Il neoliberismo è il problema del XXI secolo 2/2

Il neoliberismo designa un’epoca storica in cui delle “élite” composite hanno fatto appello ad un insieme di teorie
eterogenee per giustificare delle politiche economiche
che hanno ovunque gli stessi effetti devastanti.

A partire dagli anni ‘80, la maggior parte dei Paesi del mondo sono stati sottomessi a un regime politico, economico e culturale che va sotto il nome di “neoliberismo”. Questo volantino è dedicato ad illustrarne le definizioni, gli attori e le logiche operative, e a sostenere tre tesi radicali. Prima tesi: il neoliberismo è un sistema totalitario, perché aspira a controllare e influenzare ogni aspetto della vita degli individui, dal lavoro alla sanità, fino alle questioni più intime. Seconda tesi: il neoliberismo è un sistema genocida, perché trucida interi popoli e classi sociali, facendo ogni anno fra 20 e 50 milioni di morti diretti e indiretti, a causa di guerre, carestie, epidemie, inquinamento e disuguaglianze. Terza tesi: il neoliberismo è un sistema ecocida, perché depreda le risorse e devasta mari, foreste, suoli e aria, con la conseguenza che sta causando un collasso degli ecosistemi, nonché l’estinzione dell’umanità.

3. Logiche operative

Il principio della concorrenza (sleale)

La «concorrenza libera e perfetta» di cui si riempiono la bocca i capitalisti presuppone che gli agenti economici siano messi sullo stesso piano, come dei corridori che partono dallo stesso punto. Ma con la valanga di riforme neo- e ultraliberiste che, dagli anni ’80 ad oggi, hanno smantellato le regolazioni nazionali e internazionali delle banche, dei mercati finanziari e del commercio istituite nei decenni precedenti, gli oligopoli e i quasi-monopoli sono riapparsi. Un monopolio è una forma di mercato in cui si assiste all’accentramento dell’offerta di un prodotto o di un servizio nelle mani di un unico venditore. Dal punto di vista del consumatore, se non si ha alternativa, si deve prendere ciò che c’è al prezzo che ha. L’oligopolio è la stessa cosa, ma chi accentra l’offerta di fronte a una domanda importante non è un unico attore, bensì un numero ristretto di concorrenti che spesso hanno interesse ad agire in maniera coordinata. Tale coordinazione porta il nome di «cartello» e consiste nel trovare espedienti commerciali, strategici e giuridici per impedire a nuovi attori d’introdursi nel mercato. Esiste un diritto «anti-trust» volto a limitare le pratiche anticoncorrenziali, ma di tutta evidenza non bastano per impedire ad Amazon o a Bayer-Monsanto (per nominarne due a caso) di dominare i loro rispettivi mercati librario e agroalimentare.

L’obiettivo unico della crescita

Un grande alleato del neoliberismo è il Prodotto Interno Lordo, un’unità di misura che calcola il volume degli scambi monetari dentro i confini nazionali. I capitalisti credono fermamente nella possibilità, anzi nella necessità di crescere indefinitamente, e per misurare la crescita usano il PIL. Il suo incremento è visto dagli economisti come «la» soluzione contro le crisi economiche e come lo strumento migliore per assicurare il progresso, il potere e il prestigio dei Paesi(42). Nel discorso mainstream, il PIL è anche sinonimo di benessere – sebbene davanti al Congresso degli USA l’inventore di tale indicatore, Simon Kuznets, si fosse espresso, già nel 1934, contro tale interpretazione del suo strumento(43). Infatti se un ponte cade e devo ricostruirlo, il PIL aumenta. Se ci si reca da un medico pubblico, la prestazione è considerata come una spesa, non come ricchezza o investimento. Ma se la sanità viene privatizzata, ogni prestazione (il cui prezzo lieviterà inevitabilmente) entrerà nel PIL. I governi vi annunceranno allora con gaudio che la crescita è aumentata! Ma… noi cittadini saremo in realtà più ricchi o più poveri?

Produttivismo e consumismo

Corollario della crescita è il produttivismo, dottrina secondo cui la produzione è un obiettivo primario. In suo nome si depreda la natura, si subappalta per ridurre i costi, si assoldano dei crumiri, si ritorna al cottimo, si corrompono i sindacati(44) e si mettono al lavoro uomini, donne e bambini in stato di semi-schiavitù: sottopagati, sfruttati, tenuti lontani dalle loro famiglie per mesi, o persino drogati per mantenere ritmi di lavoro inumani(45). L’ideologia produttivista è stata associata al progresso e ha nutrito sia il capitalismo che il comunismo sovietico. Oggi per giustificare una produzione sempre crescente la pubblicità mira ad accrescere i consumi, ragion per cui il consumismo è l’altra faccia della medaglia produttivista. Si spendono ogni anno più di 600 miliardi di dollari in pubblicità, cioè più del doppio di quello che servirebbe secondo la FAO ad eliminare la fame nel mondo entro il 2030(46).

Estrattivismo

Con questo termine ci si riferisce allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali. Gli economisti sanno bene che petrolio, gas, metalli, legna, ecc. non sono illimitati. Ma il punto è che nelle loro equazioni neoclassiche queste voci sono rappresentate dal segno ∞ (infinito). I liberisti sono infatti convinti che i mercati e la tecnologia troveranno sempre un modo per ovviare alla finitudine di tali risorse: scoprendone di nuove o efficientando le tecnologie e i modi di produzione esistenti. Risultato: il capitalismo consuma più risorse di quelle che il pianeta è capace di rinnovare annualmente. Si parla di Earth Overshoot Day (giorno del superamento dei limiti della Terra) o d’«impronta ecologica»: nel 1971 il giorno cadeva il 21 dicembre, nel 2000 il 23 settembre, nel 2019 il 29 luglio(47).

Un sistema guerrafondaio

Gli estimatori della mondializzazione incensano il libero mercato per la sua capacità di ridurre le guerre. Omettono però di dire che attualmente sono 36 i conflitti armati in corso nel mondo(48). Tutti sono legati in qualche modo allo sfruttamento e all’accaparramento delle risorse e/o al business occidentale delle armi. Ogni anno si spendono più di 1.700 miliardi di dollari in armamenti(49). Ovvero sei volte e mezzo la cifra che serve per eliminare la fame nel mondo.

