Qualche anno fa Antonio Gibelli, specialista della prima guerra mondiale, si azzardò a scrivere un breve saggio intitolato Berlusconi passato alla storia. Contemporaneamente, al politico milanese si interessarono anche altri storici, esperti del periodo fascista e del suo dopo, tra le menti più acute in campo storiografico italiano: Gabriele Turi, Nicola Tranfaglia, Paul Ginzborg o Gianpasquale Santomassimo [1] . Il libretto di Gibelli mirava a delineare quella che lui chiamava “l’era berlusconiana” nella speranza di “smentire definitivamente il personaggio”, ed esorcizzando la “Draquila” ritratta nel documentario di Sabina Guzzanti del 2010. Il problema che si poneva però non consisteva, come tutti questi analisti vedevano chiaramente, nel sbarazzarsi dell’uomo Berlusconi, ma della cultura di cui era interprete [2]. Lo stesso anno, Mario Monicelli, indimenticabile regista del film Il piccione (I soliti ignoti, 1958), risponde disilluso a un’intervista trasmessa durante la diretta di Michele Santoro “Rai Per una notte” [3] . Ha disegnato il ritratto di un paese sottomesso, la paura nello stomaco che non aveva mai conosciuto la “rivoluzione”. Sperava in un “grande colpo (bella botta) [contro il sistema]”, perché, ha sostenuto, la redenzione verrà solo dal sacrificio e dal dolore.
Il regista italiano sembrava non considerare né la possibilità né (tanto meno) l’opportunità di sbarazzarsi solo di Silvio Berlusconi. Aveva ben compreso allora che non si trattava solo di cacciare un uomo dal governo, ma di affrancarsi dal berlusconismo; “un’ideologia eclettica fatta di populismo, individualismo esasperato, revisionismo storico, uso strumentale e identitario della religione” [4] . Insomma, trasformare la società italiana in cui si era radicata una “cultura di destra”, che andava ben oltre i confini di parte e i limiti cronologici della “discesa in campo [arrivo in campo] di Silvio Berlusconi nel 1994. Una cultura che affonda le sue radici negli anni ’80, quelli “maledetti” ’80, del generalizzato “arricchisci”, dell’individualismo forzato “di individui senza individualità” e dell’antipolitica. Nata nel cuore stesso dei sistemi occidentali, pur essendo un’inversione consustanziale dei loro valori, l’antipolitica si presentava come alternativa antidemocratica (autoritaria e manageriale), contro sistemi presentati come “senza fiato” [5 ] .
Nel 1993, un lungometraggio con Bill Murray e Andie MacDowell, intitolato in francese Un jour sans fin, raccontava la favola di un arrogante giornalista che, bloccato in uno sperduto villaggio nel nord degli Stati Uniti, si svegliava ogni mattina il giorno del suo arrivo con la consapevolezza che era davvero lo stesso giorno. Il sale della storia, d’amore ovviamente, che ha puntellato lo scenario, è consistito nel vedere Bill Murray modificare il proprio comportamento nel tentativo di conquistare il cuore della bella Andie MacDowell. Il film, però, ci raccontava qualcos’altro sulla nuova fase che si apriva allora, una fase segnata da quello che il teorico culturale Mark Fisher definì un “opprimente senso di finitudine e di esaurimento”; “Non sembra”, ha continuato, “che il XXI secolo è già iniziato. Siamo bloccati nel 20° … ” [6] . Il lento affievolirsi dell’idea stessa di futuro di cui parlava il filosofo operaista Franco Berardi ha accompagnato questo processo, così come la sua ombra dannata, la distruzione del passato e della sua memoria.
Nuovo ragazzo in città
1992: il sistema politico italiano crolla. I magistrati “rivelano la corruzione di sistema” che riguarda il finanziamento illecito di partiti su scala nazionale, il cui centro è Milano. La città per eccellenza dell’“ottimismo anni ’80” viene ribattezzata Tangentopoli [la città delle tangenti] [8]. Nel maggio dello stesso anno il terrore mafioso si abbatte sul giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, e le sue guardie del corpo, Rocco di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, tutti assassinati a Capaci; durante il funerale, i politici vengono fischiati dalla folla. In questo clima di violenza, le Camere eleggono il nuovo Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro. A luglio il magistrato Paolo Borsellino e la sua scorta vengono giustiziati a Palermo. Nel 1993 attentati colpiscono le città di Firenze, Roma e Milano in prossimità di monumenti storici, uccidendo diverse persone e dozzine di feriti; tutti questi eventi evidenziano il rapporto tra lo stato italiano e la criminalità organizzata [9]. Come sottolineava, a suo modo, il pm Luca Tescaroli, intervistato da Ferruccio Pinotti nel 2008: “(…) I boss spiegarono che si trattava di una situazione eccezionale e che bisognava preparare il terreno per uomini nuovi, che Cosa Nostra riteneva di poter influenzare e che quindi avrebbe ottenuto dalla mafia il fatto di riportare la calma.» [10]
Marcello dell’Utri nel fra tempo lavora alla costituzione di un partito al quale Silvio Berlusconi, a capo della holding Fininvest sull’orlo del fallimento, ha dato il suo assenso. “Interprete degli interessi di Cosa Nostra” all’interno del governo formato da Silvio Berlusconi nel 1994, Marcello dell’Utri sarà condannato nell’aprile 2018 dalla Corte d’Assise di Palermo a dodici anni di reclusione[11 ] . All’inizio degli anni ’90, la macchina giudiziaria di Mani (Mani pulite) tocca il cuore del sistema politico, portando allo scioglimento della Democrazia cristiana, al potere da cinquant’anni, e del Partito socialista di Bettino Craxi. A ciò si aggiungono il crollo della lira sotto i colpi di un debito pubblico colossale, che raggiunse nel 1994 il 122% del PIL (era quasi raddoppiato tra il 1983 e il 1993, passando dal 59% al 119%) e l’esplosione della disoccupazione [ 12 ] . Nel frattempo, l’Italia ha vissuto il suo primo governo “tecnico”, guidato da Carlo Azeglio Ciampi. Ma la crisi colpisce anche a sinistra. Nel febbraio 1991 il Partito Comunista decise di cambiare nome in occasione del suo 20° congresso. Segnalando una rottura nell’identità e nei valori di riferimento, divenne il Partito Democratico della Sinistra (PDS)[13] . Nel 1992 il comico Beppe Grillo proclamava la nascita della “gentocrazia”, e invocava la presa del potere da parte dell’umore delle persone e della loro rabbia. Durante uno dei suoi spettacoli partecipativi al Teatro Smeraldo di Milano, proprio dove diciassette anni dopo sarebbe nato il Movimento 5 Stelle, lancia il suo primo “Vaffa…” [Vai a farti fottere…] [14 ] .
