L’era elisabettiana e la Palestina

 

Sul fatto che con l’addio a Elisabetta II esca di scena l’ultima esponente dei grandi poteri del Novecento non ci possono essere grandi dubbi. Sul fatto che abbia regnato “rappresentando con dignità e senso del dovere la quintessenza dell’Inghilterra”, come scrive Repubblica, in occasione “dell’evento più seguito della Storia”, qualche dubbio, invece, pare più che legittimo. Non è tuttavia così strano che, anche in occasioni come questa, il clamore e la rilevanza mediatica schiaccino la portata epocale dei fondamenti coloniali della corona britannica, cioè dell’impero dove il sole non tramontava mai, così come mai si asciugava il sangue versato. Ilan Pappé, docente in un’università della contea inglese di Devon, uno dei “Nuovi storici” israeliani che, dal rilascio dei pertinenti documenti del governo britannico e israeliano all’inizio degli anni ’80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948, riesamina la politica britannica nei confronti della Palestina e il suo impatto.

Mentre milioni di persone in Gran Bretagna e in tutto il mondo non possono smettere di cantare le lodi della defunta Regina come esempio di moderazione, sensibilità e buon senso, non poche delle persone che furono colonizzate durante il suo regno, o erano sudditi di second’ordine nella stessa Gran Bretagna, hanno avuto una visione molto più complessa dei suoi 70 anni di governo.

Naturalmente, la Regina non è stata la principale responsabile delle politiche in tutti questi 70 anni, ma simbolicamente, qualsiasi decisione presa è stata dopo tutto la decisione del governo di Sua Maestà, nel bene e nel male. Quindi, possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che un’era sta per finire, e questo è sempre un buon momento per riflettere e riassumere. Da questa prospettiva, vorrei riesaminare la Palestina di quell’epoca, più specificamente la politica britannica nei confronti della Palestina e il suo impatto.

Il governo della Regina Elisabetta iniziò dopo la Nakba. Pertanto, il vergognoso comportamento britannico che ha permesso la pulizia etnica israeliana dei palestinesi nel 1948 appartiene al periodo in cui suo padre era il Re del Regno Unito. Elisabetta iniziò il suo regno quando il Partito Conservatore si riprese dopo una sconfitta a sorpresa nelle elezioni del 1945 dei laburisti che stavano governando la Gran Bretagna durante il periodo della Nakba e si assumeva la responsabilità diretta del suo verificarsi.

Quando i conservatori tornarono al governo, prima sotto Winston Churchill e poi sotto Antony Eden, un altro capitolo vergognoso nelle relazioni della Gran Bretagna con la Palestina e il mondo arabo fu scritto dal governo di Sua Maestà. La Gran Bretagna ha collaborato con Francia e Israele per cercare di rovesciare Gamal Abdul Nasser e, lungo il percorso, ha pienamente approvato l’intransigente rifiuto israeliano di consentire il ritorno dei profughi palestinesi, un rifiuto che è stato seguito da una politica di sparare per uccidere contro i profughi palestinesi che cercavano di recuperare i loro raccolti, l’allevamento e quant’altro fosse rimasto dopo il saccheggio israeliano delle campagne palestinesi nel 1948.

Il Partito Laburista, nel periodo tra la Nakba e la Naksa (la guerra del giugno 1967), era il più delle volte all’opposizione, ma era il più fedele alleato di Israele, a un livello inimmaginabile ancora oggi. Un’alleanza che includeva anche il Consiglio dell’Unione Sindacale, che, insieme ad altri leader socialisti, ha chiuso un occhio sulle sofferenze degli arabi dal 1948 sotto un governo militare crudele, basato sui regolamenti di emergenza colonialisti britannici che hanno generato, tra le altre atrocità, il massacro di Kafr Qassem nel 1956, preceduto dal massacro del villaggio di Qibya prima, e poi del villaggio di Samu’.

In quei giorni fu fondato un nuovo gruppo, The Labour Friends of Israel (Gli Amici Laburisti di Israele), che divenne un pilastro della lobby filo-israeliana in Gran Bretagna, già abbastanza ben affermata come lobby filo-sionista dal 1900, anno in cui il Quarto Congresso Sionista si riunì a Londra dando inizio alla costruzione di una potente lobby, che ha portato alla Dichiarazione Balfour e all’impegno britannico di consegnare la Palestina al movimento sionista a spese del popolo palestinese nativo.

In quel periodo iniziarono due processi cruciali per fornire uno scudo di immunità intorno a Israele, che gli avrebbe consentito, fino ad oggi, di continuare le politiche di colonizzazione e spossessamento in Palestina, senza timore di rimproveri o condanne internazionali.

Il primo è stato il pieno reclutamento di rispettose istituzioni anglo-ebraiche, che in teoria avrebbero dovuto occuparsi delle preoccupazioni della comunità anglo-ebraica, della causa sionista e poi israeliana. Il più importante di loro era il Consiglio dei Deputati, che si trasformò da Parlamento degli ebrei britannici in un’ambasciata israeliana.

Il secondo processo è stata una stretta associazione tra una carriera politica di successo all’interno del Partito Laburista e l’appartenenza ai Labour Friends of Israel. Essere un amico di Israele poteva portare molto lontano nel partito.