 

La finanziarizzazione di tutto

Tra il 1970 e il 2016, il volume delle transazioni finanziarie si è moltiplicato per 500 per raggiungere i 4200 miliardi di euro al giorno. Di questo fiume di denaro, solo il 5% concerne l’economia reale: il resto è pura speculazione, peraltro effettuata in grossa parte da algoritmi che fanno scambi ad alta frequenza. La nostra è l’epoca dell’assolutismo finanziario: le banche si finanziano soprattutto sui mercati, mentre nessuna grande impresa si sottrae all’entrata in borsa. Il sociologo Luciano Gallino chiama tutto questo «finanzcapitalismo»(50). La speculazione finanziaria sostituisce la logica capitalistica dell’investimento con quella feudale della rendita. Gli azionisti non sono investitori che prendono rischi, ma proprietari di un’impresa che non controllano direttamente (perché la gestione è in mano ai manager) e da cui ricevono benefici senza muovere un dito. In un regime finanziarizzato, gli azionisti perseguono il profitto a qualunque costo, anche sociale o ambientale: il valore delle azioni per esempio sale non appena la dirigenza annuncia piani di licenziamento faraonici. Inoltre, le multinazionali che sfruttano le foreste tropicali non si fanno scrupoli ad assoldare sicari per uccidere indios e attivisti che hanno l’infelice idea di proteggere gli alberi millenari(51). Allo stesso tempo, l’impunità regna sovrana: per tali ed altri crimini, le multinazionali sono condannate, nel migliore dei casi, a pagare multe da qualche milione di dollari – briciole di fronte ai loro fatturati multimiliardari.

 

Privatizzazioni

Immaginate il tempo, il lavoro, le risorse e i finanziamenti pubblici che sono stati necessari a costruire l’insieme delle infrastrutture autostradali e ferroviarie di un Paese. Il loro valore è incalcolabile, attestandosi su centinaia, se non migliaia di miliardi. Immaginate poi che un governo le dia «in concessione» per l’1% del loro valore reale. Da contribuenti, che effetto vi fa? Per giustificare le privatizzazioni, i governi utilizzano due argomenti:

• da una parte, la gestione privata sarà migliore di quella dello Stato, ossia meno burocratica, più efficiente e meno cara;
• d’altra parte, vendere i beni pubblici è un modo come un altro per fare cassa in un contesto di debito pubblico smisurato.

In realtà, quando i servizi vengono privatizzati, l’offerta si riduce (per esempio, alcune tratte ferroviarie vengono soppresse perché poco battute), i prezzi dei servizi tendono a salire (di fronte a una qualità decrescente) e gli investimenti innovativi o manutentivi tendono a diminuire (con conseguenze tipo il Ponte Morandi). Inoltre, non solo è economicamente illogico vendere un artefatto che vale migliaia di miliardi per qualche decina, ma è anche politicamente disonesto non considerare modi più giusti di fare cassa per ricoprire il debito. Per esempio si possono aumentare le tasse al 10% più ricco della popolazione; oppure si può ingaggiare una lotta senza quartiere ai paradisi fiscali. I neoliberisti privatizzano e liberalizzano tutto ciò che possono: strade, spiagge, ferrovie, acqua, parchi, monumenti, ecc. Allo stesso tempo, i privati che acquistano i beni pubblici a prezzi irrisori sono gli stessi che finanziano le campagne ai politici che li privatizzano. È chiaro a questo punto come lo Stato, nel neoliberismo, sia diventato il braccio giuridico delle multinazionali. In tale contesto, i governi perseguono una politica di redistribuzione della ricchezza al contrario: dalle classi lavoratrici verso le classi alte. A tal proposito, il geografo australiano David Harvey parla di «accumulazione per espropriazione»(52).

 

Dumping fiscale, sociale e ambientale

Le “élite” traggono beneficio dall’abbattimento delle frontiere e se ne infischiano degli effetti che ciò produce sui popoli messi in competizione fra loro. Si parla di dumping (scaricare) per tutti quei casi in cui si mettono in concorrenza i Paesi in materia di legislazione e costi di produzione di un bene o di un servizio. Si parla di dumping fiscale quando dei Paesi come il Lussemburgo, le Barbados, Panama, ecc. minimizzano le loro imposte per attrarre contribuenti ed investitori stranieri. Si parla di dumping sociale quando si ottiene l’abbassamento dei prezzi dei prodotti mediante l’impiego di manodopera straniera a basso costo e priva di tutele sociali (tipicamente proveniente dall’Europa dell’Est, dalla Cina, dal Bangladesh, ecc.). Si parla di dumping ambientale quando si producono e si esportano materiali e prodotti da Paesi con pochi vincoli ambientali verso Paesi che hanno legislazioni più severe. In altre parole, il dumping è un sistema generalizzato e transnazionale di ricatto al ribasso. Per mettere fine a tale sistema, basterebbe che i Paesi del Nord facessero tre cose:

• rifiutare per via diplomatica la legislazione dei paradisi fiscali;
• introdurre un’imposta basata sulla nazionalità e non sul reddito fiscale (onde evitare che i miliardari spostino la loro residenza in Paesi con tassazioni più vantaggiose);
• vietare l’importazione di prodotti e servizi da Paesi che non rispettano i lavoratori e l’ambiente.

 

Un’economia della scarsità

Quando si tratta del mondo privato, i neoliberisti puntano a facilitare l’accumulazione di capitale in barba al diritto dei lavoratori, ai conti statali e alla conservazione della natura. Quando si tratta del mondo pubblico invece, essi si adoperano a ridurre i finanziamenti, le risorse e i posti disponibili, col pretesto che occorre ridurre il debito e che la concorrenza induce i migliori a dare il meglio di sé. Prendiamo l’esempio dei concorsi per diventare ricercatori: il fatto di mettere a disposizione solo tre posti permanenti di fronte a mille candidati finirà per escludere ben 997 persone, magari altrettanto meritevoli di essere assunte – un vero spreco. Allo stesso tempo, le frodi scientifiche non fanno che aumentare perché spesso i team di ricerca, sottomessi come sono a un regime concorrenziale forsennato, si vedono quasi costretti a modificare parzialmente i loro risultati, al fine di ottenere nuovi finanziamenti. Negli anni ’70, i capitalisti dovettero fronteggiare assenteismi, scioperi e sindacati. Dopo vasti dibattiti, capirono che la disciplina all’interno del posto di lavoro non serviva più a rendere gli impiegati più diligenti; cambiarono allora strategia: bisognava creare la paura e la povertà all’esterno del luogo di lavoro. Avevano ragione: con un sussidio di disoccupazione insufficiente e con un tasso di disoccupazione crescente, ormai i lavoratori si disciplinano perfettamente da sé.

 

La strategia dello shock

Il capitalismo moderno è caratterizzato da crisi cicliche: 1873, 1893, 1907, 1919, 1929, 1987, 2001, 2008. Lungi dall’essere delle eccezioni, le crisi economiche sono costitutive del capitalismo finanziarizzato. Eppure esse non colpiscono tutti indistintamente. Mentre portano «il freddo, la fame e la morte alle persone del popolo, […] gli Astor, i Vanderbilt, i Rockefeller e i Morgan continuano la loro ascesa, in tempi di pace come in tempi di guerra, in tempi di crisi come in tempi di crescita»(53). Friedman ha teorizzato tutto ciò, suggerendo che i momenti di shock economico, sociale o politico sono per i capitalisti occasioni ghiotte per passare all’offensiva. La dittatura di Pinochet e la guerra in Iraq sono due esempi canonici di come gli USA approfittano della repressione popolare e del collasso degli Stati per installare governi antidemocratici preposti a realizzare politiche neoliberiste. L’Uragano Katrina (2006) permise a Bush di privatizzare le scuole di New Orleans. Mentre la crisi del 1929 e la Grande Depressione degli anni ’30 rappresentarono per General Motors (automobili), Firestone (pneumatici) e Standard Oil (petrolio) l’occasione per acquistare a prezzi stracciati (e a volte avvalendosi della mafia) i trasporti pubblici delle principali città americane. A che pro? Al solo fine di smantellarli e fare spazio agli autobus – prodromo della vettura individuale(54). (Nota bene: la cospirazione è stata accertata e sanzionata dalla giustizia americana).