Un vero e proprio terremoto colpì l’Italia tra il 1992 e il 1994 [15] . Le crisi politiche, istituzionali, economiche, sociali, ma anche morali hanno aperto la strada alla nascita di Forza Italia (FI). Sotto ogni punto di vista un “partito istantaneo”, “nato dal nulla, proprio dalla volontà di abili leader che coagulano attorno a sé forze eterogenee, trasformandole in una base di massa” [16 ]. Non si può quindi dissociare la figura di Silvio Berlusconi che, nella sua veste di “imprenditore di successo”, gioca la carta della personalizzazione della politica, risorsa in un’Italia dove i partiti hanno cattiva reputazione. Questo rifiuto colpisce in particolare le grandi organizzazioni, quelle degli anni del boom del dopoguerra, con reti capillari, che fanno affidamento sull’impegno militante dei loro membri e vettori di rappresentanza di settori sociali al centro del sistema politico [17 ]. La disaffezione si incarna certo negli scandali rivelati da Tangentopoli, ma è anche legata alla nascita di una società postfordista e ai cambiamenti che essa comporta per la produzione (la nascita delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e per lo status dei lavoratori: visibile declino della classe operaia tradizionale (ma non dei salariati), femminilizzazione del mercato del lavoro, precarietà del lavoro, generalizzazione del subappalto, indebolimento della solidarietà, ecc. [18] Fu l’inizio di un processo di sgretolamento delle formazioni sociali a cui i partiti del secondo dopoguerra sembravano incapaci di rispondere. Alla fine degli anni Ottanta, il Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS) dipinge il quadro di un Paese che non condivide “un fondamento comune ritenuto legittimo per il modo di vivere la società”; il 12,5% del PIL del Paese Italia non è forse prodotto dalla criminalità organizzata? [19] Lo storico Giampaolo Pansa descrive poi “un’Italia che fa paura e insieme fa male”, e che sempre più somiglia a questa “immagine banale e terrificante di una gigantesca frana” [20 ] .
Gli anni ’80 si sono conclusi con l’idea di dover ricominciare da zero; un drammatico affronto a chi, all’inizio del decennio, rivendicava un passato su cui costruire solide costruzioni. È il caso del comico napoletano Massimo Troisi, che nel 1981 dirige il film Ricomincio da tre. Le crisi politiche ed economiche si articolano con una profonda crisi morale che precede e accompagna l’operazione “Mani pulite”, ben resa dal lungometraggio di Daniele Lucchetti, Il portaborse (1991), con Nanni Moretti nel ruolo del protagonista. Gli fanno eco intellettuali e saggisti di tutte le convinzioni. Silvio Lanaro, Ernesto Galli della Loggia, Pietro Scoppola, Gian Enrico Rusconi, Norberto Bobbio o Claudio Magris, ciascuno a suo modo, sottolineano il fatto che questa crisi può portare alla “dissoluzione” non solo dello Stato italiano, ma anche del senso di “patria” [21] “Se questa prima repubblica, come dicono molti osservatori, sta per finire, scrive il filosofo Norberto Bobbio, finisce male, malissimo. Per chi, come me, appartiene alla generazione che ha assistito, piena di speranza, alla sua nascita, questa considerazione è molto amara. D’ora in poi, non ho altri desideri che lasciare il palco. La gestazione della seconda repubblica, se dovesse nascere, sarà lunga. Forse non avrò il tempo di vederne la fine. Ma siccome se nascerà, lo farà con gli stessi uomini che non solo hanno fallito, ma che non hanno coscienza del proprio fallimento, non può che nascere male, molto male come male, molto male il primo compiuto. » [22]
È proprio in questa falla che appare Silvio Berlusconi. L’imprenditore milanese è però amico personale del socialista Bettino Craxi, la cui carriera politica oltre che di partito sarà trascinata da Tangentopoli. Membro della loggia P2 dal 26 gennaio 1978, e fervente sostenitore del suo “piano di rinascita democratica”, Berlusconi ha fatto parte del sistema di corruzione della “prima” Repubblica italiana, ricevendo prebende e favori [23 ] . Durante il suo famoso discorso televisivo di autoinvestitura alle elezioni del marzo 1994, Silvio Berlusconi ha presentato il suo movimento come “un tipo totalmente nuovo di libera organizzazione degli elettori. Non una forza nata per dividere, ma per unire” [24]. Il partito fonda la propria legittimità proprio sulla “centralità dell’impresa”.
