Per comprendere l’attuale deriva a destra dell’Italia, è necessario ricordare la storia della sinistra italiana, la sua eterogenesi e come questa abbia favorito il processo che ha portato al trionfo del capitalismo neoliberista, la “post-politica oltre ogni ideologia” e l’anomia politica liberista, quindi il successo della destra da Berlusconi, Salvini alla Meloni.
Al tornante della seconda guerra mondiale, l’accordo di Yalta tra Stati Uniti, Regno Unito e URSS impose il sistema bipolare e l’Italia fu relegata in campo atlantista. Paese che ha sempre avuto una debole sovranità nazionale, nonostante le tragiche velleità del fascismo, l’Italia fu devastata, distrutta dalla guerra, nella miseria e con pochissime risorse per la ricostruzione. Come nuova potenza mondiale che puntava al dominio totale del mondo euromediterraneo, gli Stati Uniti hanno subito scommesso sul controllo dell’Italia perché situata al centro del Mediterraneo. Come mostra la storia fin dai Romani, qualsiasi potenza che voglia dominare questo spazio ha bisogno di controllare la penisola e in particolare la Sicilia (dove gli inglesi ebbero un ruolo decisivo già durante lo sbarco di Garibaldi per l’unità d’Italia sotto il regno piemontese — vedi la ricerca di Elio Di Piazza).
Il 10 luglio 1943 le truppe anglosassoni sbarcarono in Sicilia, Mussolini fu destituito; con l’appoggio di Hitler creò la “Repubblica di Salò” nel nord-est del paese mentre il Re d’Italia nominò capo del governo il generale Badoglio.
Nel 1944, al congresso del Partito Comunista Italiano (PCI), l’allora segretario nazionale, Palmiro Togliatti, propose quella che fu chiamata la “svolta di Salerno” dopo il suo incontro con Stalin il 3-4 marzo 1944. L’URSS voleva che i comunisti italiani (decisivi nella Resistenza antifascista e antinazista e nell’effettiva liberazione del Paese ben prima dell’arrivo delle truppe anglosassoni), spingessero per un compromesso tra tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), la monarchia sabauda e il capo del governo provvisorio, il generale Badoglio (già condannato per crimini di guerra coloniale — vedi Fascist Legacy, documentario BBC). Allo stesso tempo, la direttiva di Stalin prevedeva che tutti i partiti comunisti adottassero la propria “via nazionale al socialismo”. Per quelli dei paesi che si collocano nel campo occidentale, ciò significò l’esclusione della rivoluzione socialista, ma solo al progressivo avanzamento verso il socialismo attraverso i compromessi con i partiti democratici. Di fatto, il patto di Yalta impose che i comunisti in campo occidentale accettassero questa collocazione, punto.
Da quel momento in poi gli Stati Uniti scommisero sul loro progressivo controllo dell’Italia attraverso ogni mezzo, compresa la collaborazione della mafia oltre che dei fascisti.
Come ministro della Giustizia del primo governo provvisorio dell’Italia liberata, Togliatti fece votare la cosiddetta “amnistia” (vedi Franzinelli) con decreto presidenziale 22 giugno 1946, n.4: si stabiliva l’estinzione delle sentenze e della persecuzione giudiziaria concernenti reati durante la “guerra civile”, episodi di giustizia sommaria e anche di collaborazionismo con i nazisti, in nome di un “rapido avvio verso condizioni di pace politica e sociale”. Così i fascisti rimasero o tornarono ai loro posti nei ranghi della burocrazia statale, in particolare come prefetti di polizia, giudici, ecc. Ci furono anche casi di personalità e industriali che non furono perseguiti, ad esempio il conte Marzotto, industriale tessile, amico di Goebbels e di Hitler e che aveva regalato alla Wehrmacht un milione di uniformi.