 

Governare mediante il debito

La maggior parte dei debiti pubblici degli Stati non sono stati causati dalla spesa pubblica (per servizi, welfare, infrastrutture), come la dottrina neoliberista martella giornalmente dappertutto mentendo, ma a causa dei regali fiscali che i governi han fatto ai più ricchi e alle banche(55). In certi Paesi i debiti sono stati aggravati dalla corruzione della classe politica (Italia, Grecia). Ma in tutti i casi, «far morire di fame la bestia» con la politica delle casse vuote è una strategia che i neoliberisti usano coscientemente per giustificare le privatizzazioni e disciplinare i lavoratori. È infatti agitando lo spauracchio del debito che i politici e i media di regime giustificano la soppressione dei servizi, del welfare e delle infrastrutture. I nostri sono persino riusciti ad oscurare le vere cause della crisi del 2008 (cioè l’anarchia della finanza) e a far passare l’idea che il problema erano e sono i debiti pubblici degli Stati(56). Sottrarre fondi ai servizi pubblici ne peggiora le prestazioni, con l’effetto che le popolazioni si dirigono di propria sponte verso gli operatori privati. Sembrerebbe davvero un complotto, se non fosse che tali strategie si trovano messe nero su bianco nei testi degli economisti, imprenditori e manager che le hanno suggerite ai politici. Come se non bastasse, i governanti neoliberisti, appoggiandosi sull’ideologia della responsabilità personale, hanno anche smantellato le vecchie tutele per i debitori insolventi (cancellazione e rinegoziazione del debito, stabilimento di un piano di rimborso fattibile, bancarotta, ecc.), lasciando spazio a pignoramenti coatti e ad espulsioni violente d’intere famiglie finite sul lastrico(57). Si prenda l’Unione Europea e la sua Costituzione illegittima, il cosiddetto «Trattato di Lisbona»: i Paesi che l’hanno sottoscritto si sottomettono alla regola del «fiscal compact» o del «pareggio di bilancio», la quale impone un rapporto deficit/PIL inferiore al 3%. Nessuno spiega mai quale sia l’origine di tale regoletta. Uno degli economisti che l’ha ideata racconta la sua genesi. Il patto di bilancio nacque quando François Mitterrand (presidente francese dal ’71 all’81) chiese al suo gabinetto di produrgli una norma facile da presentare ai ministri affamati di fondi. L’1 o il 2% non erano fattibili: fu scelto il 3% perché plausibile e perché, cito testualmente, «fa pensare alla Trinità»(58). Oggi gli economisti, i politici e i giornalisti di regime hanno la faccia tosta di difendere la scientificità di questa regola… Scandaloso, ma altrove c’è di peggio. L’Europa non è la vittima più importante del governo mediante il debito: i Paesi “post-coloniali” ne sanno più di noi(59). Infatti, il debito contratto dai Paesi sudamericani, africani ed asiatici nei confronti dei Paesi del Nord, è sistematicamente usato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale per mantenerli in stato di schiavitù. E per depredarli: alcuni parlano infatti di «Aiuto al contrario: come i Paesi poveri sviluppano i Paesi ricchi»(60). Al Sud, i servizi pubblici e le infrastrutture languono: i bambini possono morire di una semplice febbre, fintantoché gli speculatori del Nord ricevono la loro dose d’interessi. Quando qualche governo, stremato, decide di liberarsi dal giogo del debito, si vede costretto a svendere le materie prime e le risorse del Paese al miglior offerente, oppure a dover autorizzare l’installazione sul suolo nazionale di basi militari di forze straniere(61). Nei rari casi in cui i presidenti dei Paesi del Sud si rivelano incorruttibili, dei sicari intervengono ad ucciderli per lasciare spazio al colpo di Stato delle “élite” in combutta coi governi del Nord. John Perkins, che ha testimoniato tutto questo nel suo Confessioni di un sicario dell’economia (BEAT, 2015), racconta di esser stato fra quelli che, nel 1981, organizzarono gli incidenti aerei in cui persero la vita il presidente dell’Ecuador Jaime Roldós Aguilera(62) e il presidente del Panama Omar Toreiros(63). Anche il presidente del Burkina Faso, il generale Thomas Ankara, fu ucciso nel 1987 dal suo rivale in un attentato militare. Tutti questi capi di governo, ed altri meno simpatici (tipo Gheddafi), sono stati trucidati per le loro posizioni autonomiste e opposte agli interessi imperialistici occidentali.

 

La burocratizzazione del settore pubblico

Sui mercati, i neoliberisti puntano alla deregulation, cioè alla soppressione di leggi e regolamenti che gli impediscono di fare quello che vogliono (il CETA e il TAFTA vanno in questa direzione). Nel settore pubblico, i nostri aguzzini perseguono tutt’altra logica. Il sociologo olandese Chris Lorenz ha descritto come il paradigma del «new public management», apparso negli USA negli anni ’80, abbia finito per trasformare le università pubbliche in aziende. Sempre più esse devono auto-finanziarsi attraverso costi d’iscrizione alti e una corsa ai brevetti(64). Contestualmente, gli atenei si riorganizzano nell’ottica del formalismo burocratico del management, che li suddivide in unità separate, sottoposte a un controllo disciplinario quantificato in indicatori di performance, in audit e in ispezioni da parte di “enti terzi” (per lo più agenzie di funzionari conquistati dall’ideologia neoliberista). Sotto il pretesto di «autonomizzare» le università si nasconde in realtà un progetto che mira a smantellarne l’antica autogestione. Il neoliberismo presenta se stesso come un approccio anti-burocratico e a favore della libertà: in realtà è vero l’esatto opposto.

 

Quantificazione e valutazione

Come scrive il sociologo francese Albert Ogien, «i numeri posseggono una forza di convinzione che disarma ogni critica»(65). Per questo il sistema neoliberista usa la matematica per legittimare le sue politiche assassine. In nome dell’efficienza, esso s’interessa ai risultati, ragion per cui si avvale della quantificazione per misurare gli obiettivi raggiunti. Il «benchmarking», il «ranking», l’«audit» sono solo alcuni degli strumenti che i neoliberisti utilizzano per aumentare la burocratizzazione necessaria a controllare i lavoratori. Questi ultimi vengono oggi governati, non più attraverso il corpo (come nelle catene di montaggio industriali), ma attraverso l’informazione, gli indicatori, le classifiche, i barometri economici.