Forza Italia è “progettata sul modello di una campagna pubblicitaria”, che non avrebbe “né retaggio culturale né matrice ideologica propria”, il che sembra favorirne la presenza diffusa e quasi consolidarne la validità [25 ] . Silvio Berlusconi chiede la fine dei politici professionisti e di ogni forma di mediazione sociale. Il richiamo dell’antipolitica inizia a conquistare lo spazio pubblico e ne diventa il portavoce trionfante, coniugando disarticolazione del legame sociale e novità assoluta nel campo politico italiano. Esacerbando l’immagine del rapporto sublimato del capo con il suo popolo, si propone come “possibilità unica della realtà” [26]. Così facendo, Silvio Berlusconi traccia anzitempo le linee di ciò che alcuni autori hanno definito con la nozione di “neopopulismo” [27] ; vale a dire una democrazia autoritaria in cui il rapporto diretto con il leader passa attraverso le “aspirazioni, virtù e vizi nazionali”, che egli pretende di incarnare [28] . Egli impersona non solo il proprio partito, ma anche la democrazia italiana; una costante nel suo messaggio politico. Durante la campagna elettorale del 2001 fece inviare alla popolazione un opuscolo agiografico dal titolo Una storia italiana.
Silvio Berlusconi annunciò, nel 1994, la sua entrata in corsa per le future elezioni nazionali usando l’analogia della “discesa in campo ”; proseguendo la metafora, il nome del suo partito riprende lo slogan che i tifosi lanciano alla Nazionale durante le partite di calcio: Forza Italia! La scelta delle parole non è dovuta al caso: è frutto di un’operazione pubblicitaria volta a garantirgli il successo di pubblico, come sosterrà maliziosamente il comico Roberto Benigni nel 1996 [29 ]. Forza Italia, il marchio, nasce nel laboratorio di Publitalia, annesso all’ufficio marketing di Mediaset, da cui attingerà il suo personale politico, in particolare Marcello dell’Utri. Silvio Berlusconi gioca sulla nostalgia degli anni Ottanta, “il periodo di ottimismo più intenso” iniziato con la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982. Un successo nazionale che “sembra esorcizzare il passato e aprire le porte a un futuro trionfante”, un “nuovo miracolo italiano “ . Una data entrata nella memoria collettiva, in cui è uscito il remake italiano del film di Harlod Ramis, Endless Day, intitolato È già ieri, strizzerà l’occhio con enfasi. L’eroe (Alfredo), depresso e ubriaco, ricorda: “Quando l’Italia vinse il Mondiale, anch’io scesi in piazza a festeggiare; è stato magnifico […] perché non si ripete questo giorno piuttosto che questa merda…” Eppure, sono stati anni segnati dalla ricchezza privata e dalla povertà pubblica di mezzi, di infrastrutture, di servizi, un Paese povero abitato da gente ricca [31 ]: “un decennio terribile, conclude Angelo d’Orsi, segnato da un generale declino dello stato sociale, una grave perdita dal punto di vista dei diritti e delle condizioni di vita dei “subalterni”, in un’Italia afflitta da corruzione diffusa e partiti [che ne sono] diventati i simboli e gli strumenti” [32] .
Il 26 gennaio 1994, in poco più di nove minuti, di fronte alla telecamera, l’“imprenditore esperto” Silvio Berlusconi presentava le linee guida del suo progetto politico. È seduto alla sua scrivania. Alle sue spalle, le sue foto di famiglia (topos retorico del suo discorso) sono sistemate in librerie praticamente vuote. Inizia il suo intervento mettendo in scena la sua “rinuncia” a tutti gli incarichi nella società “da lui creata”, per occuparsi della cosa pubblica; un “sacrificio” “forzato” da “le sinistre e il comunismo”. Il suo movimento è allora, dice, il più capace di offrire all’Italia (“questo Paese che amo, in cui ho le mie speranze e i miei orizzonti”) una “alternativa credibile” a una “vecchia classe politica, scossa dai fatti e superata dai tempi”.
Centrale nel suo intervento è la battaglia contro la sinistra e il comunismo che, per eccellenza, avrebbe portato in Italia solo sporcizia, irrazionalità e arretratezza: “Gli orfani e i nostalgici del comunismo […] portano in sé un patrimonio ideologico che fa esplodere e contrasta violentemente con le esigenze di una pubblica amministrazione che vuole essere liberale in politica e in economia”. E continua: “I nostri di sinistra dicono di essere cambiati. […] Ma questo non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, le loro convinzioni più profonde, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa cambiare attraverso il libero contributo di persone di ogni estrazione sociale. Non sono cambiati. Ascoltali parlare, guarda le loro notizie pagate dallo stato, leggi la loro stampa. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare il Paese in un luogo urlante, che urla, che inveisce, che condanna.»
Infine, Silvio Berlusconi promette “un nuovo miracolo italiano” che diventerà pochi giorni dopo, durante la presentazione del suo movimento a Roma, il 6 febbraio, “un grande, un nuovo, uno straordinario miracolo italiano” [33 ] ; il passaggio a una “nuova repubblica” è già stato annunciato come un fatto compiuto. Questo animale televisivo che, meglio e più di ogni altro in quel momento, padroneggiava questo strumento (sia economicamente che professionalmente) scelse di rivolgersi direttamente allo spettatore senza interruzioni giornalistiche, per essere catapultato ai vertici della sfera politica [34 ] .
