Poesie per un uomo 2/3

La raccolta di Poesie per un uomo di Armanda Guiducci si compone di novantacinque poesie. Questa Domenica pubblichiamo le seconde trentatre con il seguente ordine:

L’acqua che ci resta
Congedo alla mezzanotte
Una voglia scritta sulla neve
Due tempi
Il richiamo della civetta
Il corridoio
Un’ora
Non ditelo
Le rabbie
Il sí e il no
L’inizio del giorno
Le fila
Mentitori
Il ramo
Un giorno
Plenilunio
La forza di mutare
Come?
Fedeltà
A chiusura di libro
Il sipario
Lo scotto
Capirti
Sogni
La stella della Gallura
Le api
La nostra eternità
Il mare
Se tu sapessi
Lo scatto
Il tempo e la luce
Farò da me
Orizzonte corporeo

L’acqua che ci resta

Sarebbe ora di ricominciare
tutto daccapo, amore mio.
Adesso, sapremmo cantare,
a gola piena, i giorni sciupati
in timori ombrosi, in gioie
offese, in turbamenti oscuri.
Invece, è quasi ora di finire.
Sulla terra, si dice: come l’acqua,
la vita bagna una volta sola.
Aggrappiamoci alla sponda,
allora. Fissiamoci più a lungo,
goccia per goccia, nei minuti,
e chiara fugga, l’acqua che ci resta.

 

Congedo alla mezzanotte

È la mezzanotte d’un giorno come
tanti, corsi alla rovescia
nel passato che ingrossa. Nere onde
assottigliano il futuro.
Come gocce d’acqua d’un oceano
svuotato dal secchiello d’un bambino,
scorrono le lancette.

Di tre minuti è già vecchia
questa mezzanotte, e tu mi manchi,
gioia del mio tempo – e a questo giorno
non c’è recupero, domani, mai.
«L’assenza non esiste», «Vale l’intreccio:
il portarsi l’uno dentro l’altro, vale.»
Taci. Malvissuto giorno
e gioia magra della mia coscienza,
mi congedo da voi: mi affido,
come un insetto sciocco contro-vento,
alla mia lingua di sabbia sull’oceano.

 

Una voglia scritta sulla neve

Impetuosa voglia di te ragazzo,
quella volta che scagliavi in alto il braccio
solide palle volavano, spruzzi
bianchi come le nostre gaie risate
– ricordi come fummo freschi allora?
Più freschi della neve ci amavamo.
Ah, voglia di giocare più d’allora
che con l’illeso candore scherzavamo.

 

Due tempi

La femminile immagine del mondo
che mi separa da te (e a te mi attrae)
segue un tempo diverso … Tu, sei indenne
dalla corsa del pendolo incessante.
Io sono invece il rigido pendente
che insegue e frena il tempo, lo trattiene
a un tratto della curva, lo martella
in bilico sonoro – o cosi crede,
trascinato a un moto in cui s’alterna
un tempo che rinasce a un tempo morto,
senza respiro … senza una pausa, mai,
per volare più alta – dove l’uomo,
che prescinde dal tempo (o che lo astrae),
a testa o croce sfida la sua morte.

 

Il richiamo della civetta

Perfidamente nudo, e non una parola,
col piede dai la spinta … e oscilla, il letto,
fra un silenzio e l’altro. Tenui anelli di fumo
sorreggono quel volo, il tuo corpo che inclina,
che provoca, infantile. (L’aria, fosse una donna,
starebbe meglio al gioco.) M’avvicino. Sospiri.
Sento il piede puntarsi, lo strappo della fune,
il dorso che s’inarca. Tutta una grazia astuta,
una cattura. Finta fanciullezza o vera,
che altra arma ha l’uomo? E di colpo si piega,
il fianco, come un’anfora colma sotto il getto.

