugge le illusioni progressiste. La tecnica diventa l’armatura per battaglie e rivolte e L’Operaio è «il veicolo della più schietta sostanza eroica che determina una nuova vita»[59]. Questa è la sostanza della logica dell’azione, che è operante e rappresenta la vera rivoluzione, che si scontra con il visibile e il nascosto[60].
Ogni enunciato di Der Arbeiter, come un manuale di strategia militare, contiene un programma d’azione rivoluzionaria, imperativi e schemi operativi per la lotta in corso che sintetizzano la logica dell’azione. Al tempo stesso, è permeato da una potente vocazione metafisica, sottesa alla descrizione della scena dello scontro delle forze elementari. I criteri di questa visione globale della storia, della politica e della guerra, come continuazione della politica e scontro tra “forme”, provengono dalla metafisica della volontà di potenza, trasformata in dominio della forma dall’Operaio-soldato. La stessa presenza dell‘operaio segna il suo dominio. Sembra che Nietzsche abbia trovato in Jünger il suo profeta politico, il diretto continuatore della metafisica della volontà di potenza. La guerra in sé, però, non genera la potenza, che risulta dalla connessione tra uomini, mezzi e spazio. L’Operaio, a partire dal fronte bellico in cui si impegna come soldato, è il rappresentante di una forma originale, molto più di una classe sociale. E‘ una nuova umanità «scelta dal destino per esercitare il dominio»[61]. Nelle trincee si è stretto il nesso tra azione e destino per milioni di uomini, perché «la libertà di chi agisce vede se stessa come singolare espressione della necessità»[62]. Dalla guerra emerge l’operaio che scolpisce la nuova èra. La sua volontà ccreatrice scolpisce la nuova èra. Quel sapore della libertà, mai spento, genererà frutti nella dimensione organica del lavoro, un’azione in cui i detentori della forza, nell’attuare il loro compito storico, si connettono al loro tempo e al loro spazio[63]. Il paesaggio bellico è il simbolo guerresco del rapporto dell’operaio col mondo del Lavoro[64].
Il cambiamento della scala di valori, con la fine della “sicurezza” borghese, marcano la transizione dal deserto del nichilismo al trionfo della volontà di potenza, divenuta volontà di Forma, nella quale l’operaio riempie lo spazio del potere dandogli un senso[65]. La critica dell‘esistenza borghese, delle nozioni di massa e di individuo propri del liberalismo e della democrazia, inaugura l‘era delle masse e delle macchine, l‘era dello spazio imperiale, cioè del dominio reale, cioè dell‘inserimento dell‘individuo, trasformatosi nel singolo del XX secolo, nel carattere di lavoro totale di ogni attività di mobilitazione[66]. Il bilancio filosofico di Jünger è sorprendente: le forze elementari non agiscono fuori della legge del Nòmos della Terra, che è la guerra, e non possono confondersi con il caos puro. Esse costituiscono il conflitto su una scena aperta dal divenire. La legge del cosmo, che è come nei Frammenti di Eraclito, Pòlemos[67], diventa in Jünger l‘essenza metafisica della Forma, unica nella pluralità dei suoi simboli e delle sue espressioni. La transizione in corso, una vera e propria transvalutazione dei valori, risulta da un principio che, pur invisibile, è l‘unico realmente operante.
Il tempo storico, attraverso la logica dell’azione, si connette al Destino della Forma, che si afferma proporzionalmente al disfacimento dell’età precedente, l’età nichilistica del “dominio apparente” della borghesia, riflesso del progressismo liberal-democratico. L’essere del Tipo operaio, generato dalla Forma, è l’azione, il suo stesso stile di vita, la cui manifestazione produce la sfera di dominio che gli appartiene. La I guerra mondiale non segna soltanto un’accelerazione della Storia, con le sue rivolte e rivoluzioni, ma un passaggio epocale: diventa impossibile parlare di massa e di individuo e della loro opposizione nella società liberale. L’individuo è ormai inserito nel carattere di lavoro totale di ogni attività di mobilitazione[68]. Bisogna, per Jünger, formarsi un‘immagine metafisica della guerra e comprendere come in essa «l‘epoca volta al futuro divora l‘epoca declinante»[69]. La lente metafisica consente una visione nuova: il fattore Langemarck, cioè l‘annientamento, attraverso la morte meccanica, del valore degli individui in un repentino olocausto, significa un dissidio cosmico, tra fuoco solare e fuoco tellurico, tra due epoche e due tipi di uomini, che ha distrutto l‘idealismo e il valore individuale[70]. La Mobilitazione Totale che si realizza con la tecnica è il modo in cui l‘operaio, questa forma distruttiva indistruttibile, centro immutabile di una vicenda più complessa, mobilita il mondo, padroneggiando la Tecnica. Il mondo stesso così riflette la Forma dell‘Operaio, che promuove la Mobilitazione Totale, cioè la «trasformazione della vita in energia» in ogni campo. In tal senso la prima guerra mondiale può essere definita «una colossale mobilitazione del mondo della materia segnata dal destino»[71].
