La poesia orale degli zingari 2/2

Indice
Romi, i padroni del tempo,

I. Preghiere e povertà
Prima preghiera, Seconda preghiera, Preghiera dell’affamato, Ulula il vento gelido, Seconda preghiera dell’affamato, Né vivo né morto, Se fossi un uccellino, Tutto vorrei, La casa è piena, Paura della morte, Quando morirò.

II Lunga è la strada
Sprona i cavalli, Lunga è la strada, Colloquio col cavallo, Ho sei puledri, Ladro di cavalli, Il cavallino è stanco, Inseguiti dai gendarmi.

III Carcere e catene
Fa scendere le tenebre, buon Dio, Sparino pure i fucili, Le gelide catene, Sulla strada per Timisoara, Preghiera del carcerato, Come fare giudizio, Siamo sette, sette tenebre, Sciogli il grembiule, mamma.

IV Passioni ardenti
Non posso vivere senza di te, Gli scalderò l’anima, La ragazza e la rosa, Si desta la tribù, Lina, Lina, Katalina, Un mattino, cadeva la pioggia, Ragazza innamorata, La donna non è puttana, Ragazza, tu sei fatta per l’amore, Non è colpa mia, Lui bianco, io nera, Entra nel mio sonno, Giuochi d’amore, Buondì, bellezza, Rosso un fiore all’orecchio, Viaggio senza ritorno, Gelosia, Ubriaca d’amore, Uno, due, ventidue, La moglie rapita, Non ci sono parole.

V Fidanzamenti, nozze e altre poesie
Uccellino, mia cara, Promessa sposa, Guarda quella ragazza, La dote della sposa, Ho fatto un lungo viaggio, Nemmeno tre zecchini, Dialogo a più voci, Lamento funebre, Sono andato a passeggiare, Lamento per il più nero, Il Narciso, Ricchezza dei poveri, Solo tu, violino mio, Alzati, donna, Va nel villaggio, donna, Dormi, bambina, Ho appeso l’amaca.

Domenica scorsa abbiamo pubblicato Preghiere e povertà e Lunga è la strada.

 

 

 

 

 

 

 

III

Carcere e catene

Fa scendere le tenebre, buon Dio

Fa scendere le tenebre, buon Dio,
andrò così a rubare.
Che un’ombra fitta copra tutto, ma
il mio cammino illumina, buon Dio.

Per me splende la luna, tutti gli altri
sono avvolti nell’oscurità.
Io vedo tutti,
nessuno vede me.

Fa scendere le tenebre, buon Dio,
tutto diventi nero.
Nero per tutti gli uomini,
ma per me bianco.
Fa scendere le tenebre, buon Dio.

 

Sparino pure i fucili

Mi cercano, cercano,
io sono lontano.
Mi cerchino pure i gendarmi,
sparino pure i fucili.
Mi nascondo nelle tenebre,
vago per i boschi.
Dove c’è l’oscurità
io non ci sono.
Dove c’è un albero
io sono l’ombra.
Mi cercano, cercano,
io sono lontano,
ombra nell’ombra,
trave annerita.
Fuggo dal giorno
perché di me
nero non sia.
Con la tenebra mi faccio
il più caldo vestito.

 

Le gelide catene

O Bàndara, famosa per la voce!
Va, vendi la tua casa e l’orticello,
strappami dalla prigione.
O Bàndara, famosa per la bellezza!
È tutta di catene la prigione.
E fossero soltanto le catene,
il peggio è che sono gelide.

 

Al di là del Danubio

Al di là del Danubio,
due fiori bianchi:
i capelli arruffati,
gli occhi piangenti,
cercano i mariti e non li trovano.
Due fiori bianchi
al di là del Danubio.

Li cercano e non li trovano,
non possono trovarli:
Dio mio, li hanno rinchiusi
tra quattro forti muri
nel carcere tristissimo,
nella nera prigione.
“Oh Dio, Dio!”, implorano
la grande libertà.