 

Il corridoio

Mi incominciò il tuo sguardo, quella volta.
Fu in fuga un corridoio che s’aperse
di stanza in stanza: l’ultima, perduta
cosi lontano: un punto di luce:
forse una finestra? Una finestra
riflessa curva, rimandava l’occhio
– invito alla lunghezza d’un percorso.
E camminai. Conobbi il volo strano
che slancia avanti i corpi più pesanti
– come un bimbo che tenta: e ai brevi
passi, enorme, di colpo, lo spazio
si spalanca. Che lunga strada, è stata
questa dentro di te: giungerti al cuore
per rimanerci, chiara finestra, io.

 

Un’ora

T’avrò avuto solo un’ora, questo giorno.
Un’ora: il tempo esatto per rientrare
da una notte in uno spoglio mattino
e separarci. Ma su pendii infiniti
– tutti diversi – cade la stessa luce;
ed un buongiorno non è che un addio;
e perciò … Divergano le chine, i gesti,
i fatti. Io, serberò l’immagine di te
l’istante (o la scintilla) di quest’ora
rubata alle cadenze dei destini
che un chiarore ti corse, curvò i fianchi
timidamente, e l’onda delle natiche
– con lo stesso occhio strano che contempla
splendere stelle morte e abbrevia il tempo.

 

Non ditelo

Basta. Son stanca di mitiche parole,
non dite insieme: felicità e amore,
siate pietosi, prudenti … No, non ditelo.
Solo i ragazzi lo dicano o gli sciocchi,
o quelli mai toccati – e pronti
soffiatori di girandole nel vento.
Non perché l’amore passi. Perché muta
la pienezza in noi, complica il cuore
la gioia data, la gioia ricevuta.
La stessa gioia, dunque, ora ti lega …
e sempre hai colpa, sempre, in quest’intrico.

 

Le rabbie

Soffri la morte per rabbia della vita,
tu – ch’è troppo breve. E dici caro
il bizzarro, il libero futuro
che ti protrae curioso all’infinito
(non fosse quella porta – chiusa in faccia,
villanamente, il penultimo momento).
L’amabile futuro! Forse si può
essere fedeli a chi ci tradirà?
Ho altra rabbia, io; e quella morte
che tu volgi al futuro – senti?, è qua,
un sonaglio agitato nelle cose
che ancora amiamo. Questo tuo anello …
Scintillerà oro oltre la tua mano;
di sole in sole correrà le dita
e tu – sogni un bagliore che ti spegnerà.
Solo il passato ci è dato fedelmente.
Per sempre – abbiamo quello che si perde.
Non accusarmi. Vedi, siamo pari.
Quello che conta, è vivere con rabbia.

 

Il sí e il no

Il sí e il no in cozzo furibondo
maschilmente contendono la vita.
Tu vivi quest’assalto ora per ora,
godi l’odore selvaggio della rissa.
Io, che vorrei che il tempo si pentisse
d’alterare cose chiare o perfette,
e si fermasse – dove splende piena
la luce che tornisce – a ritroso
sognando l’impossibile, inseguo
luci perdute sopra bianchi fogli.

 

L’inizio del giorno

Stanotte, ho sognato che sognavo,
e (se eri tu) non eri che un sogno.
Irreale figura, quale passione
stringeva a me la carne fluttuante.

Ed ora sono sveglia … e tu respiri
il tuo fermo sospiro regolare.
Sprofonda il corpo, obliquo, nel lenzuolo.
Robusto, esiste, il braccio, sopra il petto.

Vibra la tua spalla. La nuca, posa
un forte mondo chiuso, sul guanciale.
Davvero esisti. Ancora oggi esisti.
A me basta, per sfondare il mattino.

 

Le fila

A volte, tiro le fila della vita,
i vivi e i morti, i sogni e le speranze,
l’allegria che non torna (come mio padre),
quello che ho avuto, e quel che non avrò.
Ma la feroce speranza e l’orgoglio
che travisano o attenuano il futuro,
mi prendono alle spalle, a tradimento;
e la mano cede, cede nel groviglio,
riaffonda fra i fili, e i pochi tesi
confonde coi molti per sempre allentati.
Come sarà, mi chiedo, quando davvero
il conteggio correndo alla rovescia,
resterà solo un minuto per sapere?
Qualcuno mi imponesse: Svelta!, che direi?
Direi, io credo, soltanto il tuo nome.