 

L’ossessione del progetto

I sociologi francesi Luc Boltanski ed ève Chiapello, designano l’elemento costitutivo della sociologia del lavoro neoliberista con l’espressione «città per progetti»(66). Questa formula, poco trasparente, si riferisce ad un modo di organizzazione apparentemente autonomo e autogestito, i cui valori sono la flessibilità, la mobilità e la capacità di lavorare in rete, senza o con poche gerarchie. A seguito di una comparazione fra decine di testi di management degli anni ’60 e degli anni ’90, Boltanski e Chiapello si sono resi conto che i termini di «gerarchia» e «disciplina», inizialmente onnipresenti, vengono poco a poco sostituiti da «progetto» e «autonomia». La loro tesi è che, dopo i movimenti sociali autogestionari, il capitalismo neoliberista è stato capace di rinnovare e rinforzare l’etica del lavoro, attraverso l’integrazione della critica sessantottina contro l’autorità. Oggi vige il mito del lavoro autonomo, persino all’interno delle grandi imprese: le gerarchie, che restano in piedi più che mai, si rendono invisibili organizzando i lavoratori in progetti in cui conta solo il risultato. Magia: attraverso l’illusione dell’autogestione, i capitalisti hanno rinsaldato l’autorità; alla strategia del controllo disciplinare continuo hanno sostituito la strategia del coinvolgimento affettivo per l’impresa. Risultato: mettere radici o avere famiglia diventano imprese titaniche per una gioventù sempre più flessibile e precaria. Il Censis ha mostrato che nel 2019 il 70% degli italiani guardavano al futuro con timore e che 4,4 milioni di persone facevano uso di psicofarmaci(67). In Francia, l’istituto nazionale della sanità stima tra 10 e 14.000 i decessi annuali legati alla disoccupazione(68).

 

L’etica del lavoro

Perché negli ultimi due secoli la tecnologia si è evoluta tanto da spedire sonde su Giove, eppure uomini e donne continuano a lavorare otto ore al giorno, cinque giorni la settimana? Ammesso che alcuni privilegiati amino il loro lavoro (perché creativo, utile, gratificante), per quale motivo la maggior parte di noi dovrebbe esser felice di possedere un posto fisso in banca, in fabbrica, in un call center o in un supermercato? L’«etica del lavoro» o «lavorismo» è quell’ideologia che considera il lavoro come un valore supremo, come il principale elemento capace di conferire dignità e senso alla vita umana. Simili ad ingranaggi di un meccanismo, molti di noi accettano la propria sorte con un fatalismo sorridente. Sembriamo non vedere l’assurdità di quest’assetto sociale, che ci deruba dell’unica esistenza che abbiamo. Una delle grandi battaglie dei prossimi decenni sarà probabilmente combattuta per l’instaurazione di un reddito universale, leggi: “http://www.decrescitafelice.it/2012/11/per-un-reddito-minimo-garantito/”

 

Responsabilizzare il cittadino

Un’altra logica del neoliberismo consiste nel responsabilizzare il cittadino, per deresponsabilizzare la politica e depoliticizzare l’impresa. Prendiamo l’esempio dell’industria e dei suoi effetti inquinanti. Invece di pretendere legislazioni che vietino la plastica, la produzione di rifiuti e l’inquinamento legato ai metodi di produzione, i media ci indottrinano a riciclare, a spegnere le luci quando usciamo da una stanza, a sostituire il rubinetto con un dosatore, ecc. L’idea dietro questo moralismo da quattro soldi è che se tutti facciamo la nostra parte, il pianeta sarà salvo. Ma si tratta di un discorso falso e criminale. Sebbene il comportamento individuale dei cittadini sia importante e possa avere degli impatti positivi, il problema rimane strutturale e politico. Senza regolamentazioni nazionali e internazionali che riconfigurino il settore produttivo, siamo destinati letteralmente all’estinzione della specie. Responsabilizzare il cittadino serve a colpevolizzarlo, distraendolo dai veri assassini seriali – i quali potranno continuare imperterriti a fare dell’obsolescenza programmata, a immettere tonnellate di CO2 nell’atmosfera, a sfruttare il popolo uzbeko per raccogliere il cotone per i nostri vestiti di fast fashion, a riversare liquidi di produzione tossici nei fiumi e nei mari, a portare container di rifiuti elettronici in Africa, ad abbandonare i cadaveri delle navi sulle coste del Bangladesh, e così via.

 

Parassitare la collettività

L’ironia amara è che, malgrado le loro malefatte letali, i neoliberisti passano il loro tempo a criticare fannulloni e parassiti, additando scioperanti, disoccupati e senzatetto. Sono così riusciti a ribaltare la verità: e cioè che sono loro i veri parassiti. Ecco qualche illustrazione a titolo d’esempio:

• in Italia e in altri Paesi occidentali, le multinazionali passano il loro tempo a chiedere finanziamenti statali per evitare di delocalizzare gli stabilimenti e per assumere nuovo personale: peccato che una volta incassati i fondi pubblici, le imprese delocalizzano lo stesso e licenziano in massa con la scusa che l’attività non era più redditizia mentre gli utili aumentano a dismisura;
• sempre in Italia (come altrove), le grandi fortune passano il loro tempo a chiedere alleggerimenti fiscali ai governi, per avere più soldi da investire in innovazione ed assunzioni: ma mentre i redditi più ricchi s’ingigantiscono, il tasso di disoccupazione non cessa d’aumentare. La ragione è semplice: la teoria neoliberista del «trickle-down» (o del gocciolamento della ricchezza dall’alto verso il basso) non funziona. Se guadagnate 1500 euro al mese, ne spenderete un terzo in affitto, un terzo in cibo e un terzo in spese varie. Ma se ne guadagnate 100.000, finirete per accumularli e farli fruttificare nei paradisi fiscali e sui mercati. È questione di logica di classe;
• in Europa e nel mondo, si parla di «bail-out» quando una banca o un istituto di credito sull’orlo del fallimento vengono rimpinguati con soldi pubblici. Dopo la crisi del 2008, la Banca Centrale Europea ha iniettato la modica somma di 2600 miliardi di euro per salvare le banche private dopo che queste avevano avidamente speculato. Stiamo parlando di dieci volte il costo della fame nel mondo(69);
• le «esternalità negative» sono un quarto esempio di parassitismo capitalista: se dovessimo includere nel prezzo di uno smartphone tutti i costi sociali ed ambientali che la sua produzione implica, esso avrebbe tre zeri e non due(70). L’accessibilità dei moderni cellulari dipende dal fatto, per esempio, che il coltan utilizzato per le componenti elettroniche è estratto da bambini-schiavi in Congo(71). Un’altra ragione è che i Paesi esportatori di terre rare se ne infischiano delle falde acquifere: sia USA(72) che Cina(73) hanno infatti avvelenato le proprie acque sotterranee con metalli pesanti e rifiuti radioattivi, permettendoci in cambio di giocare a SuperMario o di postare la pietanza serale su Instagram.

Tutti e quattro questi esempi seguono una e una sola logica: privatizzare i profitti e socializzare le perdite.

