Tre domande a Giorgio Agamben sull’edizione integrale di Homo sacer
Oggi esce in libreria il volume Homo sacer. Edizione integrale, che raccoglie i nove volumi del tuo lavoro ventennale. Ci potresti dire qual è il carattere unitario di questa serie? In che senso questi libri, così diversi per argomento, formano un libro solo?
Mentre scrivevo i nove libri, sapevo che ciascuno di essi era parte di un’unica ricerca, qualcosa come una tessera nell’archeologia della politica occidentale di cui alla fine del primo volume avevo intravisto il programma, che si è andato poi precisando man mano che procedevo nell’indagine. Questo non significa che si tratti di un’opera esaustiva e compiuta una volta per tutte. Ogni opera filosofica – ma forse ogni opera – è sempre un frammento, è sempre incompleta o più che completa. In una genealogia come quella qui intrapresa, che potrebbe continuare all’infinito, la compiutezza – o l’apparenza di compiutezza – dipende da fattori architettonici e stilistici e al limite musicali. Come Benjamin ricordava, l’ultimo livello nella composizione di un’opera non è quello concettuale, è piuttosto di ordine musicale. Solo in questo senso posso considerare l’opera come compiuta.
Nella quarta di copertina si legge che in questa edizione «sono stati restituiti i titoli del progetto originale e sono state inserite le integrazioni – come la lunga nota sul concetto di guerra – e le correzioni volute dall’autore».
Come si diceva una volta, si tratta di un’edizione «definitiva, aumentata e corretta».
Le quindici pagine sulla guerra, in cui mi pare di aver in qualche modo smascherato il dispositivo schmittiano amico-nemico, sono un’integrazione importante al libro sulla guerra civile. Lo stesso vale per la pagina aggiunta alla fine de L’uso dei corpi. Ed è giusto menzionare anche il lavoro importante fatto questa volta non da me, ma dall’editore (nella persona di Diego Ianiro) sulla bibliografia, che ha unificato e verificato i quasi 1400 titoli citati nella ricerca. In questo senso, l’edizione integrale italiana è superiore a quelle inglese e francese, da poco pubblicate, e dovrebbe essere presa a modello di ogni futura riedizione anche dei singoli volumi.
Il lavoro storico e filologico, che è alla base del progetto Homo sacer, ha nella tua ricerca un senso prettamente filosofico. Ce lo puoi spiegare? Che cos’è l’archeologia?
Io credo che non abbia senso distinguere nella mia ricerca l’analisi filosofica da quella archeologica. Una ricerca filosofica che non abbia la forma di un’archeologia rischia di scadere nella chiacchiera. Se uno dei compiti del pensiero è quello di farci comprendere il presente, esso può farlo solo, come suggeriva Foucault, inseguendo le ombre che l’interrogazione del presente proietta nel passato. L’archeologia è in questo senso l’unica via di accesso al presente e io ho sempre preso sul serio la battuta di Flaiano: «Faccio progetti solo per il passato». Tutto Homo sacer non è che uno sconfinato progetto per il passato dell’Occidente: una profezia rivolta al passato, com’è stato detto di ogni vera ricerca storica.
Quodlibet, 25 ottobre 2018