Gli occhi piangenti,
i capelli arruffati,
al di là del Danubio
due fiori bianchi.

 

Sulla strada per Timisoara

Sulla strada per Timisoara
mi presero i gendarmi.
Due mi picchiavano,
il terzo mi interrogava:
– Dove sono i cavalli,
i cavalli rubati?
– Li ho venduti i cavalli,
grandissimo signore.
– Dove hai messo il denaro,
ladro che non sei altro?
– Me lo sono mangiato,
me lo sono bevuto,
e una metà, grande signore mio,
l’ho data a te.

 

Preghiera del carcerato

Mandami, o Dio, il tuo grande esercito,
gli angeli alati e i barbuti santi,
armati di fulmini e di spade fiammeggianti
e dà loro la chiave che libera dalle catene.

Giaccio in prigione sono già dieci anni.
Mandami il sole che sciolga i miei ceppi.
Vorrei tornare dai miei figli, a casa,
ti accenderò una candela, o Dio.
Manda l’esercito tuo celeste,
per te è cosa da nulla, fratello.
Ti accenderò due candele in chiesa.
Manda l’esercito celeste e i generali,
salvami da questo carcere.
Per te, fratello, è cosa da nulla.
Ti accenderò tre candele sull’altare.
Aiutami, Dio,
salvami dalla prigione!

 

Come fare giudizio

Non so come: cammino
da cinquant’anni su questo mondo
e non ho messo giudizio.
Cinquant’anni, ehi!
Lo sai tu quanti fanno
in giorni e notti?
Cinquant’anni.

Ahimè, morirò di tristezza.
Dicono che ora metterò giudizio
stando in prigione!
Ma come può succedere?
Io dico loro, dico:
non preoccupatevi di me,
io sono quello che sono.
Ma non mi danno pace.
Cinquant’anni! – gli dico.
Ma lo sapete voi quanto fanno
in giorni e notti?
Non badano alle mie parole.
Si chiudono le porte della prigione.

E quando misi giudizio
piansero le mie spalle,
piansero le mie braccia,
fra le costole dondolò il mio cuore
come una foglia secca
sul rametto d’autunno.

E quando misi giudizio
il carcere si fece immenso
come un cielo deserto
senza odori e colori,
come un cielo che ha mangiato
se stesso per la fame.

Dopo tanti anni passati sul tavolaccio
non potrò mai più curvare la schiena
per raccattare le cicche,
per raccogliere il portafoglio smarrito,
per sollevare la mela caduta.
Così ho messo giudizio.

 

Siamo sette, sette tenebre

Siamo sette in prigione,
sette pianeti, sette tristezze.
Settanta e sette notti,
e siamo sette in cella.
O Dio, come puoi guardare indifferente
queste sette disgrazie nerissime?
Sciogli la tua pietà,
vieni con le tue settantamila chiavi,
apri la porta del carcere.
Sette tenebre correranno per le strade
esaltando il tuo nome.

 

Sciogli il grembiule, mamma

Sciogli il grembiule, mamma, come un’ala,
il tuo grande grembiule
e tirami fuori da Lepoglava*.
Tuo figlio è incatenato
dal collo ai piedi,
non riesce a dormire la notte intera.

Ahimè, mio Dio, sciogli la tua pietà,
aprimi questa porta pesante.
Se vengo fuori vivo,
andrò nel bosco e nel bosco pianterò
una tenda con tela di sacchi,
con i bastoni e con gli anelli d’oro,
l’asta d’argento,
di rosso rame il colmo,
i paletti di piombo
e i canapi di seta.

* Lepoglava, in Croazia, è un antico e malfamato penitenziario.

 

IV
Passioni ardenti

Non posso vivere senza di te

Non posso vivere senza di te.
Ti ho portato un fazzoletto di seta,
ti porterò una collana di ducati d’oro.

Senza di te la mia vita è vuota.
Ti ho portato una veste di seta,
ti porterò due cavalli per la fuga.