Nel gennaio 1994, Berlusconi ha invitato “tutte le forze liberali e democratiche” a unirsi sotto la sua bandiera. A marzo ha vinto facilmente le elezioni. Si allea nel Sud con il Movimento Sociale Italiano (MSI) di Gianfranco Fini, la più antica organizzazione neofascista d’Europa, fondata subito dopo la seconda guerra mondiale; al Nord con La lega Nord di Umberto Bossi, movimento dall’esacerbato regionalismo identitario che ha acquisito una crescente influenza dall’inizio degli anni 80. Nel 1991, il programma televisivo di Rai3, Profondo Nord di Gad Lerner, lo porta in ogni casa, offrendogli un pubblico nazionale e una piattaforma di valore. Può così distillare a suo agio quelle che alcuni chiameranno, non senza un tocco di elitarismo, vociferazioni brutali che introducono uno stile nuovo nei dibattiti contraddittori [35] . La Lega stava emergendo come il vero imprenditore politico della crisi. È nata nella regione più industrializzata del Paese, sia di “benessere che di disincanto per la paura che questa situazione possa finire” [36]. Fu alimentata dalle difficoltà economiche che avevano seguito il processo di integrazione europea e che avevano colpito duramente i piccoli artigiani e imprenditori del nord-est, il cui numero era cresciuto costantemente negli anni ’70 e ’80, regioni, dove la Democrazia Cristiana aveva i suoi tradizionali capisaldi, presentandosi come portavoce delle loro rivendicazioni [37] .
Leggere Stéfanie Prezioso in acro-polis.it
Silvio Berlusconi si è fatto paladino di una “chiazza di petrolio” [38] . Nell’autunno del 1993, l’imprenditore milanese sostiene la candidatura a sindaco di Napoli della nipote di Benito Mussolini, Alessandra Mussolini (conquisterà il 43% dei voti), e quella di Gianfranco Fini a sindaco di Roma (otterrà il 47% dei voti). La frase lanciata dal magnate dei media, “se fossi romano voterei senza dubbio Gianfranco Fini” farà notizia sulla stampa nazionale [39] ; lo stesso Fini che dichiarò nel 1990: “Nessuno può chiederci di abiurare la nostra matrice fascista”. Ha poi incarnato un’opinione largamente condivisa nelle fila del MSI; si pensi al fatto che nel 1990, il principale riferimento storico dell’88% dei delegati al Congresso di questo movimento era il fascismo [40] . Nell’ottobre 1992 il MSI organizza una mobilitazione nazionale contro la corruzione facendo leva sulla vicinanza del settantesimo anniversario della marcia su Roma e invocando la fine della “Repubblica dei ladri”; Parteciperanno circa 50.000 persone e Repubblica titola: “Bisogna fermarli e subito” [41]. Nel gennaio 1994 il Msi decide di fondare un fronte elettorale, denominato Alleanza nazionale, che dovrebbe incarnare “la casa comune di tutti i diritti”. A marzo è entrato nel governo, ottenendo il 13,5% dei voti e cinque ministeri, diventando la terza forza politica del Paese; la lunga emarginazione del partito che rivendicava il fascismo italiano sembrava giunta al termine tanto più sicuramente in quanto acclamata dagli under 25 [42] . Il partito afferma di essere “il primo vero movimento politico della Seconda Repubblica”: “Il MSI ha raggiunto i suoi obiettivi, la prima Repubblica, contro la quale si è battuto instancabilmente dal 1946, è crollata […] si apre una nuova fase in cui il Il diritto deve fare la sua parte […]. “. Il 29 aprile 1994 ilIl New York Times non sbaglia: “Dopo 50 anni i fascisti tornano al governo”; un’idea confermata una ventina d’anni dopo dallo stesso Gianfranco Fini: “Dopo 50 anni siamo tornati in Italia. » [43]Il 27 gennaio 1995, a Fiuggi, un piccolo paese del Lazio, il MSI tiene il suo XVII congresso e cambia. Si trasforma definitivamente, sotto il forte impulso di Gianfranco Fini, in Alleanza nazionale, un raggruppamento moderno dal nome più presentabile. Questa operazione, da parte dell’estrema destra, è stata largamente favorita dall'”estremismo” e da quella che i giornali italiani hanno definito la “maleducazione” delle prese di posizione pubbliche del leader della Lega Nord, Umberto Bossi. I risultati non si fanno attendere, la “nuova” formazione ottiene oltre il 15% alle elezioni politiche del 1996.
Al Congresso di Fiuggi, Gianfranco Fini ha chiesto la chiusura definitiva del “secolo delle ideologie”, rimandando fascismo e antifascismo ai libri di storia. Questa dichiarazione di intenti è tanto meno credibile in quanto appena un anno prima ancora affermava che Mussolini era stato “il più grande statista del secolo” [44] . Opinione condivisa anche dalla neopresidente della Camera, Irene Pivetti (Lega Nord), che qualche giorno dopo assicurò che Mussolini aveva messo in atto «le cose migliori per le donne e per la famiglia». Per non parlare del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che dichiarò al Washington Post che Mussolini aveva “realizzato cose buone per un certo tempo, un fatto confermato dalla storia” [45]. Il programma del nuovo movimento si intitola: “Pensiamo l’Italia, il domani c’è già” [Pensiamo l’Italia, il futuro è adesso”] [46]. Gianfranco Fini non vuole tanto dimenticare il suo passato neofascista quanto presentare un’alternativa di governo accettabile. Per fare questo invoca una “pacificazione nazionale”: “Se è davvero giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza remore che l’antifascismo è stato il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo era stato sbeffeggiato, è scritto nella sezione “Valori e principi” del programma di Alleanza nazionale (AN), è anche giusto chiedere a tutti di riconoscere che l’antifascismo non è un valore in sé, e che la promozione dell’antifascismo il fascismo nell’ideologia fu praticato dai paesi comunisti e dal Partito Comunista Italiano per legittimarsi nel dopoguerra.