 

Polizia e giustizia al servizio della proprietà privata

Alcuni associano liberismo e neoliberismo alla scomparsa dello Stato, confondendo queste due ideologie con l’ultraliberismo. In realtà, i capitalisti di oggi mirano a mantenere il potere statale per metterlo al servizio della proprietà privata. Prendiamo il caso delle medicine(74). I Paesi del Sud sono spesso costretti a dover contrabbandare prodotti farmaceutici non conformi: alcune aziende criminali lo fanno per guadagnarci vendendo medicine placebo o tossiche, mentre altre aziende copiano le medicine occidentali per permettere ai più poveri di curarsi con farmaci che, se non fossero “contraffatti”, risulterebbero troppo costosi. Contestualmente, l’Organizzazione Mondiale del Commercio sguaina le polizie transnazionali, nonché le corti di giustizia internazionali, per combattere entrambi i tipi di contraffazione. In nome dei brevetti, si lasciano così morire milioni di donne, uomini e bambini che hanno l’unica colpa di essere troppo poveri per potersi permettere i farmaci occidentali. Parallelamente, nei Paesi del Nord si modificano i criteri di rischio per vendere farmaci a individui che non ne hanno bisogno.

 

La produzione dell’ignoranza

Sin dalla prima metà del Novecento, le multinazionali hanno ideato e messo in piedi un sistema di costruzione artificiale del dubbio e dell’omissione. Gli storici e i sociologi delle scienze hanno perfino creato un neologismo per parlare di questo fenomeno: l’«agnotologia», ovvero lo studio della produzione dell’ignoranza e della disinformazione. Se avete visto il film Thank you for smoking, sapete di che parlo. Il libro degli storici americani Naomi Oreskes et Erik Conway, Mercanti di dubbi. Come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale (Edizioni Ambiente, 2019), racconta la storia di queste manipolazioni prendendo ad esempio il tabacco, le piogge acide, il DDT, il buco nell’ozono e il cambiamento climatico. In tutti questi casi, la strategia è triplice e consiste nel:

• diffondere false informazioni attraverso i media;
• nascondere i risultati sulla nocività dei prodotti;
• finanziare scienziati dai facili costumi per produrre studi che contraddicano o mettano in dubbio ciò su cui la totalità della comunità scientifica indipendente è d’accordo.

Grazie a queste manipolazioni, la cancerogenicità delle sigarette è stata tenuta nascosta per decenni(75), mentre il cambiamento del clima viene ancora oggi messo in dubbio.

 

4. Tesi

Il neoliberismo è totalitario

Non si confonda «totalitarismo» con «dittatura». Le dittature sono regimi politici in cui un piccolo gruppo di persone esercitano il potere in maniera assoluta, senza cioè leggi o contropoteri che ne limitino l’azione (come nelle monarchie). Non tutte le dittature sono totalitarie e non tutti i regimi totalitari sono dittature. Il totalitarismo è un processo o una dinamica: la filosofa tedesca Hannah Arendt distingueva fra totalitarismi compiuti – nazismo, comunismo – e tendenze totalitarie: per esempio il maccartismo, che all’inizio degli anni ’50 lanciò negli Stati Uniti una “caccia alle streghe” contro chiunque avesse simpatie comuniste(76). Riassumendo vari autori, il totalitarismo si contraddistingue per avere: un partito unico al potere, un’unica ideologia, un controllo su tutti gli aspetti della vita della popolazione, un orizzonte di salvezza terrena, un nemico esterno o interno da abbattere, un sistema di delazione contro i traditori, un controllo dei media e della cultura, e talvolta un’ossessione sulla purezza della razza.
Non penso di snaturare l’accezione se includo nella categoria delle tendenze totalitarie il capitalismo neoliberista, pertinentemente definito da alcuni come un «totalitarismo mercantile»(77). Un regime totalitario aspira – anche se per fortuna non ci riesce mai del tutto – a controllare la totalità degli individui nella totalità della loro esistenza. Che cos’altro fa il capitalismo se non questo?

• Si pensi al fatto che, ad oggi, salvo poche eccezioni che i media neoliberisti si affrettano a demonizzare, chiunque sia al potere persegue sempre lo stesso progetto politico descritto sopra;
• si pensi ai media, in cui le voci critiche di questo modello non vengono invitate, se non per essere ridicolizzate;
• si pensi alla pubblicità, che ci induce in desideri e comportamenti che modificano i nostri rapporti sociali, ma anche la nostra intimità;
• si pensi al discorso mediatico e politico sulla «concorrenza internazionale», data come fatalità dalla quale non ci si può sottrarre e in funzione della quale non c’è altra alternativa se non quella di adattarsi;
• si pensi alla promessa della globalizzazione, capace di farci essere tutti connessi in tempo reale, e di poter dunque beneficiare di Whats-App e di Facebook ma anche del caffè africano e delle banane centro-americane;
• si pensi alla narrativa sul comunismo, erto da presidenti, papi e registi cinematografici a terribile nemico da abbattere, anche quando il termine è impiegato a sproposito;
• si pensi, infine, all’accentramento dei mezzi di comunicazione e produzione culturale nelle mani di pochi grandi gruppi industriali, che propongono un solo sistema di valori, un solo modello di sviluppo, un pensiero unico.

Fatta salva la perpetuazione della razza – tratto che non è affatto costitutivo di tutti i totalitarismi dittatoriali –, gli altri elementi dell’elenco sono in certo modo presenti nel regime neoliberista. Persino il sistema di delazione è operante, sebbene in modo edulcorato: si pensi al controllo intersoggettivo che gli individui esercitano fra di loro, allorché uno non segue una moda, o rifiuta il dogma della crescita, o prende le distanze da certe innovazioni tecniche superflue e dannose.
Certo, nessun Paese occidentale è retto da una dittatura militare – ma il capitalismo di Stato del fascismo e del nazismo fu finanziato da grandi multinazionali bicentenarie come Rockfeller, Ford e IG Farben(78), mentre i neoliberisti non si fanno scrupoli a finanziare colpi di Stato nei Paesi del Sud.
Certo, non siamo neanche in un sistema dispotico – ma il neoliberismo occidentale non ha nessuna remora nell’uso autoritario della forza, allorché i popoli si ribellano chiedendo più democrazia, più giustizia fiscale e più servizi pubblici. Vedasi il caso dei Gilet Gialli in Francia, un movimento popolare totalmente incompreso dai media italiani. Ad oggi, dopo più di un anno di proteste nei centri città e nelle rotonde della provincia francese, si annoverano più di 2000 feriti, oltre trenta mutilati e centinaia di custodie cautelari, il tutto ad opera di una polizia sistematicamente impunita(79). La brutalità dei celerini transalpini ha avuto l’effetto desiderato di terrorizzare la popolazione, mentre il governo Macron ha fatto passare delle leggi che limitano il diritto costituzionale a manifestare. Pochissimi media italiani hanno menzionato il fatto che persino l’ONU si è espressa per criticare l’uso sproporzionato della forza da parte del governo francese contro i suoi cittadini(80).
Il capitalismo contemporaneo non lascia spazi esterni. In quello che il sociologo tedesco Immanuel Wallerstein ha chiamato «sistema-mondo»(81), ci sono solo interstizi. Il neoliberismo è un progetto politico che si dice al di sopra della politica e che riduce i problemi pubblici a una mera gestione manageriale o tecnica. La metafora del liberismo «incastrato» o «disincastrato» usata sopra proviene dal sociologo austro-ungherese Karl Polanyi, che nel 1944 pubblicò La grande trasformazione (Einaudi, 2010). In questo testo fondamentale, l’autore spiegava che nelle società pre-capitaliste l’economia non era autonoma rispetto alla società, ma «incastrata» in essa. Oggi il mercato – che è una delle tante istituzioni di cui si compone la società – ingloba e regola tutte le altre: la famiglia, il lavoro, la religione, la scuola, lo sport, l’arte, ecc., assoggettandole a logiche mercantiliste, di concorrenza e di marketing. L’essenziale è capire che il nemico non è il mercato – inteso come spazio di scambio fra venditori e acquirenti – ma la società di mercato(82).