Gli Stati Uniti approfittarono non solo del fatto che l’Italia era uno dei tre paesi sconfitti e quindi soggetto a una serie di restrizioni, ma soprattutto del fatto che il problema più grande dell’Italia riguardava l’economia. Contro la possibilissima vittoria del Fronte Popolare (di sinistra) alle elezioni del 18 aprile 1948, gli Stati Uniti inondarono l’Italia di doni alimentari e altro (pacchetti di pasta, ecc.). Ci fu così quello che è stato chiamato il “colpo di stato bianco” con il quale la Democrazia Cristiana, divenuta il partito degli Stati Uniti e della Chiesa cattolica allora molto conservatrice e anticomunista, vinse le elezioni. Da quel momento in poi, la difesa nazionale, gli affari esteri e buona parte dell’economia del paese furono fagocitati dagli Stati Uniti. La DC giocò quindi il classico ruolo dei dominanti italiani, ovvero quello di power-broker che negozia con l’alleato-dominante la possibilità di autonomia nella gestione della società. La DC si configura quindi come partito-Stato che fonda la sua governance su una fortissima e brutale polizia di Stato e su un settore pubblico molto vasto (grande industria di base — in particolare siderurgica —, elettricità, telefonia, energia da fonti varie, ferrovie, poste ecc.). Tutto questo in intesa con il padronato privato dominato dalle grandi famiglie come gli Agnelli della Fiat, i boss della petrolchimica privata, i cementifici che costruiscono autostrade. Da allora le tre principali lobby italiane sono quelle dell’automobile, del petrolio e del cemento, che producono una terribile devastazione e inquinamento del territorio, una gigantesca speculazione immobiliare, la continua riproduzione di disastri ambientali e un numero elevatissimo di morti e infortuni dei lavoratori. La ricostruzione con l’aiuto del Piano Marshall passò allora attraverso il brutale controllo della polizia e della mafia: più volte la polizia fece fuoco sui manifestanti, provocando numerosi morti; a questo si accompagnò la mafia che in Sicilia uccise decine di sindacalisti.
Il PCI, il PSI e la CGIL furono sempre in testa alle lotte ma anche combattuti tra i militanti che volevano contrattaccare anche con le armi da fuoco e quelli che cercavano di rallentare per paura di scivolare nella guerra civile e soprattutto paura che gli Stati Uniti, i datori di lavoro e le forze reazionarie del paese – inclusa la Chiesa cattolica, potessero ordire il colpo di stato. I servizi segreti statunitensi, infatti, manipolarono a loro piacimento quelli italiani e alcuni mercenari fascisti e mafiosi, che dal 1964 al 1993 organizzarono tentativi di colpi di stato e in particolare vari attentati e stragi, tutti fatti volti a impedire all’Italia di andare a sinistra.
Le sinistre italiane si trovarono così bloccate in una situazione che non lasciava spazio all’azione, se non quella della resistenza sindacale e quella delle battaglie elettorali. Nel frattempo, la DC lavorava per fagocitare i leader di sinistra per prima nei consigli di amministrazione del settore pubblico e nei consigli di fabbrica. Così una parte della sinistra scivolò verso la collaborazione con i datori di lavoro e il governo e condivise anche il tentativo democristiano di sviluppare l’autonomia (relativa) del paese nei confronti degli Stati Uniti attraverso il «panarabismo », una ostpolitik italiana e l’europeismo, mentre allo stesso tempo i vertici della Dc non smisero di mostrarsi zelanti atlantisti (vedi l’anamorfosi dello Stato in Italia).
Fu il colpo di stato in Cile che suscitò grande timore nella sinistra e spinse il PCI di Berlinguer a proclamare il rispetto dell’Alleanza Atlantica e quindi la fedeltà italiana alla NATO che aveva fatto del paese la sua principale base militare nell’area mediterranea, base utilizzata per le guerre in Medio Oriente (si noti, inoltre, che solo l’esercito americano ha il controllo delle decine di bombe nucleari site nelle basi in Italia, quindi basi statunitensi e non NATO).
Ed è proprio nell’ultimo periodo di Berlinguer che il Pci fu sempre più pressato per scivolare verso orientamenti socialdemocratici, poco a poco neoliberisti oltre che verso quello che venne chiamato il “compromesso storico” (tra DC e PCI). L’assassinio di Aldo Moro, favorevole a questo compromesso, e poi la morte di Berlinguer accompagnarono la fine del PCI, mentre allo stesso tempo Craxi guidò il Partito Socialista verso scelte economiche e sociali decisamente lontane da sinistra.