Infine, ed è senza dubbio qui il cuore di questo nuovo programma, Alleanza Nazionale intende distinguere nettamente la destra italiana dal fascismo: “La destra politica non è figlia del fascismo. I valori della destra preesistono al fascismo, lo hanno attraversato, e gli sono sopravvissuti. Le radici culturali della destra affondano nella storia italiana, prima, durante e dopo il fascismo. E a segnare il passaggio, Gianfranco Fini affermerà a Fiuggi: «Sogno un grande partito popolare nazionale, capace di liberarsi dalle nostalgie e dalle ideologie […] finisce il secolo del fascismo e dell’antifascismo, del comunismo e dell’anticomunismo . Ne sta iniziando un altro, in cui non è l’ideologia a guidarci, ma l’interesse nazionale. » [47]Tornato vent’anni dopo al Congresso di Fiuggi, Gianfranco Fini ha ribadito con insistenza gli obiettivi legati alla fondazione di questa nuova destra : i valori e il programma di una nuova linea. L’ambizione era quella di dar vita a una destra con cultura e capacità di governo, capace di fornire risposte credibili a garanzia dell’interesse nazionale. [ 48] L’operazione di Fini sembrò, almeno inizialmente, andare a buon fine; tanto che nel febbraio 1995 un sondaggio lo colloca come il politico più popolare in Italia [49]. Contemporaneamente cominciavano ad uscire dai cassetti i “grandi uomini” del fascismo, potenzialmente funzionali alla “pacificazione” ricercata tanto più intensamente dopo l’arrivo al governo del partito neofascista; questo sarà in particolare il caso del ministro fascista della Pubblica Istruzione Giuseppe Bottai. Questo porterà ad un processo di annacquamento della dittatura di Mussolini accompagnato da una politica di memoria ufficiale e da un tentativo di inquadrare la storia del fascismo in Italia, che favorirà la compenetrazione della borghesia conservatrice e della destra neofascista[50 ] .
Un inesauribile potere di seduzione
La comparsa di Silvio Berlusconi e questa alleanza di governo hanno cambiato a lungo il volto della destra e hanno reso Forza Italia una parte duratura del panorama politico italiano. Forza Italia e Alleanza nazionale, nella loro stessa denominazione, non indicano chiari contenuti programmatici. Piuttosto, cercano di presentarsi come gruppi che vanno oltre la destra tradizionale e la destra neofascista, offuscandone i confini. A ciò si aggiunge la ripetuta “negazione” dell’esistenza di una specifica cultura di destra, che guadagna in diffusione ciò che dovrebbe perdere nella propria identità. Questo diritto si riferisce a “valori” apparentemente “semplici” come la cultura italiana e la “tradizione cristiana” [51]. Forza Italia arriverà addirittura, qualche anno dopo, ad affermare che il crocifisso è la “base dell’identità nazionale italiana” [52] .
L’eccezionale ascendente, l’affascinante influenza, acquisita dalla cultura della destra berlusconiana sulla società italiana risiede nella sua inedita capacità di coniugare culture politiche con affiliazioni distinte; dalla Lega Nord di Umberto Bossi, che unisce feroci regionalismo, razzismo e sentimento antistatale, ad Alleanza nazionale, con forti radici neofasciste che scommette sul rafforzamento dello Stato, in particolare nei confronti dei suoi elettori nel sud della Penisola. In questo senso, il berlusconismo è legato a quello che l’intellettuale gramsciano Stuart Hall definì nel 1988 “populismo autoritario”. Infatti, a quel tempo, sosteneva, riprendendo uno scritto di Lenin, «correnti assolutamente dissimili, interessi di classe assolutamente eterogenei,[53] .
Basato sia sulla ricerca del “consenso popolare attivo” sia sulla coercizione (limitazione e successiva repressione delle libertà collettive), questo nuovo tipo di populismo ha mobilitato un forte apparato culturale di legittimazione ideologica: fine della storia (Fukuyama), valorizzazione delle libertà individuali degli individui senza individualità, la stigmatizzazione dei diritti e in particolare dei diritti sociali e, non ultimo , l’idea diffusa che non ci sia alternativa (il famoso TINA anglosassone- There Is No Alternative ). L’impatto è stato tale che “qualcuno [potrebbe sostenere] che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.» [54] Un modo tra gli altri per produrre “consenso”, partendo dal principio, per dirla con Michael Burawoy, “che ciò che esiste è naturale, inevitabile e fatale” [55]. Questa è senza dubbio una delle vittorie ideologiche più importanti del capitalismo sostenuto nella sua controffensiva dai suoi intellettuali organici. Il berlusconismo supporrà anche la costruzione di una narrazione delle “origini” corrispondente a tutte le sue componenti. L’anticomunismo sarà il cemento ideologico. Anzi, la sua grammatica politica poteva ancora creare illusioni in un Paese dove il Pci contava più di due milioni di iscritti e controllava il principale sindacato della Penisola. Polo indispensabile di quello che il politologo Giorgio Galli aveva definito, alla fine degli anni Sessanta, bipartitismo imperfetto, non era tuttavia che l’ombra di se stesso all’inizio degli anni Novanta [56 ]. L’importante revisione culturale operata da questa nuova destra ha avuto un tale successo che uno dei think tank vicini a Forza Italia, la Fondazione Liberal, ha organizzato nel gennaio 2007 un simposio sul “berlusconismo”, conferendo autonomia concettuale al “sistema” ideato da Berlusconi. Il berlusconismo è definito in particolare come un “liberalismo popolare”, rivolto alle classi medie, profondamente cattoliche e anticomuniste, che valorizzano la libertà individuale e le forze di mercato.
