Il tema del cambiamento climatico — innestato in un cambiamento globale che riguarda le sorti del pianeta e dell’umanità che lo abita — ci coinvolge da decenni. Le pandemie, ultima quella di Coronavirus 19, non debellata, ma a cui con opportuni sistemi protettivi dovremo abituarci, è un ulteriore segnale dello stravolgimento di equilibri che fanno presagire l’avvento di una nuova era oppure, nell’ipotesi più infausta, la lenta dissoluzione del pianeta.
Tema, quello del cambiamento climatico e dell’urgenza di intervento per scongiurare il collasso, raccolto dal potere politico attraverso summit internazionali, con scarsi risultati per la resistenza di processi produttivi nocivi legati a interessi economici in apparenza irriducibili, con la delusione dei giovani, che guidati da Greta Thunberg, invadono le piazze per protestare. C’è dunque un sommovimento planetario, per quanto tardivo, che quanto meno prende atto della trasformazione della terra.
Questa mostra nasce dalla convinzione che la riflessione e l’espressione artistica, associandosi al coro globale di richiesta di intervento per garantire la sopravvivenza del pianeta, possa fornire un contributo speciale — per le sue potenzialità intrinseche che inglobano emozioni e poesia — alla presa di coscienza della necessità di una corretta interazione tra umanità e pianeta.
Si parla oggi di declino dell’antropocentrismo, di conclusione del ciclo “Homo sapiens”. James Lovelock, scienziato inglese, già nel 1979 in “Gaia. A New Look at Life on Earth” aveva avvertito che l’uomo, facendo parte del sistema sinergico autoregolante che mantiene e perpetua le condizioni per la vita sul pianeta come tutti gli esseri viventi, non gode di diritti privilegiati che si è auto-attribuito (a partire dall’umanesimo rinascimentale), ponendosi al centro del mondo. E’ un partner assieme agli altri organismi, che contribuisce a mantenere l’equilibrio della vita sulla terra, ma può anche distruggerlo.
Allevamenti intensivi megagalattici, in cui gli animali subiscono innaturali condizioni di vita, sovra-popolazione in aumento costante, crescita di CO2, nonostante il declamato intento di riduzione, coltivazioni selvagge a dimensioni spropositate, deforestazione, siccità, migrazioni, capitalismo degenerato: tutte alterazioni, forzature a fini di lucro, che contribuiscono al collasso.
Ma anche lo sviluppo esponenziale della tecnologia è responsabile della trasformazione, intaccando l’umanità nei suoi comportamenti anche in relazione alla terra, comportando con l’industrializzazione robotica della nostra esistenza un rafforzamento del superomismo condannato da Lovelock, come da altri studiosi.
Nella complessità di pensieri e opinioni, generate dalla percezione del cambiamento, l’attuale corrente del “transumanesimo“ nella prospettiva dell’uomo/macchina, intravvede la capacità di superare i limiti propri della natura, debellando invecchiamento e persino la morte .
E nella generale percezione di un cambio di passo, si avverte anche l’auspicio di una nuova speciazione, immaginando un ritorno alla terra primigenia, ai suoi elementi primari, in una sorta di “decrescita felice”, in netto contrasto dunque con l’uomo robotizzato.
Questa mostra “Terra in trasformazione” nasce dalla fusione di due, una nata in Messico a opera dell’artista/curatore Manolo Cocho dal titolo “Crisis Gaia”, una, curata dalla sottoscritta, dal titolo “aQua”, declinando nel quadro generale dalla trasformazione climatica quello specifico di un elemento fondante, che attiene alla vita, tradotto in una sigla alterata, quasi un marchio in cui si sottendono mille sfaccettature.
Cocho ha condotto un’operazione culturale sviluppando una curatela interamente basata sul network, stabilendo connessioni a livello globale, tradotte in opere fotografiche o in video.
AQua, che nasce e si sviluppa soprattutto a Trieste, pur prevedendo presenze da altri luoghi, anche stranieri, contiene concrete installazioni e tutte le svariate declinazioni linguistiche e “contaminazioni” perseguite dall’attuale ricerca espressiva.
In AQua, gli artisti rilevano da una parte la sua naturale limpida bellezza, la sua insostituibile funzione vitale, bene collettivo che va garantito e tutelato alle comunità, o, da un’altra, parte, la sua degenerazione nell’inquinamento, o ancora evidenziano, con installazioni metaforiche, particolari fenomeni che caratterizzano il mutamento climatico, come l’innalzamento dell’acqua del mare per effetto dell’aumento della temperatura del pianeta. Azioni performative e percorsi transdisciplinari che incrociano la ricerca scientifica, coadiuvati dalle nuove tecnologie, attestano la pluralità, la ricchezza e la complessità delle risposte artistiche in un universo espanso e interconnesso.