Il panorama elisabettiano cambiò dopo il giugno 1967. Era più difficile vendere al pubblico britannico il mini-impero israeliano come un povero David che combatteva il Golia arabo. Un cambiamento fondamentale nell’atteggiamento della base in tutti i partiti politici si è verificato dopo il 1967 e in risposta al riemergere del Movimento di Liberazione Palestinese. Questa oscillazione verso la solidarietà con i palestinesi cominciò a influenzare le politiche dall’alto.

Due politici britannici, uno del Partito Laburista e uno del Partito Conservatore, incarnarono questo cambiamento di mentalità. Non sempre per la loro solidarietà con la difficile situazione palestinese, anche se faceva parte di ciò che li ha motivati, ma anche per la comprensione che il sostegno incondizionato a Israele può avere un impatto negativo sulla posizione britannica nel mondo arabo.

Il primo era il Ministro degli Esteri laburista, George Brown e il secondo era il Ministro degli Esteri conservatore, Alex Douglass Home. Entrambi sono stati raffigurati dalla lobby con aggettivi e un linguaggio che molti anni dopo saranno riservati al leader del Partito Laburista, Jeremy Corbyn. Il peccato di tutti e tre questi politici è stato il coraggio di assumere una posizione equilibrata sulla questione della Palestina, che è stata immediatamente bollata da Israele e dalla sua lobby come antisemita.

Brown, alle Nazioni Unite, ha chiesto il ritiro totale di Israele dai Territori Occupati nel 1967 e portato l’attenzione sulla difficile situazione dei rifugiati palestinesi. Douglass Home, in un famoso discorso ad Harrogate nel 1970, si è spinto ancora oltre, collocando la questione palestinese al centro di quello che è stato chiamato “il conflitto arabo-israeliano”. Ciò che entrambi hanno offerto era molto diverso da ciò che era, ed è, necessario per portare pace e giustizia nella Palestina storica, ma ha suggerito politiche che avrebbero potuto portarci nella giusta direzione.

Più promettente, negli anni successivi al 1967, è stato il lavoro della campagna organizzata di solidarietà guidata dai nostri amici Ghada Karmi, Christopher Mayhew e Michael Adams, per citare solo alcuni di coloro che sono coinvolti nella politica britannica in tutti e tre i partiti: Laburista, Conservatore e Liberale. Loro, insieme agli ebrei antisionisti britannici ed ex israeliani, e alla comunità palestinese in Gran Bretagna, hanno sfidato una potente lobby, che ha aggiunto alla sua struttura già esistente una schiera di nuovi gruppi, il più importante tra loro era il Conservative Friends of Israel (Amici Conservatori di Israele), il più grande gruppo di lobby in Europa. Oggi, l’80% dei parlamentari conservatori fa parte di questa organizzazione.

Foto Middle East Monitor

Quindi, non c’è da stupirsi del perché Brown e Douglass Home non abbiano avuto alcun impatto sulla politica britannica nei confronti della questione palestinese. Le persone che contavano in questo senso erano i primi ministri, per lo più del Partito Laburista, come Harold Wilson, Tony Blair e Gordon Brown. Sono stati tutti premiati dal Jewish National Fund (Fondo Nazionale Ebraico), che ha piantato una pineta europea sulle rovine di tre villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, in segno di gratitudine ai politici britannici filo-israeliani.

Tutti e tre erano una sorta di cristiani sionisti, che hanno fornito carta bianca a Israele in un periodo che va dall’inizio degli anni ’70 al 2010, in cui l’ebraizzazione della Cisgiordania e della Grande Gerusalemme e l’inizio dei brutali assalti alla Striscia di Gaza sono stati i tratti distintivi della politica israeliana nei confronti dei palestinesi.

La Gran Bretagna era il membro meno pro-palestinese dell’Unione Europea, prima che i nuovi Paesi europei si unissero all’organizzazione dopo la caduta dell’Unione Sovietica, e seguiva fedelmente la disonesta intermediazione americana nel cosiddetto processo di pace continuando a fornire a Israele armi e supporto diplomatico, in un mondo in cui le sue ex colonie stavano cercando di stabilire una nuovo programma di decolonizzazione che includeva la liberazione della Palestina.

La società civile in Gran Bretagna alla fine dell’era elisabettiana è cambiata radicalmente e la solidarietà con i palestinesi non è mai stata così alta nella storia del Regno Unito, al punto che molti approvano l’appello dei palestinesi al popolo britannico a unirsi alla loro campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. 

La lobby filo-israeliana ha rinunciato molti anni fa alla lotta morale per giustificare le politiche criminali di Israele. Sia in Israele che all’interno della lobby, è diventato dolorosamente chiaro che, moralmente, Israele ha ben poco da vendere. Il compito principale della lobby è ora quello di sopprimere il sostegno alla Palestina. Ha avuto pochi successi nel mettere a tacere il dibattito, intimidire individui e istituzioni e addomesticare la politica e i media tradizionali. Ma lì si ferma.

Quando un giorno il sistema politico in Gran Bretagna sarà autenticamente democratico e rispetterà fedelmente la posizione dell’elettorato sulla politica estera, la Gran Bretagna potrà iniziare ad espiare le sue politiche peccaminose nei confronti della Palestina e dei palestinesi e riparare ai mali del passato stando al fianco di coloro che combattono per la liberazione e la giustizia in Palestina.

Fonte originale: The Palestine Chronicle

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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