La forza acquisita da questa cultura di destra all’interno della società italiana è da attribuire a tutta una serie di fattori. Invocheremo naturalmente la perdita di ogni orizzonte di trasformazione sociale alla fine del “novecento breve”, che alcuni autori hanno definito la “fine del dopoguerra” [57⌉; l’inesorabile avvicinamento della socialdemocrazia al neoliberismo degli anni ’80, poi la caduta del muro di Berlino che ha inghiottito, con la sua burocrazia regnante, gli ultimi residui di un’esperienza “collettivista”. Anche lo storico britannico Eric J. Hobsbawm evoca la “distruzione del passato, o meglio dei meccanismi sociali che legano i contemporanei alle generazioni precedenti”, come “uno dei fenomeni più caratteristici e misteriosi della fine del XX secolo secolo” [58] . La “fine della storia” sta emergendo come la vittoria indiscussa del capitalismo, con la sua parte di schiavitù, austerità, povertà e precarietà. Tra i nuovi problemi e le sfide che assillano una società in piena mutazione, si noterà certamente una classe operaia sempre meno percepibile, ma anche, quelli che Francesco Biscione chiamava i “repressi della Repubblica” [“Il sommerso de la Reppublica” ] , o la persistenza di una cultura antidemocratica reazionaria nel secondo dopoguerra, vero terreno fertile per la coalizione berlusconiana [59]. Tutti questi elementi sono necessari per comprendere l’apparente “vittoria” di questa nuova destra, ma non sono sufficienti. Ciò non si potrebbe comprendere senza il varco aperto dalla crisi della sinistra e il fattivo appoggio di una parte di essa a Berlusconi (o dovremmo parlare di mimetismo?) affinché “ripulisca la sua lavagna e restituisca il suo potere” [60].
Silvio Berlusconi ha saputo allacciare legami con piccoli e medi imprenditori e con il Vaticano, al quale ha dato garanzie sia in termini di valori difesi (la famiglia) che di interessi tutelati (le scuole private). È anche grazie a questo che ha vinto tre volte le elezioni nazionali, nel 1994, nel 2001 e nel 2008. Ogni volta ha rafforzato la sua presenza in tutto il Paese e di passaggio ha rilevato gli ex membri della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista di Bettino Craxì [61]. Ha cercato, per quanto possibile, di svincolarsi dai meccanismi decisionali previsti dalla Costituzione; il “partito istantaneo” che si fa araldo di una politica “semplificata”, vedendo nel parlamentarismo un freno illegittimo, una sorta di “dittatura gentile” apertamente ostile alla democrazia rappresentativa [62] ; “un sistema a metà strada, scrive lo storico Nicola Tranfaglia, tra il regime di Napoleone III in Francia alla fine dell’Ottocento e le dittature più moderne del Novecento” [ 63] .
Il controllo pressoché totale delle televisioni attraverso le quali la stragrande maggioranza della popolazione italiana si informa, o le leggi ad personam accettate sotto i suoi vari governi, hanno avuto come corollario il degrado o addirittura l’annientamento dell’etica pubblica alla base stessa del rapporto tra Stato e cittadini. Silvio Berlusconi è stato accusato di corruzione, racket, evasione fiscale, concussione, abuso d’ufficio, rapporti sessuali con minori … vieni Basta (B. comme ça basta!): “Nessuna riabilitazione”, scriveva, “potrà mai cancellare i fatti indiscutibili che fanno di B., nell’ordine: un truffatore inveterato; protagonista di un patto di mutuo soccorso stipulato nel 1974 con i vertici di Cosa Nostra; il sostenitore delle mafie per diciotto anni […]; il complice di un pregiudicato per concorso esterno in associazione mafiosa; il probabile approdo della trattativa tra Stato e mafia; un corruttore di senatori e testimoni; un pagatore segreto di [Bettino] Craxi, capo di un gruppo che corrompeva magistrati, finanzieri e politici, comprava premi e falsificava bilanci, accumulava montagne di fondi neri e rapinava con tangenti un concorrente del principale gruppo di stampa italiano;[64]
La lenta scomparsa del “quasi-immortale”
Nel luglio 2012 un sondaggio dedicato agli “eventi che più hanno cambiato l’Italia negli ultimi trent’anni” colloca Silvio Berlusconi al terzo posto, in ordine di importanza, dopo la crisi economica e l’introduzione dell’euro nel 1996, ma prima di Tangentopoli, terrorismo e la fine del governo dello stesso Berlusconi, “cacciato fuori” nel novembre 2011 sotto la pressione dei mercati finanziari e delle istituzioni europee, preoccupano per il crescente aumento del debito pubblico italiano (102,4% del PIL nel 2008, 112,5% nel 2009 ); nel 2010 ha raggiunto il livello più alto dal 1997, con il 115,4% del PIL [65] . Il pilota è così davvero “entrato nella storia”, come annotava lo storico Antonio Gibelli nel 2010[66]. Avrà infatti prodotto le innovazioni più salienti nel rapporto della società italiana con la politica, fabbricando e personificando il nuovo “immaginario” di una nazione dove l’economia informale gioca un ruolo strutturale; dove l’individualismo è la regola; meglio, dove svaniscono i vincoli della solidarietà elementare; dove l’assunzione di responsabilità è sostituita dal richiamo di una partecipazione impotente; dove la “passione politica” ha lasciato il posto a una società atomizzata, ridotta a vedere nel mondo solo le ballerine di lustrini delle televisioni nazionali, e a sentire dibattiti solo volgarità, “istrionismo” e insulti presentati come pegno di “verità” contro ” falsità” e l’ipocrisia del “politicamente corretto”. Perché Silvio Berlusconi non ha usato la televisione, “essa [era] televisione” e l’ha abitata non solo con il suo corpo, ma anche con i suoi valori e i suoi stili, dando vita a quella che alcuni autori hanno definito una vera e propria videocrazia; lo spettacolo politico che non distingue più tra sfera politica e sfera mediatica alla base infotainment, dove l ‘”animale politico” interpreta il ruolo di attore in un teatro di ombre che cerca di alimentare la passione e favorire, per parafrasare Antonio Gramsci, una “connessione sentimentale” tra la personalità politica messa in scena e il suo pubblico . Lo straordinario potere di seduzione del berlusconismo ha portato, per lungo tempo, la popolazione italiana a percepire come naturale il dissolvimento dei principi essenziali su cui si era sinora poggiato il suo rapporto con la società civile [68 ] .