 

Il neoliberismo è genocida

Il capitalismo contemporaneo è il sistema più assassino che sia mai esistito(83). Quello nazista ha prodotto 6 milioni di morti nei campi di concentramento e 60 milioni a causa della Seconda guerra mondiale. La scoperta dell’America centrale e meridionale ha prodotto, a causa delle guerre e dell’introduzione di malattie esogene, ben 70 milioni di morti(84). Stalin, dal canto suo, ha annientato tra 60 e 90 milioni di persone in trent’anni di dittatura, sommando le vittime dei campi di concentramento a quelle di guerra(85).
Il genocidio odierno compiuto dal capitalismo neoliberista è ancor più devastatore eppure quasi sconosciuto; lo si può stimare a 20-50 milioni di morti all’anno, sommando le vittime

• delle guerre, eseguite al fine di captare il petrolio e le altre risorse necessarie al produttivismo;
• delle epidemie, che scoppiano per mancanza di farmaci, cibo, infrastrutture e beni di prima necessità;
• delle carestie, dovute alle disuguaglianze, al commercio internazionale, alle guerre e al cambiamento del clima (mentre si getta un terzo del cibo prodotto);
• della siccità, dovuta alla mancanza d’infrastrutture e al riscaldamento globale;
• della mortalità infantile, legata alle guerre, alla povertà e alla schiavitù minorile;
• del lavoro, che causa burn out, depressione, suicidi, incidenti, ecc.;
• dell’inquinamento dei suoli, dei mari, dei fiumi e dell’aria;
• degli incidenti stradali, che uccidono più delle guerre;
• dell’obesità, del diabete, dei problemi cardiovascolari e del cancro (le malattie dell’eccesso e della tecnica)(86).

Il termine genocidio definisce l’eliminazione fisica intenzionale di una nazione o di un gruppo qualificato secondo un criterio etnico, religioso, economico o sociale. Da sempre le “élite” colonialiste e capitaliste distruggono i popoli indigeni, ma attraverso sfruttamento, inquinamento, precarizzazione e pauperizzazione esse distruggono anche le classi lavoratrici dei propri Paesi: a Manchester, per esempio, i più ricchi godono di un’aspettativa di vita 28 anni più lunga di quella dei più poveri(87). Questi ed altri esempi mostrano come i capitalisti siano affetti da una forma di razzismo latente. Ciò traspare in particolare da come essi parlano delle classi subalterne. Macron per esempio ha affermato di non voler cedere nulla ai «fannulloni»(88), riferendosi ai Gilet Gialli (gente che non arriva a fine mese pur avendo talvolta tre lavori). In Italia si ricorderà il famoso «choosy» che l’ex ministra Fornero attribuì ai giovani precari per accusarli d’esser troppo schizzinosi. Trump, dal canto suo, non solo afferma che non vorrebbe mai degli indigenti nei posti di comando del suo governo(89), ma pensa anche a un modo per cambiare i modi di misurare la povertà: in assenza di politiche per ridurla effettivamente, perché non renderla invisibile?(90) La sociologa francese Monique Pinçon-Charlot(91), che con il marito ha studiato l’alta borghesia transalpina per decenni, racconta che una volta, ad una festa di un membro di questa classe sociale, le fu negato il bagno in piscina. Secondo la ricercatrice, i ricchi infatti «non [amano] mescolare i corpi» con i poveri…
La frontiera fra classismo e razzismo appare dunque labile. Non si dimentichi inoltre che i capitalisti, con le loro attività industriali, stanno consapevolmente mettendo a rischio la vita di tre quarti dell’umanità a causa del riscaldamento climatico: qualora non si agisca in fretta, metà del pianeta sarà esposta a temperature medie di 50 gradi centigradi per sei mesi l’anno – una situazione letale per il corpo umano(92). A mio avviso sbaglia chi accusa le “élite” di cecità. Come spiegare altrimenti il fatto che gli ultra-ricchi stanno già preparandosi alla catastrofe ambientale e alle rivoluzioni a venire, comprando isole sperdute e bunker dove rifugiarsi e vivere in autonomia(93)?
La mia tesi è che le “élite” sanno quello che fanno. Come afferma convintamente un esponente del Fondo Monetario Internazionale a proposito dei Paesi del Sud strozzati dal debito: «Può accadere talvolta che durante una cura, come l’austerità economica, il paziente per così dire senta dolore, ma per poco, e soprattutto per ottenere una guarigione duratura. [..] A breve termine si fanno sacrifici, ma a lungo termine si ottengono grandi risultati»(94). Rigettando la metafora sanitaria, seguo il sociologo svizzero Jean Ziegler, il quale parla piuttosto di «ordine cannibale del mondo»(95).

 

Il neoliberismo è ecocida

Ecco alcuni dati. Il 20% dell’Amazzonia è stato disboscato(96). A livello globale, il 50% della superficie delle foreste tropicali è andato perduto(97). Dal ’70 ad oggi, il 60% delle popolazioni animali è stato sterminato(98). Le balene sono scese dai 4-5 milioni che erano al milione e tre di oggi (salvarle aiuterebbe fra l’altro a mitigare il clima)(99). Il 75% degli insetti è scomparso a causa dei pesticidi(100). Un milione di specie sono minacciate di estinzione nei prossimi decenni(101), tant’è vero che si parla di «sesta estinzione di massa»(102). Nell’oceano pacifico galleggia un’isola di plastica grande quanto gli USA(103). A causa della pesca eccessiva, della plastica, dell’inquinamento e dell’acidificazione dell’acqua, entro il 2048 i nostri mari potrebbero rimanere vuoti(104). Negli ultimi trent’anni abbiamo perso il 50% delle barriere coralline(105). Mentre in Asia meridionale il 60% delle falde acquifere è contaminato(106). Eccetera.