 

Mentitori

Non lungo tratto ci segue l’ombra sbieca
che ci concede il sole. Noi, non abbiamo
neppure cuori fatti per durare.
Ma amare, è mentire una durata
– in qualche modo, sempre. Forse, donare
anche l’eterno, quello che non s’ha.

 

Il ramo

Ondulati baci e rosso fiore
della tua bocca, io sono il ramo
che una lontana primavera scelse,
ora l’autunno tocca … ma punta
al variabile cielo il suo scarlatto
dondolío orgoglioso – a sfida
della neve, della sua spada cieca.

 

Un giorno

Un giorno, quando l’amore ricrescerà
nelle braccia della gente di vent’anni
– senza piú vergogne e paure, andremo
– grigi, spiati dalla morte – per le strade
dove passeggiano gli amanti. Si dirà
di noi: «Poveri vecchi!, in quale tempo
di frette senza senso, di stolti miti,
e di volgari gioie, si sono amati.
Quale fatica, la loro, di durare».

Se diranno ciò, saremo compensati
di avere patíto, per credere; vissuto,
nonostante; e, nonostante tutto, amato.

 

Plenilunio

Vengono giorni come fasi di luna,
e brillano – termini di un ciclo
di silenziosi trapassi.
Dopo luci calanti; macchie
d’ombra; e silenzi stringenti,
ti sfuggi in alto il viso,
quel giorno. Ma, lenta, la luce
esitava fra te e il tuo pensiero.
E a ritroso lo sguardo
– riondeggiando indeciso –
lacerava ultime nuvole,
risaliva lo spazio del viaggio.
Un varco – cercava un varco,
il volto contratto: il solo
– il tuo – dischiuso nella notte.
«Ah!, io so per sempre, ora … »
timida ira disse, nella voce.
Cercava, il volto contratto,
la luminosa ombra di te stesso.
«Basta. Devo ascoltarmi. Ormai,
io lo sarò – quello che sono.»
Fu un barlume … E sfolgorò,
di colpo – intero – il viso
– giovane e antico, quello di cui splendi.
«Amo la vita. Non accetto il mondo.»

 

La forza di mutare

Antico sogno di fermare il sole
anche se tutto muta, e tu lo sai.
Sei già mutato – mentre questa voglia
ti trattiene le palpebre socchiuse;
e un passo in là è corso l’universo,
eppure … Se, come l’acqua in corsa
silenziosa, o il grano, o l’erba
che non danno suono, anche tu muti
e risorgi più volte in una vita
(e sempre ti riaccetti, non ostile),
all’altro, non concedi di mutare,
all’altro che tu ami. Come soffri
del suo cuore, che il sole non inchioda
fra le stelle fisse, e che si strappa
un balzo da te e, tese indietro
si lascia le tue braccia pigre … Come
fraintendi, come offendi l’amore.

 

Come?

Hai ragione. L’amore non è eterno.
Neppure il sole. L’universo finirà
tutto d’un tratto: un’esplosione cieca.
E noi, contiamo giorni, ed annodiamo,
filo per filo, dei corti destini.
Che tempo breve per rapidi sussurri
fra l’uno e l’altro colpo delle forbici.
Come amarsi? Come amarsi? Dimmi.
Rispondi cupo: «Sapendo di morire.
Con rabbia, disprezzo, a tradimento».
Io, lo sapevo. Ed è perciò che amo.

 

Fedeltà

Non ero nata per essere fedele
dato che, nati a patto di morire,
l’infedeltà è la legge della vita

e l’infrazione e lo sgarro la rivalsa
contro la morte – uniforme durata,
obbedienza, rispetto delle regole.

Nella mia vita precedente, infatti,
non lo sono mai stata con nessuno.
L’amore, io pensavo, è come un fiume

che non si placa, che corre tra due sponde
– perpetuamente in là, sempre più in là
spinto e diviso. Come un fuscello amavo

e fui riamata. Un forte ponte apparve:
uno slancio che univa le due rive.
Fu la struttura portante dell’amore

a fermarmi: non codice o natura.

