Quando i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi a ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra. La strada principale resta l’intervento di terzi a mediare. Ma rispetto a quanto accade in Ucraina tutto ciò è brutalmente ignorato dal circo mediatico e dalla politica istituzionale. A livello internazionale esiste anche una vasta letteratura sulla difesa civile non armata e nonviolenta come proposta in grado di rompere la vulgata binaria “resistenza armata o resa”. Ma anche questo viene brutalmente disprezzato da grandi media e partiti. Si fa di tutto per oscurare i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate. Saperi che non mancavano, tra gli altri, ad Hannah Arendt, che ne “La banalità del male”, faceva un appello per lo studio della resistenza danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche, “per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori…”
Tra le tante confusioni lessicali – e di conseguenza concettuali – che hanno una ripercussione fuorviante nella comunicazione e nell’informazione, fino a falsificare la posta in gioco in riferimento alla guerra in Ucraina, continua a essere riproposta l’identificazione strumentale tra richiesta di cessare il fuoco e negoziare subito – che avanzano i movimenti per la pace, il disarmo e la nonviolenza, insieme a papa Francesco – e richiesta, che non fa nessuno, di resa dell’Ucraina. Non è di questa semplificazione che si tratta. Si tratta invece di aiutare le parti coinvolte a trovare una via d’uscita responsabile e sostenibile per entrambe da un avvitamento della guerra che comprende effettivamente – mai come questa volta – il folle rischio di escalation nucleare, che mette in pericolo per primo il popolo ucraino e poi tutti i popoli europei. Se non l’intero pianeta. Chi blatera di “vittoria”, come abbiamo ripetutamente spiegato, sta giocando con le parole a un gioco che non si può giocare. E le parole, in questo caso più che mai, sono pietre.
Oggi, finalmente, questa irresponsabile follia comincia ad essere timidamente stigmatizzata anche da testate giornalistiche che per mesi hanno considerato filo-putiniano chiunque solo osasse dirlo. “Urge affrancarci dalla marcia della follia – scrive, per esempio, da Lucio Caracciolo, direttore di Limes, su La Stampa di sabato 15 ottobre – “Non lo faremo mai finché ci inchioderemo nel presente immediato, matrice del futuro già scritto. Conviene partire dall’avvenire desiderato, implausibile finché rimaniamo prigionieri della cronaca. Primo passo, tregua in Ucraina. Condizione insufficiente e necessaria della pace che molto dopo tempo verrà. Decisori responsabili si esercitano in questa simulazione coraggiosa e salvifica. Sicuramente anche al Cremlino. Ma noi?”. Noi? Noi oltre a recitare il mantra dell’”aggressore” e dell’”aggredito” e alimentare con ulteriori invii di armi una guerra che uccide gli uni e gli altri, nella perversa spirale di violenza e contro-violenza – dentro all’orizzonte nucleare che si staglia sullo sfondo – il nulla. Se non continuare da parte di certi politici e intellettuali a dare addosso a chi propone responsabili passi di pace. Fino a dar loro, per esempio, degli “immorali” (Carlo Calenda, Ansa, 10 ottobre 2022) o sostanzialmente dei vili, accusandoli preventivamente di aver “subito arreso” l’Italia in caso di invasione straniera (Nadia Urbinati, profilo facebook personale, 12 ottobre 2022).
Quel che manca, nel dibattito pubblico, oltre – in molti casi – all’onestà intellettuale ed all’uso della guerra per i “posizionamenti” politici interni, sono i saperi minimi delle pratiche di pacificazione. I saperi di base della nonviolenza. Quelli che conoscono, per esempio, tutti coloro che si occupano di mediazione, i quali sanno che se i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi (o peggio alimentati da istigatori) ad ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra, in un crescendo fino potenzialmente alla distruzione dell’altro. O di entrambi. Se non intervengono soggetti terzi a mediare tra le parti, anziché ad alimentare il conflitto. Si chiama dinamica dell’escalation, quella che Mohandas K. Gandhi spiegava dicendo che “occhio per occhio, il mondo diventa cieco”. È invece ci sono ancora voci insane di mente che – pur scandalizzandosi ogni volta di più per una nuova tappa di violenza e contro-violenza – continuano a ribadire che il conflitto tra Russia ed Ucraina, che vede già il coinvolgimento sul campo di due potenze nucleari, possa e debba risolversi sul piano militare. Sul terreno della guerra, anche nucleare. E continua ad inviare strumenti funzionali a questo scopo.