Quando ti adagi fra le mie braccia
dimentico perfino mia madre;
ti porto come una mosca
sollevandoti sotto le braccia.

Senza di te per me non c’è vita.
O ti prenderò
o ti ucciderò.
Giovane come sono
non posso vivere senza di te.

 

Gli scalderò l’anima

Guardalo, mamma,
il mio ragazzo piange,
piange per me.
Lasciami andare, mamma,
fammi dormir con lui.
Senza di lui io non posso dormire,
ed egli piange.
Cacciarlo dalla mente non riesco,
tutta la notte sono stata sveglia.
Lasciami andare, mamma,
fammi dormir con lui,
mi scalderà l’anima.

 

La ragazza e la rosa

Cresce una rosa
sotto la mia finestra.
Cresca pure,
che cresca.
Cresce il mio petto
sotto la camicia.
Cresca pure,
che cresca.
Coglierò la rosa,
la metterò nel petto.
La cerchino,
per cercarla
mi sbottoneranno.

 

Si desta la tribù

È l’alba, si ridesta la tribù.
Respira l’aria del mattino.
I seni turgidi, coperti dalla chioma nera,
li bacia il sole.

Le labbra sussurrano ancora il nome dell’amato
che da tempo partì.
Soltanto stanotte è tornato nel sogno,
tutta la notte siamo stati insieme,
ma è stato così breve il nostro incontro!
Sono tutta sudata,
il fuoco mi ha bruciata,
le mie labbra scottano.

Oh, come è stato breve il nostro sogno,
ed è la prima volta che è venuto,
è venuto stanotte.
Da tempo egli partì,
lontano se ne andò
lasciandomi qui sola.

 

Lina, Lina , Katalina

Lina, Lina, Katalina,
tu m’hai ingannato, Lina,
lasciandomi qui solo,
partendo per il mondo.

M’hai lasciato qui a piangere
a pianger col violino,
a cantare di te, mia Lina, Lina,
o Lina, Katalina.
Non ho più pace, il sole
non mi entra più negli occhi;
ne morirò, mia Lina, dolce Lina.
Mi ucciderò, mia Lina,
perché te ne sei andata per il mondo.

 

Un mattino, cadeva la pioggia

Un mattino, pioveva,
cadeva la pioggia.
Pioveva e Lina
correva scalza.

Ehi, Lina, Lina,
mi hai divorato, Lina,
mi hai mangiato e bevuto
con i tuoi occhi neri
e i tuoi nerissimi capelli sciolti.
Ehi, Lina, Lina, Lina!

 

Ragazza innamorata

Dormir non posso sola.
Sento il suo canto.
Le mie dita fuggirono
dietro i suoi passi.
Inalberai sul monte
i miei seni.

Se non mi fai sposare,
padre, io scapperò.
Giacerò sulla strada
aspettando che passi.
Per lui il mio ventre abbaia.

Un piede in una fossa,
l’altro piede nell’altra,
il mio ventre addenta la strada
per la quale è passato.

 

La donna non è puttana

La donna non è puttana,
puttana è la sua sottana.
La donna non è puttana,
sono lascive le sue babbucce d’oro.

Amico, non credere alla donna,
non prestarle mai fede!
Guarda, la gonna scappa
sulle babbucce d’oro.

 

Ragazza, tu sei fatta per l’amore

Ragazza, tu sei fatta per l’amore,
la giovinezza passa, passa in fretta
e più non torna.
Ragazza, tu sei fatta per l’amore.
Vieni, rinfrescherò le labbra ardenti
sugli occhi tuoi.
Vieni, ti bacerò,
ti amerò per la vita
perché sei tutta fatta per l’amore.

Ragazza, tu sei fatta per l’amore.
Vieni, fai presto, prima della morte.
Ho labbra ardenti,
il cuore impazzisce,
prendilo, te lo dono,
voglio baciarti.