Fonte: il Piccolo, Trieste
____________________________________________________________________________
In tutte le librerie e/o direttamente da Asterios
https://www.asterios.it/catalogo/gaia-universalis
L’universo è una struttura unitaria vivente. Il significato di questa affermazione viene precisato ed i suoi limiti discussi. Le basi di questa idea sono state poste da Alexander von Humboldt (che per primo ha concepito la rete della vita, formulata in “Cosmos”, 1834) e da James Lovelock che nel 1972 ha proposto l’unità vivente della Terra (“Gaia, un nuovo sguardo alla Vita sulla Terra”). Il concetto di Universo come unità vivente è strettamente legato al Principio dell’Osservatore, che è colui che sa cosa è la Vita e cosa è la Terra nella sua struttura unitaria, e chi è lui stesso. L’Osservatore in realtà sono gli Esseri Umani, me compreso. Per capire che senso ha che un organismo di questo Pianeta formuli un concetto di questo tipo va, in breve e con un po’ di distacco, considerato anche lui.
Il discorso inizia esaminando l’unità dell’Universo ed il concetto di Vita, cercando i punti di contatto tra i due argomenti e le proprietà che in Universo e Vita coincidono; o almeno si avvicinano. Il sottotitolo di questa prima parte è Il sesso degli angeli, a sottolineare la fragilità della logica dell’argomento e, per quanto mi riguarda, il suo interesse di confine tra fisica e metafisica. Il discorso prosegue poi occupandosi della Genetica della brava persona, ad indicare che la specie umana ha come carattere genetico intrinseco, come proprietà dirimente, alcune caratteristiche che lo portano da un lato alla socialità, dall’altro alla elaborazione del pensiero astratto. Poiché la vita e le condizioni che la permettono e la mantengono sono tutto fuorché astratte ed evanescenti, vengono esaminate le ultime tappe della evoluzione umana ripercorrendo i cambiamenti che hanno permesso, e causato, di essere quello che siamo e di pensare in modo ampio. Di questa straordinaria realtà e della unicità di questo processo evolutivo non ci si rende in genere ben conto.
Vengono ricordate alcune tappe evolutive del pensiero umano che riguardano in modo particolare i limiti che separano fisica e metafisica. Tra le quali: la poetica di Esiodo ed il pensiero degli Stoici e dei Pitagorici, coloro che erano giunti alla convinzione che l’unica categoria della mente umana in grado di capire la natura ed il Logos che regge e guida l’Universo è la matematica. Da qui nasce la scienza e la capacità di spingere il pensiero fino ai confini dell’Universo, e di sentirci parte di esso.
Mi è sembrato opportuno presentare le idee che seguono in forma continua, senza capitoli né indice stringente, a sottolineare che si può iniziare a lèggere da qualsiasi punto perché questo discorso non ha una direzione unica, perché è circolare; e perché l’evoluzione e la struttura dell’Universo possono essere trattate in modo perfettamente identico e speculare in entrambe le direzioni, in senso orario ed in quello antiorario, in avanti o all’indietro.
Inserendo comunque ogni tanto, a mò di segnalibro, un breve paragrafo in corsivo che riassume il punto del discorso generale per non abusare eccessivamente della pazienza del lettore.
Un esempio classico di questo tipo di forma di scrittura è in primo luogo il Rayuela di Cortazar, che prologa dicendo: A modo suo questo libro è molti libri, però soprattutto è due libri. Il primo si lascia lèggere nella forma corrente e termina al capitolo 56, (…) . Il secondo si lascia lèggere cominciando al capitolo 73 e proseguendo poi nell’ordine indicato in calce ad ogni capitolo: 73. 1. 2. 116. 3. 34. 4. …
Cortazar faceva propria la teoria letteraria combinatoria dell’OuLiPo, Ouvrage de Littérature Potentielle, di cui erano membri illustri, rimanendo agli italiani, Umberto Eco ed Italo Calvino. “Il castello dei destini incrociati” e “Se una notte d’inverno un viaggiatore” sono altri testi prodotti da questo approccio letterario-combinatorio, forse non riusciti fino in fondo. Esempi molto più illustri, e meno noti, sono in Ovidio, che dichiara la sua intenzione di cantare un carmen perpetuum privo di cesure (Metamorfosi I, 4), e in Callimaco, che sottolinea la natura rapsodica ed intessuta della propria opera. Il rapsodo era colui che recitava, poggiandosi ad un bastone (rhabdos), opere fatte di “canti cuciti”: “… e sul bastone il racconto intessuto …” (Callimaco, Aitia, Lino e Corebo, fr. 26). La ragione di presentare una argomentazione in questo modo è nel fatto che se la sua logica è chiara, deve esserlo in qualsiasi punto, e da qualsiasi punto parta il discorso. Questo modo di esporre serve a sottolineare che l’evoluzione, dell’uomo e dell’Universo, non ha né scopo né direzione.