Inizia così il tragico declino della sinistra italiana; nel 1989 il PCI viene sciolto! E questo proprio quando esplode il boom della controrivoluzione neoliberista; ciò provoca una devastante destrutturazione economica, sociale, culturale e politica. La fine della grande e media industria produce la dispersione dei lavoratori tra lavoro sempre più instabile, mal pagato e al nero. Le economie sommerse arrivano a oltre il 32% del PIL, circa 8 milioni di lavoratori oscillano dal precariato al lavoro nero, sotto il potere violento di caporali legati alla mafia; una gigantesca frode fiscale… circa 10 milioni di elettori (anche dell’ex-sinistra) che votano per chi promette di tutelarli con condoni dell’evasione fiscale e dell’illecito di ogni genere. Così nei primi anni ’90 vinse Berlusconi (prometteva “meno tasse per tutti”, la fine delle persecuzioni giudiziarie per ogni tipo di attività economica, insomma la libertà di super-sfruttare e aggirare lo Stato di diritto democratico a piacimento di ognuno — anamorfosi come passaggio continuo da lecito all’illecito e viceversa). In questa svolta si situa la forte ascesa della Lega di Bossi e poi di Salvini che diventa primo partito nel Nord del Paese: i suoi feudi sono proprio le terre dei piccoli e medi imprenditori che spesso super-sfruttano gli immigrati al nero, eludono il fisco, non esitano a invocare l’appoggio delle mafie. E le economie sommerse si diffondono ovunque, anche nelle regioni prima chiamate rosse (Emilia-Romagna, Toscana, Marche ecc.). Ma, tanti economisti e sociologi di sinistra non vedono che si tratta di uno sviluppo dell’ibrido tra legale e illegale e persino criminale in tutti i tipi di attività economiche (anche nelle grandi aziende come Fincantieri); per loro si tratta solo “informale” considerato anche geniale perché crea “distretti” molto produttivi, il Made in Italy, la “terza Italia”, che altri paesi ci invidiano e infine imitano (in tutti i paesi si ha un forte aumento delle economie sommerse).
Dalla morte di Berlinguer (1984) la sinistra italiana scivola verso la conversione neoliberista; non ha mai promosso la lotta al supersfruttamento e per un programma di risanamento/legalizzazione delle economie sommerse! I lavoratori sono quindi rimasti abbandonati senza protezione e quindi alla mercé dei caporali e dei mafiosi (al nord e al sud). Basta guardare l’evoluzione degli stipendi medi in Europa dal 1990 al 2020: l’Italia è nella posizione più bassa…; è il Paese in cui il capitalismo liberista ha potuto imporre il supersfruttamento più brutale. E questo anche perché i sindacati sono molto deboli o corrotti e la sinistra non esiste più! (mentre era il paese con la sinistra più forte in Occidente).
Per questo fin dagli anni ‘80 gran parte dell’elettorato di sinistra ha finito per non votare più perché amareggiato o disgustato di fronte a un’ex sinistra diventata di destra, cioè dalla parte dei datori di lavoro, banche e multinazionali. Il PD è diventato la nuova Democrazia Cristiana perdendo anche la componente di sinistra, il principale referente politico delle lobby militari e di polizia, dell’atlantismo più accanito, del più zelante europeismo neoliberista.
Per questo il Paese è scivolato a destra, anche se si può dire che in realtà c’è un grande potenziale di sinistra se la maggioranza dei lavoratori riuscisse a trovare un referente politico credibile. Ma in Italia non abbiamo nulla di paragonabile a quello che è diventata la NUPES in Francia.
Oggi ci sono molte resistenze al liberismo, in particolare con le lotte dei lavoratori della logistica organizzate dai cosiddetti sindacati autonomi e talvolta da qualche struttura dei sindacati confederali, nonché alle lotte contro le grandi opere (vedi NOTAV così come i No-Muos e altre lotte ancora). Ma siamo lontani dal vedere la convergenza di queste lotte e l’emergere di un nuovo referente politico di sinistra credibile ed efficace come in parte è il NUPES in Francia.
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