 

A chiusura di libro

Quando la cerniera in uno scatto
mozzerà l’ondeggiare del respiro,
io giacerò come un libro appena chiuso:
mille pagine astratte; un senso solo.
Fissa, sfuggente: il nerbo d’un racconto.

E tu – che mi avrai letta per intero,
saprai (per il distacco delle fini)
ciò che ora nega l’occhio irrequieto
respinto in corsa da tronca riga a riga.
Afferrerai il tutto: ciò che io fui
– d’un colpo solo. Senza più esitare,
ammetterai: non raccontò che amore.

 

Il sipario

A volte, un angolo di strada
o una svolta; una casa riemerge,
come dietro un sipario strappato
su un ultim’atto – e una fitta mi inchioda.
Furono, quelli, tempi felici …
Ma perché? io mi dispero. Sono viva,
tu vivi … c’è della vita avanti,
avremo giorni baci e forse figli,
sono ammalata piagata dai ricordi
peggio d’una vecchia che non gode.
Io baro. Sono vecchia. Non ho fede,
più. Non amo, ma temo, il mio futuro.
Quindi, ho più colpa d’una vecchia,
e mi sdento, m’imbavaglio coi ricordi.

 

Lo scotto

Quale incertezza, quale ottusa forza
il desiderio che sottrae l’amore
per le labili forme, ombre d’un giorno
– scivolanti, sul muro d’una vita.

Ma, senza la strisciante tentazione
che offende la durata; o il dolore
di sapersi brevi – non tremerebbe,
la mano, nel ferire … Non sarebbe,

amare, la più terribile pietà.

 

Capirti

Lasciami almeno il tempo per riflettere …
il tempo fermo, o l’intervallo ostile
che ci separa dalla forza d’essere.
Dai tempo al tempo, alla mimèsi strana
che astrae l’amore e ne ripete il gesto
congiungendo i pensieri come i corpi.
Lasciami la gioia fredda d’abbracciare
non te, ma pensieri di te. D’unirli,
per capire il distacco – chi tu sei.

 

Sogni

Se non ti avessi più, ti sognerei,
caro, nei sogni fuoco alle mie notti.
Cosi, ogni notte, ritornando,
mi brucerebbe le ossa più del sole.
La vita sarebbe capovolta,
come una pianta nell’acqua. Meglio questo,
patire da guanto rovesciato,
che avere stretto il vento, sempre sola.

 

La stella della Gallura

Stanotte, la tua morte nel mio sogno
m’ha svegliata alla gola. Tu, riposavi intatto.
E io squarciata a mezzo, io contesa
fra un sordo senso di realtà irreale
e la grave irrealtà (pesante di dolore
da strapparci negli occhi pianto vero),
invano ti ho percorso con lo sguardo
come il cielo sul mare: alla finestra,
la notte aveva mosso il suo disegno.
E, nella pura cavità brillando,
bassa (più della luna all’orizzonte, bassa),
una stella, o un pianeta mai veduto,
un irruente sole (altra visione
degli spazi spettrali dentro noi)
folgorava lontanissimi universi,
la mia sorte fra mondi sconosciuti.

 

Le api

è un chiaro giorno, tessuto di fiori,
e di api gialle, inquiete.
Dividi il gioioso pentimento
dell’autunno confuso, che indietreggia,
insieme a me … La gaia luce
pretende miele anche dagli amanti.

 

La nostra eternità

Verrà un giorno – mi insegni talvolta –
che gli uomini godranno anni più lunghi
dei nostri, tanto brevi. Saranno
quasi eterni … Forse – chissà – eterni.
Mi rosicchio le unghie (un vizio
contratto da bambina – per colpa
delle favole). Dunque … saremo eterni?
Non noi. Noi siamo nati troppo in fretta.
Ma quelli che verranno … – Eterni
sulla terra. La terra! Quale al di qua …

E noi, segnati dalla vita breve,
che cosa avremo in cambio? La luna.
La luna, s’avvicina a grandi passi.
Solamente delle sabbie smorte
e, per il resto, paradisi incerti.