Non voglio vivere senza di te,
né tu lo vuoi.
Se desidererai un altro,
se a un altro donerai la giovinezza,
ti ammazzerò,
anche da morta ti ammazzerò;
sarai mia o di nessuno.

 

Non è colpa mia

Non è colpa mia se son nera, o Dio,
ma ho il diritto di amarlo anche se è bianco.
Non è colpa mia, se mi innamorai
di un uomo bianco, o padre.

Non è mia colpa, mamma, se lo amo.

Onorevole Kris*, non è mia colpa,
anche lui mi ama.
Non è mia colpa se son nera, lui
mi ha pur baciata.
Condannatemi pure, non ho colpa,
eppure io l’amo.
Ho anche un figlio, non nero,
e l’amiamo ambedue.

L’amato mio mi ama anche se nera,
o terra non ho colpa,
o cielo non ho colpa,
se noi ci amiamo.

* Kris: giudice e tribunale della tribù.

 

Lui bianco, io nera

Ci mettiamo in viaggio,
si preparano le tende
i paletti sono pronti.
Piangono le ragazze,
le lacrime bagnano le loro guance nere.
Dio, o Dio, si deve proprio partire
ancora una volta?
Come faccio a dimenticare l’amore,
a lasciare il mio caro?
Io l’amo più del sole,
l’amo più del cielo e dell’erba verde,
l’amo più del cavallo,
della tenda, del padre e della madre,
l’amo e devo andare
avanti con la zahra.
Potessi almeno vederlo,
strappargli una ciocca nera,
che egli la intrecci nella sua frusta.
Egli è bianco, io sono nera,
nera, ma so amare,
consumarmi nella fiamma d’amore.

 

Entra nel mio sonno

Entra nel mio sonno
l’anima mi rapisce:
ragazza bella,
dolce ragazza,
ragazza cara.

Chiudimi gli occhi,
prenditi l’anima,
tutto di me ti dono,
in cambio del tuo cuore.

Mi divorarono,
mi ammazzarono
gli occhi tuoi neri,
le ciglia come sanguisughe,
la lunga chioma,
i dolcissimi seni.

Gli occhi tuoi neri in me vivono eterni,
ragazza nera, entra nel mio sonno.
Ragazza nera, vieni a ingravidare.

 

Giuochi d’amore

Lasciami andare, mamma, nel paese,
incontrerò per strada il mio ragazzo,
lo bacerò.
Lasciami andare, mamma, nel paese.

Appoggiati ai mucchi di fieno i giovani
parlano di ragazze.
Chi mai mi guarderà?
Lasciami andare, mamma, nel paese,
coi giovanotti prenderò a discorrere,
saprò gabbarli tutti,
darò un bacio a ciascuno.
Lasciami andare, mamma, nel paese.

Loro si arrabbieranno,
fingeranno di non vedermi
per poi aspettarmi nel buio.
Camminerò pian piano
finché non sentirò accostarsi i passi,
mi volterò fulminea:
lui con le braccia aperte,
io nell’abbraccio suo.

 

Buondì, bellezza

Buondì, bellezza!
Mille zecchini sono
pochi per gli occhi tuoi.
Camminerò a piedi dieci anni
per il tuo petto.
Dimenticherò la tua voce
per le tue labbra.
Il carcere ti regalo
per i fianchi tuoi.

Buondì, bellezza!
Cavalco un verde cavallo,
lo spronerò al galoppo.
Io ti aspetto nel bosco
con una tenda piena
di figli nascituri,
con usignoli e giacinti,
col letto del mio corpo,
col cuscino delle mie spalle.

Buondì, bellezza!
Se tu non vieni strapperò il coltello
del pane, pulirò
dal coltello le bricciole,
ti colpirò diritto in fondo al cuore.

 

Rosso un fiore all’orecchio

Passa una fanciulla
nera, i capelli lunghi,
sembra una paonessa.
Cammina e danza, passa
sui fianchi snelli ondeggia
come lo stelo al vento.