 

5. Parentesi pratica

Manuale di difesa dalle manipolazioni mediatiche

Pier Paolo Pasolini, intervistato da Enzo Biagi, diceva che i mezzi di comunicazione di massa sono intrinsecamente infantilizzanti (la faccenda è più complessa per quanto riguarda Internet): «nel momento in cui qualcuno ci ascolta nel video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico»(107). Oggi la diffidenza nei confronti dei media è molto più diffusa di prima, ma le fasce di popolazione più disarmate restano esposte a ogni tipo di manipolazione, anche complottistica. Tuttavia le tecniche di propaganda sono così raffinate che chiunque può cascare nel tranello. Esistono alcuni classici sulla materia: Propaganda di Edward Bernays (Piano B, 2018), I persuasori occulti di Vance Packard (Einaudi, 2015), La fabbrica del consenso di Noam Chomsky (Il Saggiatore, 2014), nonché Sur la télévision di Pierre Bourdieu (Raisons d’agir, 1996).

Ecco qualche spunto per riconoscere le principali manipolazioni:

omissione: se rendi invisibile un fenomeno, esso cessa di esistere;
eufemizzazione: consiste nel chiamare un fenomeno con un nome che ne minimizza la violenza o ne sminuisce la gravità. Per esempio, «crescita negativa» per «recessione economica», oppure «ottimizzazione fiscale» per «evasione fiscale legalizzata»;
• un espediente ben conosciuto dagli italiani che guardano il programma televisivo «Report» consiste nel confinare l’informazione critica agli angoli più nascosti del palinsteso (come la sera tardi), cui accede solo una nicchia di qualche migliaio di persone;
• con Trump e Bolsonaro si è parlato di «fake news» (false notizie) come fosse un fenomeno nuovo. In realtà si tratta di un espediente vecchio quanto il giornalismo che consiste nell’annunciare un’informazione falsa in modo sensazionalistico, sfruttando il fatto che la maggior parte dei lettori o degli spettatori non ha i mezzi per discernere il vero dal falso, per mancanza di conoscenze pregresse o per mancanza d’abitudine ad incrociare le fonti. Inoltre, la smentita di una falsa notizia – se arriva – è spesso cantonata ad un trafiletto in ventesima pagina o ad un annuncio di dieci secondi alla fine di un TG. Nella memoria collettiva la falsità resta spesso intatta;
imporre tempi corti in TV è una delle migliori maniere per censurare il pensiero degli invitati. La realtà è complessa e necessita di discorsi argomentati e lunghi. Eppure la brevità dei messaggi informativi, culturali, scientifici o pubblicitari cui la TV abitua gli spettatori abbassa la loro soglia dell’attenzione e la loro capacità di concentrazione anche nelle conversazioni quotidiane;
distrarre il pubblico da un evento importante con sport, gossip e fatti di cronaca nera – sedativi intellettuali efficacissimi;
nascondere mostrando: per esempio rilanciando un dibattito inutile o marginale, mentre nel mondo imperversano catastrofi ambientali, scandali politici e contestazioni sociali;
mostrare rendendo insignificante: se tratto il cambiamento climatico parlando in astratto di due gradi centigradi, non ottengo lo stesso effetto che otterrei se mostrassi i laghi europei, già oggi semi-vuoti a causa della siccità;
mostrare pervertendo il significato di ciò che viene mostrato: se faccio un servizio su una rivolta popolare senza spiegarne le ragioni, indurrò nel pubblico una voglia di repressione poliziesca per il ristabilimento dell’ordine pubblico invece che solidarietà con la lotta;
alternare problema, reazione e soluzione: consiste nell’indicare un falso problema (immigrati) o nel crearne uno ad hoc (sfascio dei servizi pubblici) per vendere una certa soluzione (chiusura delle frontiere, privatizzazioni);
• posso giustificare agli occhi della popolazione un «sacrificio» oggi distanziandone i benefici in un futuro più lontano, oppure rendendolo graduale;
• i media sono formidabili nell’indicare i problemi senza additarne i colpevoli, con l’effetto d’aumentare il fatalismo dei cittadini e il loro senso di colpa;
individuare falsi nemici: oggi è molto diffusa l’idea secondo la quale la causa di molti dei nostri mali sarebbe “l’immigrazione clandestina”. Ci si dimentica di dire non solo che i migranti fuggono da guerre, carestie e siccità prodotte (in)direttamente dai Paesi del Nord; ci si dimentica soprattutto di notare che, se si tassassero i ricchi, si potrebbe migliorare la vita di tutti i cittadini, migranti compresi;
• molto conosciuta in Italia è la tecnica della macchina del fango o, più semplicemente, del gettare discredito su un personaggio pubblico, un organismo o un partito politico, che abbiano opinioni o intenti programmatici anche solo vagamente minacciosi per l’ordine costituito. La diffamazione, la distorsione, l’esagerazione ed altri espedienti vengono implacabilmente predisposti al fine di attenuare la simpatia nei loro confronti;
• va infine menzionato l’argomento tecnocratico e l’infantilizzazione del pubblico che esso implica: se vi presento un problema in termini tecnici, tenderete a disinteressarvene e a delegare agli «esperti». Solo che, così facendo, finirete per affidare la soluzione dei problemi agli stessi che li hanno prodotti.

Un media è indipendente quando è esente da influenze corporativiste e governative. L’oggettività e la neutralità non esistono: ogni informazione è portatrice di un punto di vista contestuale e ideologico. L’importante è che i giornalisti possano essere liberi di avere il proprio punto di vista, e che abbiano anche il dovere di esplicitare da dove parlano. La soluzione non risiede negli “editori puri”, ma nel fare dell’informazione un servizio pubblico libero ed indipendente come la ricerca e la magistratura.

 

Conclusione: quali alternative?

La mancanza di spazio dovuta al formato volutamente corto e agevole dei Volantini militanti m’impedisce d’approfondire la descrizione di alcune alternative, che mi piace tuttavia listare à la Prévert qui di seguito: beni comuni, monete locali, municipalismo libertario, democrazia diretta e partecipativa, ripudio del debito, chiusura delle Borse, rinazionalizzare, decrescere, tassare la ricchezza, istituire un reddito universale, fare dell’educazione popolare, rivitalizzare le campagne, coltivare secondo i principi della permacultura, creare delle cooperative, riscrivere la Costituzione…