Dopo questa guerra tutto il mondo assume il carattere di un‘officina[72] e la tecnica emerge come il più incontestabile strumento di rivoluzione totale[73]. Scompaiono con l‘individuo le masse borghesi e si crea un nuovo campo di forze, focalizzato intorno alla figura dell‘Operaio[74]. Lo spazio di officina, spazio tecnico del lavoro totale, così diverso dallo spazio vuoto e inerte (chora) del Timeo platonico, corrisponde alla forma dell‘operaio e si colloca nel percorso ineluttabile della forma di cui il potere politico rappresenta soltanto un‘espressione[75]. Lo stesso dominio planetario della forma, nel dominio che la forma dell’operaio realizza nello Stato organico del lavoro, cioè il dominio planetario dell’Operaio, è un simbolo della nuova forma e richiama la presenza della categoria della Totalità[76]. Combattimento e Lavoro sono il terreno in cui si svolge, sviluppandosi, la logica dell‘azione, dell‘assalto. La mobilitazione della materia e dell‘uomo trovano il loro punto di incontro nella realizzazione dello spazio tecnico totale e nel singolo come Totalità del Tipo o della Forma, che riveste il ruolo centrale[77] La virtù del padroneggiare la Tecnica e, attraverso essa, esercitare il dominio sulla terra «è ancora una virtù bellica, una continuazione della guerra con altri mezzi», rovesciando la celebre formula di Clausewitz. Tale permanenza dell‘elemento conflittuale nel carattere di lavoro totale che acquista l‘azione dell‘Operaio celebra il trionfo della Mobilitazione Totale[78], il raggiungimento delle vette più alte dell‘azione, il “più“ della volontà di potenza. La logica dell‘azione nel Lavoro totale è quella della precisione geometrica unita al massimo di energia. Si tratta della “misura“, che appartiene ad ogni movimento organico[79], nella vita e nella produzione di forme, secondo la filosofia della natura neoplatonica. E‘ un ordine che si trasferisce al tipo umano, in cui la cultura e il lavoro si fondono nell‘attività creativa e il cui stile uniforma il mondo.
NOTE
[1] G. Vattimo, Le avventure della differenza, Garzanti, Milano, 1980, p. 94 e 97 sgg.
[2] La descrizione jüngeriana della guerra si presenta con accenti espressionistici, come estetica della morte, vissuta nell’esistenza individuale e nella comunità di combattenti che costituiscono una «compagnia per la vita e per la morte» (E. Jünger, “Il Tenente Sturm”(1923), Il Sole 24 ore, Milano, 2012, p. 9). Il centro della sua riflessione sulla morte, colta dalla parte del soggetto singolare, è svolta nel racconto Sturm, cui Der Arbeiter è, dopo gli altri scritti sulla guerra, ed in particolare La battaglia come esperienza interiore (1922), il corrispettivo oggettivo e corale.
[3] E. Jünger, L‘operaio. Dominio e forma, Guanda, Parma, 1991, p.101.
[4] Ivi, p. 102-103.
[5] Ivi, p.125
[6] Ivi, p. 103-104.
[7] Ivi, p.133.
[8] A. Gnoli, F. Volpi, I prossimi titani, Adelphi, Milano, 1997, p. 20 e la conferma di questo assunto. «Tutto è esistito da sempre, e tutto è nuovo in maniera decisiva», in E.Jünger, L’operaio, cit., p.78. Cfr. F. Nietzsche, La volontà di potenza, Bompiani, Milano, 1995, pp. 561-2.
[9] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 74.
[10] Ivi, p.65.
[11] T. Mann, Considerazioni di un impolitico, Adelphi, Milano, 2005.
[12] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 75.
[13] Ibidem.
[14] Ivi, p. 77.
[15] E. Jünger, Oltre la linea, Adelphi, 1989, p. 65.
[16] E. Jünger, L’operaio, cit., pp. 61-2.
[17] Ivi, p. 13.
[18] Ivi, p. 16.
[19] Ivi, p. 19.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 20.
[22] Ivi, p. 21.
[23] Ivi, p. 23.
[24] Ivi, p. 26.
[25] Ibidem.
[26] Ivi, p. 29, cfr.30.
[27] Ivi, pp.102, 103, 185, 239, 258.
[28] Ivi, p. 239.
[29] Ivi, p. 151.
[30] Ivi, pp. 168-9.
[31] Ivi, p. 35.
[32] Ivi, p. 65.
[33]Ivi, p. 67.
[34] M. Stirner, L‘unico e la sua proprietà, Mursia, Milano, 1990. Espliciti i riferimenti a Stirner in E. Jünger, Tipo, Nome, Forma, Herrenhaus, 2002, p.133 e al centro del romanzo utopico Eumeswil, Guanda, Parma, 2001.
[35] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 64.
[36] Ivi, p. 26.