In spalla un orcio bianco,
rosso un fiore all’orecchio,
la veste lunga e larga sventolante,
e in me galoppa il cuore.

Più d’ogni cosa al mondo
io la desidero.
E me la prenderò, non lascerò
che un altro se la prenda
dovessi pur morire.

 

Viaggio senza ritorno

Li vedi, mamma, i pioppi, gli alti pioppi?
La mia tristezza è là, l’angoscia mia.
Oggi parto, lontano, senza ritorno.
Li vedi, mamma, i pioppi, gli alti pioppi?
Quando sarò sotto la chioma verde
mi fermerò. Là, mamma, lascerò
l’anima mia.

 

Gelosia

Guardala, quella donna
con lo scialle di seta,
con le scarpette rosse,
con la collana di zecchini al collo.
È venuta a rubarmi
il giovane che amo,
per metterlo sul carro,
sul carro un letto morbido,
sul letto per dormire.
Guardala, quella donna
con lo scialle di seta,
con i seni di rabbia,
con braccia per l’abbraccio.

 

Ubriaca d’amore

Con chi hai dormito questa notte, Vunghia,
nella soffitta?
I tuoi seni come due secchielli,
i tuoi capelli hanno odore di fieno.
Hai smarrito il grembiule rosso e vai
ubriaca d’amore.
Con chi hai dormito questa notte, Vunghia,
nella soffitta?
Il tuo amplesso può far dormire
un esercito intero,
la tua bocca assetata, le tue labbra!
Con chi hai dormito questa notte, Vunghia,
nella soffitta?

 

Uno, due, ventidue

Uno, due, ventidue.
Lascia un chicco di grano
per me, nella tua bocca.

Uno, due, ventidue.
Ha cambiato venti mariti,
ma di nuovo cerca me.

Uno, due, ventidue.
Ti mordo come una mela.
Uno, due, ventidue.
Quando vedo le tue tette
dimentico i cavalli.

Uno, due, ventidue.
Ho cambiato dieci mogli,
ma di nuovo voglio te.

Uno, due, ventidue.
Ne cambierò ancora venti
ma di nuovo cercherò te.

Uno, due, ventidue.
Per te lascerei perfino
mio padre e mia madre,

ma non lo farò.

 

La moglie rapita

Me la portaron via
nella rossa città.
Felice la portarono
nella rossa Pest.
A Pest la vendettero
per mille e mille denari.
Guadagnarono, mamma, guadagnarono
centomila denari.
Però, una bellezza
da perderci la testa.
Quando quelli la videro
baciarono la terra,
l’erba verde baciarono
che l’aveva toccata.
Ma siano pur felici
se tanto la desiderano.
E siano pur felici
per questa breve notte.
Ma ridammela, amico,
la giovane mia moglie,
la cavallina, la variopinta,
perché l’amo anch’io.

 

Non ci sono parole

Nessuno sa la mia tristezza immensa.
Il mio amato si sposa e a me non pensa;
bacerà un’altra stanotte.
Quando si desta all’alba,
lei gli presenta il bricco; quando parte
lei lo accompagna fino alla montagna;
quando ritorna a casa, sulla soglia
lo attende lei.
Nessuno sa la mia tristezza immensa.

Gli zoccoli dei cavalli
cantano il canto dell’amore.
Le parole non ricordano il mio nome.
Non ci sono parole.
I doni variopinti sulla tavola,
lei viene fuori nuda dalla tenda
e a braccia aperte cade nell’abbraccio.

 

V
Fidanzamenti, nozze e altre poesie

Uccellino, mia cara                    Kamli muri åirikljorije

Uccellino, mia cara,                                    Kamli muri åirikljorije,
vieni con me alla fiera.                               urav te laåe papuåe,
Ti comprerò un vestito                              avtar mancar po va_ari,
di seta sottilissima,                                     kinav tuke sani svila,
somiglierai a una grande signora.           te mjazis tu ki bari rain,
Non ho bisogno di seta sottile,                 ni trubul man sani svila,
mi basta lo straccetto                                 laåo si mange o pipiseri,
che porto addosso,                                      te mjaziv me ki laåi romni.
somiglio a una bella romnì.