Non sospirare. Ascolta: giorno
per giorno, si raccorcia la distanza
dalle stelle – la fissa azzurrità.
E quando il granchio volerà sul mare
sotto il sole alto, a mezzanotte;
e, fra le foglie, i pesci volanti
scuoteranno frutti; con canzoni
– la lepre bianca si rizzerà a sentire –
si udranno dai boschi le sirene
passeggiare – allora, anche io e te
daremo fiore nell’eternità.

 

Il mare

Forse, tutto è avvenuto oltre il ricordo,
nel tempo che ignorai essere il tempo
(e tu, futura dimensione, né un sospetto
né un presagio in un sogno, da sfiorarmi).

Chissà che amore esplose silenzioso …
– come una stella che ammicca, la cui luce,
evento e soglia d’un tempo che a noi sfugge,
incendi vasti d’immortalità ci addita.

Forse nel mare, universo capovolto,
luci trafissero, inquietarono le onde
a propagare segnali dall’ignoto.
O un’isola proruppe, ed una dea. Certo,

il mare tali e tali mi disse meraviglie,
quel tempo che fu luce ansiosa e pura,
se – solo riappaia il turbinio violetto –
fluttuano incerte certezze ignorate
– come un pensiero intuito da lontano,
senza coscienza, simile a un’attesa:
te, mio vissuto, e amore della vita
già stata – eppure vaga, futura vastità.

 

Se tu sapessi

Se tu sapessi … se tu sapessi come
ombrosa ala sfiorando fuggitiva
taglia di colpo la luce, e cala,
come un coltello, la lama del buio!
Sapessi tu che brivido sussulta,
precipitando, l’aria, tutt’intorno:
una menzogna imprecisa – che devia;
un addio che non s’osa; o un silenzio
che colma male pensieri impietosi.
Se lo sapessi, non diresti: «Niente,
non c’è proprio niente, che non vada».

 

Lo scatto

Come una pianta, spenti all’improvviso
i fuochi verdi che attizzano le foglie,
declinava, rifuggendo dalle nascite,
si risveglia di colpo – a un segnale
che non udiamo, e vibra misterioso,
è rifiorita l’antica tenerezza
in mezzo a noi, in silenzio, da un pulsare.
A un tratto: come crescono le cose;
o rinascono i fiori: fra buie pause,
un altro scatto in su verso la luce.

Quasi che, dietro ad ogni strappo, covi
lungo slancio raccolto, e forzi il chiuso
digradante abbandono che è già morte.

 

Il tempo e la luce

Di mille attese è fatta la mia vita,
di mille attese di te. Ogni luce
ricrea, col giorno, attese impercettibili;
la sostanza del tempo è solo attesa,
nonostante i gesti ripetuti.
E, fuga di un incrocio, è tempo-luce
la cadenza che pulsa fra le stelle.
E il tempo e la luce, la sostanza
fuggitiva su cui si inarca un cuore.

 

Farò da me

E, se un giorno calando, i tuoi sospiri,
o i miei, predicessero l’inverno
come la neve – che aggira silenziosa
il tardo azzurro del disteso ottobre

cieca ai ricordi, mi mozzerò le orecchie,
meandri di echi e di risate,
e, oltre gli occhi, strapperò la lingua,
messaggera di baci e di pensieri
e fuochi rosei di promesse spente,
e brucerò le dita, punta a punta,
per punirvi le impronte che hai lasciate.

Resterà lo schema del mio corpo,
senza tracce di carne; di passioni;
i sensi chiusi; il sesso, come un vaso
reclina antico: vino versato, e tempo
che asciuga le offerte sensuali
né ammette nostalgie, spoglia le fini.

 

Orizzonte corporeo

Non c’è statua distesa che assomigli
al tuo corpo, bellezza necessaria.

Uno fra i tanti … La terra è tutta corpi
in disperata gara col respiro.
Ma ogni corpo è centro a molti raggi,
come un piccolo astro, un breve sole,
e scatena da sé luci e tempeste.
Sul mio tragitto, io, fra alba e notte,
fui attratta da te. E ora a tutta
la costellazione vasta delle forme
il tuo corpo è misura, dimensione.