Cosa ci differenzia dai regimi che definiamo antidemocratici come quelli al potere in Iran, Russia o Turchia? Il voto, la libertà di stampa e della rete? La libertà di culto? La magistratura? I diritti umani? Difficile avere certezze. Forse la domanda più importante, scrive Enrico Euli, è: se i cittadini italiani, francesi o tedeschi facessero quel che stanno facendo i manifestanti in Iran, quale sarebbe la reazione dello Stato? Come si comporterebbero i servizi segreti, le forze dell’ordine, i generali?
Cosa ci differenzia dai regimi che definiamo antidemocratici e autocratici (Iran, Russia, Turchia…)? Non il voto, visto che anche lì avviene e, per il senso che può avere questa parola (per loro, ma anche per noi), liberamente. Sappiamo bene che non è così, in entrambi i casi. Ci piace coltivare l’idea che da noi esista ancora un potere elettorale, mentre lì si voterebbe a comando, in preda alla propaganda ed alla violenza più o meno palese. Ma il voto, anche qui da noi, è condizionato e gestito in molti modi: corruzioni e collusioni mafiose, propaganda mediatica, induzione all’astensionismo di massa. Le nostre repubbliche non sono islamiche o sovietiche, ma non sono neppure – nella sostanza – più democratiche di quelle.
La libertà di stampa sembrerebbe più ampia, ma la differenza va progressivamente riducendosi: l’acquisizione monopolistica delle testate, i processi di reclutamento dei giornalisti, l’autocensura redazionale, il controllo politico delle reti televisive sono tutti fattori evidenti – anche qui da noi – di condizionamento profondo e giungono già ora ad un vero e proprio controllo a monte delle possibilità di critica ed indagine.
Anche la rete, nata per pluralizzare l’informazione e renderla meno dipendente dai poteri forti, è stata progressivamente acquisita da essi ed è oggi quasi totalmente in mano ai Big Data, divenendo così, inversamente alle sue promettenti origini, il contesto di un controllo ancora maggiore – ormai quasi totale – sulle nostre vite.
Le istituzioni religiose non sono alleate politiche dello Stato e sussiste un’assodata libertà di culto. In Occidente non vi sono più teocrazie, insomma, da più di un secolo almeno. Ma abbiamo il problema inverso: le Chiese sono ormai marginalizzate all’interno della sfera privata, in una dimensione morale ma apolitica. Lo stesso papa prova in vari modi a interferire sulla politica, ma con effetti evidentemente scarsi, anche nei confronti dei suoi stessi fedeli (che, spesso, votano e scelgono politiche e politici certo non conformi alle visioni cristiane). Se questo papa morisse e salisse al soglio pontificio un cardinale più morbido verso il liberismo, si perderebbe anche questo debole argine contro le sue tragiche piene. La nostra storia ci insegna, peraltro, che le Chiese – se lo valutano necessario per la loro sopravvivenza – si piegano docilmente ai regimi autocratici e alle dittature.
Lo stato di diritto, l’autonomia della magistratura, i diritti umani e di cittadinanza dovrebbero differenziarci con chiarezza. Ma essi non sono mai stati così sotto attacco anche negli stati democratici. I giudici e i magistrati, per legge, non possono far altro che applicare le leggi. E, se un parlamento fa leggi ingiuste e illegittime, devono seguirle. In questo, alla fin fine, siamo tutti sulla stessa barca: se i regimi politici vanno – democraticamente, cioè mediante voti a maggioranza – verso posizioni antidemocratiche e autoritarie, non saranno certo i corpi giudiziari a potersi e volersi mettere di traverso. Anzi: sia per quei regimi che per i nostri, essi diventano immediatamente proprio gli esecutori diretti di qualunque potenziale nefandezza e ingiustizia, come la storia dello scorso secolo dimostra ampiamente.
Ma il punto di minore differenziazione (e il più pericoloso) riguarda ovviamente il ruolo delle forze di polizia e degli apparati militari. Inutile farsi illusioni sull’esistenza presunta (e mai verificata) di eserciti “democratici”. Al momento opportuno, gli Stati utilizzano gli eserciti per quel che servono: contro i nemici esterni, in guerra, ma in primo luogo contro le renitenti opposizioni interne. La domanda è: se i cittadini italiani, francesi o tedeschi facessero quel che stanno facendo i manifestanti in Iran, quale sarebbe (o sarà, tra non molto, se accadrà) la reazione dello Stato? Come si comporterebbero i servizi segreti, le forze dell’ordine, la cosiddetta Benemerita, i generali in campo? Lo sappiamo già e lo vediamo già, al minimo accenno di protesta non programmata e fuori dalle righe. L’abbiamo già vissuto a Genova nell’estate del 2001. Ma continuiamo a guardare le immagini di Teheran o di Mosca come se si trattasse di un mondo lontano e alieno, incompatibile con quello in cui “ci troviamo – fortunatamente – a vivere”.
Fonte:comune-info.net, 20-12-2022
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