 

Promessa sposa

Promessa sposa candida,
sei alta e snella come una candela.

Promessa sposa candida,
sei di bella statura
come una chiesa!

 

Guarda quella ragazza

Guarda, mamma, quella ragazza,
quella che balla col vestito rosso.
Guardala, mamma, e chiedila
per me, che sia mia sposa.
Ho voglia di mangiare le zucche,
ho voglia di danzare in cerchio,
ho voglia di vino nero.

Guarda, mamma, quella ragazza.
Freddo è il giaciglio senza il suo corpo,
le mie spalle son nude
senza le braccia sue.
Vorrei danzare in cerchio,
vorrei mangiare zucche.
Dormiremo abbracciati fino all’alba.

 

La dote della sposa

Promessa sposa, brunettina bella,
che cosa mi hai portato, che ti ha dato
per me tuo padre?

Ti porto, caro, i miei due occhi neri,
gli occhi miei grandi come due susine.

Promessa sposa, brunettina cara,
che cosa mi hai portato, che ti ha dato
per me tua madre?

Gli occhi neri ti porto e guance d’oro,
le guance d’oro e lunghe ciglia chiuse.
Ti porto pure un sacco, un sacco pieno:
un lenzuolo a brandelli,
una vecchia coperta
e un cuscino di toppe.

 

Ho fatto un lungo viaggio

Ho fatto un lungo viaggio
per portare a casa mia nuora,
per dar moglie a mio figlio.
Ho fatto un lungo viaggio.

A casa della sposa sono giunto
che i ciliegi fiorivano;
quando sono tornato con la sposa
erano già mature le ciliege.
Ho fatto un viaggio lungo, lungo assai.

Ho fatto un lungo viaggio
senza grappa né vino, con un carro
sconnesso su tre ruote.
Ma Dio vede e provvede.

Ho fatto un lungo viaggio
col timone del carro
spezzato e con tre ruote.
Ma il ciliegio era in fiore
e brillava all’orecchio l’orecchino!

 

Nemmeno tre zecchini

Chi è che scende di corsa dalla collina?
I Romi abbigliati a festa,
vengono a chiedere la mano della ragazza.
I carri rumorosi sobbalzano,
dondolano, si spezzano,
le ruote si staccano e rotolano
folli nella polvere.
I Romi abbigliati a festa
vengono a contrattare la ragazza.
Nemmeno tre zecchini
non hanno, tre ducati,
nemmeno la caparra.
Devono tornarsene.
E se ne vanno i Romi a capo chino,
se ne vanno per sempre.
O padre, padre mio,
donami una collana di zecchini,
fammi comprare la ragazza mia,
morirò di tristezza.

 

Dialogo a più voci

– Arrivano, arrivano i Romi,
sui carri rossi, sui cavalli verdi…
E sui carri, sui carri:
giovani spose, giovani fanciulle.
– Siedi sul letto, amico.
Non parlarmi del vino,
del vino nero.
Mia mogliettina, giovane sposa,
portami l’acqua pura,
dalla fonte, dal pozzo.
– O Dio, lascia cadere
una pioggia a torrenti,
diventi una tempesta,
così non partiranno
mio padre e mia madre.
Non voglio restar sola!

 

Lamento funebre

Quanto ho chiesto a Dio
Iddio me lo ha dato.
Un figlio maschio, bello,
nelle mie braccia.
Nelle mie braccia, mamma,
bello al mio seno.
Nelle mie braccia, al seno,
e diritto alla tomba.

 

Sono andato a passeggiare

Stasera sono andato a passeggiare,
a passeggiare sotto la finestra
della mia bella e ho sentito un pianto.
Piangeva e singhiozzava,
sua madre piangeva.

Perché piangevi, madre? Tu lo sai,
ho preso la tua figlia per mia sposa.