Dalla sua partenza forzata dal governo il 12 novembre 2011 alle 21:42, tra fischi e alleluia da parte del pubblico, il declino politico di Silvio Berlusconi sembra indiscutibile. Lo ha confermato il mutamento degli equilibri di potere all’interno della destra durante le elezioni di marzo 2018 e settembre 2022. In questi ultimi cinque anni, da tutte le parti, viene annunciata la morte del «quasi-immortale» del «più vivace dei politici tra quelli che la storia ha ucciso più volte» [69]: «L’incanto, il grande incantesimo che ingannò gli italiani da quasi vent’anni ormai sono rotti. Silvio Berlusconi non è più in grado di ammaliare il Paese […]”, scrive Claudio Tito sulle colonne del quotidiano La Repubblica [70]. L’incantesimo non funziona più per l’uomo che si presentò nel 1994 come un “imprenditore che fa miracoli”. Un declino messo in scena da Paolo Sorrentino nel suo film dedicato all’ultimo giro del pilota tra il 2007 e il 2009, Loro [ Silvio e gli altri], uscito nelle sale a poche settimane dalla consultazione nazionale del marzo 2018: “Piangiamo anche quando ci fa ancora ridere, dice Santino Recchia alter ego nella fiction Sorrentino, del ministro della Cultura Sandro Bondi. In quegli anni ci ha dato due cose che da sole non potevamo avere. Forza economica ed entusiasmo. Ma questo non basta più. “Il partito personale si impantana proprio sulla figura di questo Silvio Berlusconi ritratto dal giornalista di destra Marcello Veneziani, come il planisfero di questo stupido Ventennio e delle sue ultime conseguenze” di cui “porta le cicatrici, aggravate dal sorriso prima-stampato ”. [71]
L’attacco alle caratteristiche fisiche di Silvio Berlusconi non è un eccesso di giovanilismo applicato alla politica di un Paese che ha visto nascere il quarantenne Matteo Salvini, e oggi la giovane Giorgia Meloni, ma ben si inserisce in quello che era stato a il cuore del sistema Berlusconi: la sua invadente corporeità, la cura data alla rappresentazione di colui che, più e meglio di ogni altro, aveva giocato sulla e dalla sua immagine, il “più grande fenomeno del secolo” secondo Beppe Grillo [ 72] . Ironia della sorte, l’inno composto nel 2002 per Silvio Berlusconi (Meno male che Silvio c’è), utilizzato durante la campagna elettorale del 2008, diventa una hit e tra i brani più scaricati di Spotify alla vigilia delle elezioni di marzo 2018[73]. Tuttavia, soprannominato “Le revoici” (Rieccolo), una sorta di infernale scatola a molla, il Berlusconi d’annata, rassicurante “gingillo” si atteggiò ancora una volta come uno degli arbitri della consultazione nazionale del marzo 2018 [74] . Durante l’esperienza di governo di Mario Monti, appena estromesso dal potere, non avevamo già potuto riascoltare il detto in voga nel secondo dopoguerra, “si stava meglio quando si stava peggio” accompagnato dall’idea che in fondo “Berlusconi era un uomo simpatico” [75] .
Il caimano è apparso risorgere dalle ceneri molte volte, anche all’inizio di maggio 2023, al Congresso di Forza Italia, nonostante il suo volto congelato e pallido che ricorda le maschere di carnevale fiorite nell’Italia anti-berlusconiana nei primi anni 2000; effigi brandite dai manifestanti durante la Giornata No B[erlusconi] del 5 dicembre 2009 per chiedere le dimissioni [76] . Al centro della costellazione della destra, recentemente è apparso come colui che poteva placare gli ardori di Matteo Salvini e Giorgia Meloni [77]. Un Berlusconi moderato come pegno di verginità morale e politica. Nel 2018 sui manifesti di Forza Italia si leggeva accanto a “Berlusconi Presidente”, “Onestà, esperienza, saggezza”, uno slogan che faceva rabbrividire chi aveva ancora in mente la pesante fedina penale del leader di Forza Italia, definito dal tribunale di Milano come dotato di “naturale inclinazione al delitto”. Anche a Silvio Berlusconi è stato impedito di candidarsi alle elezioni del marzo 2018 essendo stato condannato a più di due anni di reclusione (legge anticorruzione nota come “legge Severino” del 2012).
