L’universo di Federico Fellini con la penna su carta

Fellini abbozzava incessantemente: realizzava divertenti ritratti degli attori e dei tecnici coinvolti nella produzione.

“Il nostro dovere come narratori è portare le persone alla stazione. Ognuno salirà sul treno che vuole, ma dobbiamo almeno portarli al punto di partenza”, ha detto Federico Fellini.

 

 

Ma, a lui non è bastato accompagnare gli spettatori al “molo”, ma ha preparato anche i loro bagagli. Ha riempito le loro valigie di fantasia, esagerazione, scene oniriche, personaggi grotteschi, risate selvagge e profonda disperazione. Ha organizzato il “viaggio” in ogni suo dettaglio. Già prima di essere sul set aveva disegnato con matite, evidenziatori, inchiostri e pennarelli l’universo che racchiudeva in ogni suo film .

“Non è possibile parlare della filmografia di Fellini senza tener conto dei suoi schizzi, che sono stati una parte importante della sua vita e del suo lavoro”, sottolinea Katerine Haag, curatrice della mostra “Federico Fellini – Dal disegno al cinema” al Kunsthaus di Zurigo (fino al 4 settembre). Fellini abbozzava incessantemente: realizzava buffi ritratti degli attori e dei tecnici coinvolti nella produzione, disegnava parlando al telefono e sviluppava sempre la trama e i personaggi, “costruendo” immagini con la matita. “Quando preparo un film, scrivo pochissimo. Preferisco disegnare i personaggi e lo scenario. Ho adottato questa abitudine da quando ho fatto vari spettacoli in provincia. Da allora fino ad oggi, ho continuato a catturare su carta tutto ciò che mi veniva in mente, trasformando ogni idea in un’immagine”.

Fellini non è stato l’unico a fidarsi dei suoi marcatori prima di sedersi dietro la telecamera. L’industria cinematografica ha una lunga tradizione in questo senso: da Eisenstein, Hitchcock e Fassbinder, a Tim Burton, Kurosawa e David Lynch, tutti, con tratti attenti o gesti crudi, visualizzavano i propri pensieri. Soprattutto per quest’ultimo, Fellini è stato un modello importante. “‘La strada’ e ‘8 ½’ sono stati eccitanti, ma in realtà ho amato tutti i suoi film e li amo ancora perché ognuno è un mondo separato. Amo i personaggi, l’atmosfera e quell’inafferrabile “je ne sais quoi” che emana da ognuno di loro”.

La mostra comprende 250 dipinti e altrettante fotografie, costumi impressionanti, mock-up, poster e persino trailer di 13 film che, insieme agli schizzi, fanno luce sul modo di lavorare del creatore italiano. Il racconto della mostra inizia con il film del 1952 “Lo sceicco bianco”, ma il rapporto di Fellini con il cinema risale a diversi anni prima, dal 1945, quando lavorò alla produzione del film “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Fino ad allora era stato impiegato come fumettista in varie testate, mentre insieme ai suoi amici aveva aperto l’attività “Funny Face Shop”, vendendo i loro “ritratti” ai soldati americani.

L’umore per la stravaganza e il grottesco non lo abbandonava mai. Ma, soprattutto, attraverso la sua stessa prospettiva, abbiamo appreso che la realtà è in equilibrio su una linea sottile con il sogno e il subconscio. Nei suoi disegni incontriamo la piccola Titta dalle guance rosee di “Amarcord”, il film dai richiami autobiografici, mentre dallo stesso film vediamo lo zio e il padre pazzi di Titta. Questo sketch è stato creato durante le riprese e ha aiutato la troupe a capire come dovrebbe essere l’attore Armando Brancia che ha interpretato il ruolo. Lo sketch della seducente Sylvia del film “La dolce vita” contrastava con le curve di Anita Ekberg che la interpretava, mentre il disegno della signora Carla è di due anni prima di “8 1/2” e spiega la fondamentale carateristica del lavoro di Fellini, cioè il lungo tempo che trascorreva dalla ideazione alla realizzazione e alla fine la proiezzione dei suoi personaggi sullo schermo.

La mostra include anche un estratto da un’intervista con lui che completa le sue immagini incantevoli e penetra nel suo modo di pensare: “Quando non posso andare oltre, raccolgo appunti e schizzi e metto un annuncio sui giornali che recita approssimativamente: ‘Fellini accetterà tutti coloro che vorranno fargli visita’. Nei giorni seguenti l’annuncio accolgo centinaia di persone. Tutti i matti di Roma, polizia compresa. Prevale una follia, uno stato altamente e stimolante. Li guardo tutti con attenzione e conservo qualcosa della personalità di ogni visitatore. Ne incontro migliaia per includerne solo 2 nei miei film, ma nella mia mente li assorbo tutti. È come se mi dicessero: guardaci attentamente, perché siamo tutti parte del mosaico che vuoi creare”.

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Attraverso un percorso poliedrico, che si snoda facendo incontrare varie discipline (filosofia, pittura, cinema), il saggio L’arte e il grido si propone di indagare, con atteggiamento filosofico e intento divulgativo, le principali trasformazioni artistiche del ‘900 per giungere a una possibile ridefinizione della funzione dell’arte nella contemporaneità. Mettendosi sulle tracce dei filosofi che hanno maggiormente incrociato la loro ricerca con quella di alcuni pittori e utilizzando il cinema come ulteriore terreno di esemplificazione e di confronto, l’autore ha individuato nell’arte quell’urgente necessità di smascheramento delle illusioni e salvaguardia della complessità che si accompagnano da sempre anche alla ricerca filosofica più autentica. Capitolo dopo capitolo, passando senza soluzione di continuità dagli oggetti, alle immagini e, infine, al corpo, si fa strada la possibilità di uno sguardo nuovo sull’enigma del mondo ed emerge la centralità tragica di quel nucleo temporale che è ineludibile nell’essere umano.