[37] L’origine della nozione di forma si può individuare nel Goethe naturalista e nel paradigma biologico vitalista leibniziano. Sul concetto di forma e morfologia in Goethe v. J.W. Goethe, Morfologia, ed,. Aragno, 2013. Confrontando le Enneadi di Plotino, gli Elementi di teologia di Proclo e l’Operaio si riscontrano notevoli convergenze circa l’unicità, totalità, potenza, originarietà, dinamicità, azione, eternità della Forma. La nozione di Forma rinvia a Platone, ma non è un èidos con lo stesso valore ontologico del platonismo.E’ azione in rapporto al mondo, costitutiva della Terra come scena planetaria del Dominio. Non è confinata all‘immobilità, ma realizza la volontà di potenza e impone un dominio, cioè un ordine delle cose. La caratteristica demiurgica della forma dell’Operaio, il cui principio è il lavoro, ha fatto pensare ad una interpretazione fascista della volontà di potenza, in chiave soggettivistica ed eroica. Ma l’Operaio non fonda una nuova civiltà di cui è il padrone politico, egli rappresenta soltanto una nuova forma, cioè la transizione ad una nuova epoca i cui lineamenti sono prefigurati dalla comunità dei soldati al fronte. Sull’ineffabilità della Forma cfr. E. Jünger, Tipo, nome, forma, cit., pp. 85 sgg. E cfr. Plotino, Enneadi, Bompiani, Milano, 2000, V2 e V3 e Proclo, Elementi di Teologia, Lanciano, Carabba, 1917.
[38] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 41.
[39] M. Heidegger, La questione dell‘essere, in E. Jünger, M. Heidegger, Oltre la linea, Adelphi, Milano, 1989, p. 124-5.
[40] Ibidem.
[41] Ivi, p. 150, p. 153.
[42] Nel romanzo Sulle scogliere di marmo (1939) sembra che la via iniziatica, esoterica, della purezza dell’Ordnung prenda il posto della lotta politica, nella ricerca di un’armonia che l’impeto della violenza non può certo rendere. Cfr. E. Jünger, Sulle scogliere di marmo, Guanda, Parma, 2002.
[43] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 181-2.
[44] Ivi, p. 37.
[45] Ivi, p. 141.
[46] Ivi, p. 42.
[47] Ivi, p. 216.
[48] Ivi, p. 43.
[49] Ivi, p. 57.
[50] Ivi, p. 52. Cfr. E. Jünger, Il tenente Sturm, Guanda, Parma, 2000.
[51] Cfr. supra, nota 12
[52] E. Jünger, L’operaio, cit., p.181, 188.
[53] M. Heidegger, La questione dell‘essere, in E. Jünger, M. Heidegger, Oltre la linea, cit., p.125.
[54] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 133
[55] Ivi, p. 34.
[56] Ivi, p. 32.
[57] Ivi, p. 33.
[58] Ivi, p. 34.
[59] Ivi, p. 44.
[60] Ivi, p. 98.
[61] Ivi, p. 62.
[62] Ivi, p. 55.
[63] Ivi, p. 57.
[64] Ivi, p. 56.
[65] Ivi, p. 62.
[66] Ivi, p. 138.Come ha rilevato Heidegger, il lavoro totale è intrinsecamente connesso e pervade ogni forma di mobilitazione, attraverso la tecnica, e, così «è identico all‘essere nel senso della volontà di potenza» (M. Heidegger, La questione dell‘essere, in op.cit., ed.cit., p.129-130).
[67] V. l‘aforisma B53 Diels-Kranz in. G. Colli, La sapienza greca. III. Eraclito, Adelphi, Milano, 1993, p. 35.
[68] E. Jünger, L’operaio, cit., p. 138.
[69] Ivi, p.141.
[70] Ivi, pp. 99-100, p. 140.
[71] Ivi, pp. 147-8, p.157 e si cfr.p.170 e 140.
[72] Ivi, p. 153,169.
[73] Ivi, p. 151.
[74] Ivi, p. 143.
[75] Lo spazio tecnico diventa spazio di dominio imperiale e planetario. Cfr. E. Jünger, L’operaio, cit., pp.178 e 215.
[76] L‘antropologia e la visione della politica di Der Arbeiter, che si vogliono scientifici, devono molto a Machiavelli: «La realtà è determinata non da norme morali, ma da leggi» (p. 177). L’analisi reale dei rapporti di forza è la ricerca di prova nel mondo dei fatti (p. 253, cfr. 264). La Tecnica, in questo passaggio epocale, non è solo l‘insieme dei mezzi strumentali, ma il vettore della conversione dell‘azione bellica in prassi produttiva. L‘altro è la Mobilitazione totale, già sperimentata in guerra (cfr, p. 147).
[77] E. Jünger, L’operaio, cit.,p. 158.
[78] Ivi, p. 158. Il lavoro occupa il centro della scena e diventa sintesi di azione e precisione. La Forma dell‘Operaio che mobilita il mondo esercita il dominio totale padroneggiando la tecnica e la scienza, che, nel processo con cui giungono alla loro perfezione, raggiungono «un‘alta misura di precisione matematica» (p. 162).
[79] Ivi, p. 207.