Nella cultura dominante si è affermata, negli ultimi decenni, la certezza che la Storia sia da osservare come una dimensione introdotta dall’esterno in un Occidente che si pone ormai nella poststoria. La Storia è stata una lunga catena di sofferenze e di stermini. Essa è stata; ma non è più, perché ciò che è percepito come Storia, dal terrorismo agli sbarchi di immigrati, è una fastidiosa interruzione del godimento del mondo.
La vita è pensata come un percorso depoliticizzato e destoricizzato; è il trionfo neoliberale del presentismo: non è necessario interrogarsi sul Passato, perché il Passato non esiste. Siamo in presenza dell’affermarsi definitivo del nichilismo, oppure siamo oltre lo stesso nichilismo?
A scuola la storia non si studia, a causa dell’avvenuta deculturalizzazione dei docenti. A sua volta, la politica, inabissatasi, non interroga più gli storici. Ma questi riflettono sulla loro funzione, in quanto custodi della presenza del Passato nel Presente? Ed è possibile per essi condividere la scelta di campo neoliberista?
L’atteggiamento diffuso è che la Storia è vista come una vicenda che è stata, ma non è più; che la vita è altro dalla Storia, non essendo più un’esperienza storica: insomma, la vita è stata destoricizzata. Viviamo nell’epoca in cui la destoricizzazione della propria vita è da considerarsi l’ultimo tassello della pregressa destoricizzazione del Passato. Sembra superata la convinzione di Foucault sulla Storia quale «fondo da cui tutti gli esseri si dipartono per giungere alla propria esistenza e al proprio effimero scintillio»; la Storia non è più «l’incontornabile del nostro pensiero» (entrambe le citazioni in Foucault, 1967, p. 237): la vita è ripensata come altro dalla politica e dalla Storia.