__________________

Note

42 Matthias Schmelzer, The hegemony of growth. The OECD and the making of the economic growth paradigm, Cambridge University Press, 2016.
43 Lorenzo Fioramonti, Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo, L’asino d’oro, 2017.
44 http://amp.ilsole24ore.com/pagina/ACGZrI0?fbclid=IwAR13RZ1QJJfVa-e5CSTnXnD5KbgxXEAKr0cmWjt6TkOlVtBbJLpLKAUEllU.
45 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/10/marghera-la-droga-di-hitler-per-sostenere-i-turni-massacranti-cosi-i-lavoratori-a-6-euro-allora-non-perdono-il-posto/5556427/?fbclid=IwAR2whm9hm6zADN1ktcoxgdQ0VIWqJjrqjxdouGHGibor3yERLTjmwNvF98w.
46 https://www.adnkronos.com/soldi/economia/2015/07/10/fao-servono-mld-dollari-anno-per-eliminare-fame-nel-mondo-entro_i2WDqyvK1VDnmlgwxD3kCO.html.
47 https://it.wikipedia.org/wiki/Earth_Overshoot_Day.
48 https://www.tpi.it/esteri/quante-guerre-ci-sono-nel-mondo-20180922172560/.
49 https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/02/spese-militari-record-di-spesa-nel-mondo-1-739-miliardi-di-dollari-nel-2016-in-russia-calano-il-maggior-aumento-in-cina/4328387/.
50 Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, Einaudi, 2011.
51 https://www.lifegate.it/persone/news/brasile-assassinato-paulo-paulino-attivista-amazzonia.
52 http://www.leparoleelecose.it/?p=10178.
53 Howard Zinn, Storia del popolo americano. Dal 1492 ad oggi, Il Saggiatore, 2018.
54 https://it.wikipedia.org/wiki/Cospirazione_della_General_Motors.
55 https://www.monde-diplomatique.fr/2014/10/GADREY/50853.
56 Adam Tooze, Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo, Mondadori, 2018.
57 https://aoc.media/analyse/2019/10/07/les-consequences-sociales-de-la-dette-une-insolente-minimisation/.
58 https://www.monde-diplomatique.fr/2014/10/A/50854.
59 Éric Toussaint, Il sistema. Storia del debito sovrano e del suo ripudio, Bordeaux, 2019.
60 https://www.theguardian.com/global-development-professionals-network/2017/jan/14/aid-in-reverse-how-poor-countries-develop-rich-countries?fbclid=IwAR0YkgBcrUQxIfwSvxLMz-WOhLhwU3YZTK18vuIlkqMgaNAZWQ9Oen86Ots.
61 https://www.youtube.com/watch?v=o9QkPN7mZ40&list=WL&index=879&t=2s.
62 https://it.wikipedia.org/wiki/Jaime_Rold%C3%B3s_Aguilera.
63 https://it.wikipedia.org/wiki/Omar_Torrijos_(politico).
64 Chris Lorenz, «If you’re so smart, why are you under surveillance? Universities, neoliberalism, and New Public Management», Critical Inquiry, 38, 2012.
65 Albert Ogien, Désacraliser le chiffre dans l’évaluation du secteur public, Éditions Quæ, 2013.
66 Luc Boltanski et Ève Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, 2014.
67 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/06/rapporto-censis-2019-il-44-degli-italiani-preoccupato-dal-lavoro-e-in-44-milioni-usano-psicofarmaci-in-un-decennio-400mila-under-40-allestero/5597512/.
68 https://www.francetvinfo.fr/sante/soigner/le-chomage-serait-responsable-de-10-000-a-14-000-deces-par-an_2949371.html.
69 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/12/quantitative-easing-il-piano-della-bce-e-fallito-per-ripartire-occorre-dare-moneta-alleconomia-reale/4951429/.
70 https://it.wikipedia.org/wiki/Esternalit%C3%A0.
71 https://www.corriere.it/esteri/17_aprile_13/inferno-coltan-2adccda8-2218-11e7-807d-a69c30112ddd.shtml.
72 https://it.euronews.com/2019/08/19/terre-rare-e-inquinamento-chi-paga-il-prezzo-ambientale-per-la-produzione-di-auto-elettric.
73 https://www.giuntitvp.it/blog/geoblog/corsa-alle-terre-rare/.
74 Mathieu Quet, Impostures pharmaceutiques. Médicaments illicites et luttes pour l’accès à la santé, La Découverte, 2018.
75 http://salute.aduc.it/articolo/cospiratori+tabacco_20040.php.
76 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, 2009.
77 https://www.youtube.com/watch?v=ZzHD6lQfxvQ.
78https://www.doppiozero.com/materiali/come-il-capitalismo-ha-colonizzato-la-terra?fbclid=IwAR0oHk5vyx3_FV-PDyOFuFxoW989J4u3W96a4JABOBJ78UMKGVY4DmGvUE4.
79 https://www.youtube.com/watch?v=3MjuoDpKLfI.
80 https://ildubbio.news/ildubbio/2019/02/15/lonu-accusa-macron-polizia-violenta-e-attacchi-al-diritto-di-manifestare/.
81 Immanuel Wallerstein, Comprendere il mondo. Introduzione all’analisi dei sistemi-mondo, Asterios, 2013.
82 https://jacobinitalia.it/di-fronte-alla-crisi-occorre-riscoprire-karl-polanyi/.
83 Maurice Cury ed altri, Il libro nero del capitalismo, Tropea, 1999.
84 Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Einaudi, 1984.
85 Stéphane Courtois ed altri, Il libro nero del comunismo, Mondadori, 2000.
86 https://blogs.mediapart.fr/jean-marc-b/blog/261217/victimes-du-capitalisme-un-devoir-de-memoire; https://blogs.mediapart.fr/cartographe-encarte/blog/211217/les-morts-du-capitalisme.
87 https://www.monde-diplomatique.fr/2010/08/BRYGO/19565.
88 https://www.ladepeche.fr/article/2018/09/17/2870297-maladresse-ou-arrogance-les-dix-phrases-choc-d-emmanuel-macron.html.
89 https://www.independent.co.uk/news/world/americas/us-politics/trump-poor-person-economy-commerce-secretary-rich-cabinet-appointments-a7803096.html.
90https://www.aljazeera.com/ajimpact/trump-seeks-change-poverty-defined-190613211821201.html.
91 Pronuncia: Monìc Pansòn-Sciarlò.
92 https://www.nationalgeographic.com/news/2017/06/heatwaves-climate-change-global-warming/.
93 https://forbes.it/2019/04/16/fine-del-mondo-i-milionari-si-preparano-acquistando-bunker-in-nuova-zelanda/.
94 https://www.youtube.com/watch?v=nFVy-j9t8CM&list=WL&index=877&t=0s.
95 Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Il Saggiatore, 2010.
96 https://it.wikipedia.org/wiki/Deforestazione_della_foresta_Amazzonica.
97 https://www.iodonna.it/attualita/costume-e-societa/2015/06/04/allarme-foreste-tropicali-ogni-anno-sparisce-lequivalente-della-svizzera/.
98 https://europa.today.it/ambiente/uomo-animali-estinzione.html.
99 https://www.lifegate.it/persone/news/balene-contrastano-cambiamenti-climatici-assorbono-co2.
100 https://ilsalvagente.it/2017/11/06/pesticidi-in-27-anni-scomparsi-il-75-degli-insetti/.
101 https://www.repubblica.it/ambiente/2019/05/06/news/il_declino_della_vita_sulla_terra_accelera_fino_a_un_milione_di_specie_estinte_nei_prossimi_decenni-225578515/.
102http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2015/06/24/news/sopravviveremo_alla_sesta_estinzione_di_massa_-2667892/.
103 https://it.wikipedia.org/wiki/Pacific_Trash_Vortex.
104 https://scienze.fanpage.it/pesci-in-tavola-vicino-all-estinzione-i-nostri-mari-saranno-vuoti-entro-2048/.
105 https://habitat.thevision.com/barriere-coralline-pianeta/.
106 https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/01/asia-meridionale-il-60-per-cento-delle-falde-acquifere-e-contaminato-rischio-salute-per-750-milioni-di-persone/3003035/.
107 https://www.youtube.com/watch?v=CpFJK3LI4Vs.