“Il colonialismo evidente ti mutila in modo non rappresentativo: ti proibisce di dire, ti proibisce di fare, ti proibisce di essere. Al contrario, il colonialismo invisibile ti convince che la servitù è il tuo destino e la debolezza la tua natura: ti convince che non puoi dire, non puoi fare, non puoi essere” (Eduardo Galeano, “La cultura del terrore”, da “Il libro degli abbracci”).

Il colonialismo odierno combina elementi di colonialismo palese e occulto. E non dire che non esiste una cosa del genere nelle nostre democrazie. Ridere! Il nostro compito più grande e serio come cittadini è quello di decolonizzare il nostro pensiero, la nostra immaginazione e la nostra vita dagli stereotipi di uno stile di vita che perseguita la nostra vita quotidiana con bugie e fantasmi che ci tengono inchiodati sul divano.

Perché cos’altro se non i fantasmi sono il consumismo sfrenato, l’avidità vorace e l’immagine fabbricata di una vita intrisa di routine, compromessi e sottomissione? Potrebbero non proibirti di dire, ma a modo loro ti proibiscono di fare e di essere. Cosa fare e cosa essere? Mettersi in discussione nella pratica, rivendicare quando si è stati offesi e lottare per ciò che si vuole essere.

L’educazione ti insegna la sottomissione, il compromesso e il rispetto per l’autorità. Le convenzioni sociali ti insegnano il conformismo e ti riempiono di alienazione. La propaganda mediatica prende il sopravvento su tutto il resto, come battezzare il pesce carne e rendere bianco il nero. La televisione, la radio e Internet – con una manciata di onorevoli eccezioni – sono inondati di sfacciate bugie, disinformazione, pettegolezzi, razzismo e travisamento di proporzioni orwelliane.

I cosiddetti media e sistemi di governance sono scuole di fatalismo. “Niente cambia, tutto rimane uguale”, “Anche noi abbiamo visto rivoluzioni; hanno portato a nuove tirannie!”, “Le gerarchie sono l’ordine naturale delle cose”, “Ci sono sempre stati e sempre ci saranno ricchi e poveri”, “Tutto ciò che è dovuto alla natura imperfetta dell’uomo”!

Il capitalismo è presentato come un sistema socio-economico superstorico e il “mercato” come l’acqua in cui si muove il pesce e fuori dal quale è impossibile vivere. Ormai è diventato un tormentone, ma l’espressione del filosofo Frederick Jameson secondo cui “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” conserva un nocciolo duro di verità.

La mancanza di un “orizzonte di anticipazione” (R. Kozelek) esercita un’enorme pressione sulla nostra vita quotidiana, poiché ci priva dell’opzione diversa dal passato di “esperienza vissuta” per poter immaginare un futuro e provare a crearlo.

La “cultura del terrore”, come la chiama Galeano, consiste proprio in questo: abbiamo paura di immaginare, abbiamo paura di sognare, abbiamo paura di agire. E il colonialismo moderno non riguarda solo le relazioni Nord-Sud, ma un Nord e un Sud all’interno di ogni stato separatamente. E se non intraprendiamo una lotta anticoloniale che ci sollevi dal fatalismo, dalla depressione e dal disfattismo, siamo destinati a una catastrofe esistenziale che non riguarderà “qualche sistema” in generale, ma la civiltà stessa come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.

Fonte:efsyn.gr

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