Adesso è morta,
Nina, Ninetta è morta.

Dimmi, ti prego,
davvero è così nera
la terra che ti copre?

Pesante e nera,
pesa la terra,
ma più pesante ancora
è l’amore di lei
che se ne è andato.
Mio caro giovane,
non venirmi più dietro,
cercati un’altra
che ti amerà.

 

Lamento per il più nero

Abbiamo seguito i ragazzi
nella grande foresta,
oltre agli immensi campi.
Siamo entrate nei verdi
nei verdi boschi immensi.
Abbiamo portato le pentole,
le grandi pentole
per l’immensa fame dei Romi.

Sotto le frasche verdi
i Romi riposano.
Le loro donne snelle
cucinano galline.
Galline grasse e gialle
per l’immensa fame dei Romi.

La romnì la più bella
ha preparato un pasto ben salato.
Che dite, perché il suo
è il piatto più salato?
Giuro su Dio, quella pensava a Murko,
ad altro non badava.
Quando Murko compare fra le tende
fa notte in pieno giorno.

Non ho allegria, se l’è portata via
l’uccello, la cicogna.
Cicogna uccello, dammi
ridammi l’allegria.

 

Il narciso

Scendi in terra, mio Dio
e ammira questa bellezza.
Giovane e bruno sto
fra i covoni di fieno:
l’oro della mia pelle
risplende al sole.
Giallo e nero. Bianco e nero.
Ammira, o Dio, e inchinati
davanti a me.
Mi son levato all’alba,
corro dalla mia amata,
sposerò la più nera
bellezza che ci sia.
Ammira, o Dio, e inchinati
davanti a me.

 

Ricchezza dei poveri

Guardala, padre, come danza bene!
Le guance rosse rosse
come paprika nei fagioli;
le guance calde calde
ardenti come il sole;
la pancia liscia e nera
come una padella.

Mi è saltata tra le braccia,
sciogliendosi le trecce:
vedano pure i ricchi
come vivono i poveri!

 

Solo tu, violino mio

Non ho mai conosciuto mio padre,
non ho amici nemmeno.
Mia madre è morta da tempo,
l’amata mia mi ha pure abbandonato.
Soltanto tu, mio dolce violino,
mi segui per il mondo.

Quando il dolore mi dilania il cuore,
quando non ho nemmeno un soldo in tasca,
io suono una canzone sul violino,
e lenisco la fame e il dolore.

Il mio violino ha due compagni, due
che mi succhiano il sangue del cervello:
uno si chiama Amore, l’altro Sete,
e mi accompagnano, me suonatore.

 

Alzati, donna

Alzati, donna, sù,
e accendi la lampada.
Di nascosto ho condotto
tre bei cavalli bai.
E a te ho portato
un grembiule di seta ricamato
con fili d’oro.

 

Va nel villaggio, donna

Va nel villaggio, donna,
dove la falce miete ducati d’argento,
dove dai rami cadono monete,
dove il grano si trasforma in oro.

Va nel villaggio, donna.
Affila la tua lingua, e metti un fiore
nel petto esuberante.

Va nel villaggio, donna.
Hai la mano ladresca,
la testa ingegnosa,
il seno seducente.

 

Dormi, bambina

Dormi, bambina, dormi,
ubbidisci alla mamma,
non piangere, bambina.

Verranno i cavalli buoni
con le criniere verdi,
ti porteran lontano,
là dove tutto è verde,
là dove tutto è azzurro:
dal cielo cade il miele,
sugli alberi maturano
focacce profumate,
scorron fiumi di latte.
La bambina mi ascolta
e si addormenta.

 

Ho appeso l’amaca

Ho appeso l’amaca sotto il susino
e il bambino sta bene.

Cade la pioggia, me lo lava.
Cadon le foglie, me lo coprono.
Passa la capra, me lo allatta.
Soffia il vento, me lo dondola.

Dormi, figlio, dormi in pace,
ubbidisci alla mamma e non piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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