Dal 2018, ovunque in Europa, un Silvio Berlusconi “ricaricato” sembrava in grado di allontanare lo spettro del “populismo” [78] . Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica, che pure era stato una delle punte di diamante della battaglia contro i governi Berlusconi (si pensi alle dieci imbarazzanti domande poste nel 2009 all’allora presidente del Consiglio sui suoi rapporti con i minori [79] ) aveva lanciato un appello a votare per Forza Italia. Da Angela Merkel a Jean-Claude Juncker, passando per Martin Schultz, il socialista che aveva chiamato Kapo all’Europarlamento nel 2014, tutti incoraggiavano questo esito. Anche Bill Emmott, l’ex direttore di The Economist, che nel 2001 aveva dedicato la sua prima pagina a Berlusconi con il titolo “Perché Berlusconi non è adatto a guidare l’Italia”, lo ha presentato nel gennaio 2018 come un potenziale salvatore della penisola [80] . E l’operaista Toni Negri ha annunciato sulla rivista Vanity Fair “dispiaciuto per il modo assurdo in cui [Silvio Berlusconi] era stato trattato. […] Berlusconi è stato condannato prima dalla stampa, dai suoi avversari e dai giudici”, imbiancatura del “padre spirituale della destra” da parte di uno degli “eroi” dell’estrema sinistra [81] .
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Eppure la stragrande maggioranza dell’arco politico italiano ha voluto la scomparsa di questo Berlusconi, classificato da John Hooper, giornalista dell’Economist, tra gli “sporchi dodici” [Dirty Dozen] che hanno rovinato l’Italia con Benito Mussolini tra gli altri e Bettino Craxi [82 ]. Ed è proprio a destra che l’esigenza della sua consegna si è espressa nel modo più imperioso: “Avete avuto il merito ai nostri occhi, scriveva Marcello Veneziani il 28 settembre 2018 in una sorta di orazione funebre al vetriolo, radunare i banchi e gli ultimi banchi della destra e portarli al governo — moderati e populisti, secessionisti e nazionalisti — sconfiggendo la sinistra e i poteri che la sostengono. Siete stati la più formidabile macchina elettorale. Sei riuscito a fondare dal nulla un partito che è stato il più votato per diversi anni; hai portato al potere i lebbrosi del Movimento Sociale Italiano e i contadini della Lega. Avevi l’appoggio popolare e l’ostilità dei palazzi. […] Lei è stato il principale motore del successo del centrodestra, ma in seguito sei diventato la causa principale della sua rovina. […].»[83]
L’unificazione della destra “’sgomberandola’ per farne una forza di governo”, ecco il successo di Silvio Berlusconi; un progetto che quest’ultimo aveva accarezzato molto presto almeno dalla fine degli anni ’70 con la sua adesione alla Loggia P2 e finanziando una scissione del Movimento sociale italiano, denominata Democrazia nazionale, per venire a sostenere la Democrazia cristiana in parlamento [84 ]. Nel 2012 è ancora lui a sostenere la nascita di Fratelli d’Italia, il cui triumvirato (Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Guido Crosetto), sua ex squadra di governo, gli è rimasto fedele; dando al nuovo partito 750mila euro [85]. A partire dagli anni ’90 ha fatto dell’Italia il laboratorio di una nuova costellazione di destra con un potente potere di attrazione, basato su uno “spazio del senso comune”, che Guido Caldiron ha reso con la nozione di “giusto plurale” [86 ] . Ciò è definito dai “confini porosi” tra destra ed estrema destra e dalla sempre più percepibile “dilatazione” dello spazio di intervento politico e culturale dell’estrema destra.
Questa destra plurale è riuscita a porre al centro del dibattito i suoi temi cardine, tra cui il rifiuto dell’immigrazione, simboleggiato a livello governativo nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, il rifiuto dello Stato sociale e la stigmatizzazione dei poveri, sono indubbiamente gli elementi unificanti per eccellenza [88] . Ma è anche riuscito a impadronirsi di quelli che il politologo argentino Ernesto Laclau chiamava significanti vuoti, per investirli della sua grammatica facendone una “tremenda arma di egemonia ideologica”; tra questi la libertà, l’uguaglianza, l’universalismo.
L’ultimo messaggio di Silvio Berlusconi al suo partito e ai suoi elettori lo scorso maggio ha riaffermato l’esistenza di un “centrodestra”, saldamente radicato nei “valori liberali e cristiani”. Tariq Ali e Alain Deneault avevano suggerito, qualche anno fa, di “adottare e diffondere la nozione di centro estremo” per “rivelare quanto, sotto le spoglie della moderazione e del «buon senso», i suoi fautori stiano attuando un progetto i cui mezzi e i fini sono infatti ‘estremi’, cioè brutali, stravaganti, persino folli” [89] . Uno studio i cui estratti sono stati pubblicati dal New York Times sottolinea addirittura che “i centristi sono quelli che meno sostengono la democrazia, che sono i meno impegnati nelle istituzioni democratiche e i più favorevoli a uno sbocco autoritario” [90]. L’epilogo politico del leader di Forza Italia non è poi così lontano dal finale che il regista Nanni Moretti gli dedicò nel 2006, la visione angosciata di un autocrate megalomane incapace di rinunciare al potere: giudici assassinati; palazzi e corti in fiamme; un paese alle prese con un colpo di stato. L’esito della parabola berlusconiana che ha portato all’insediamento al potere dei “nipoti di Mussolini” lascia perplessi….
Fonte: aoc.media