Non aggrapparti all’onda
che s’infrange ai tuoi piedi,
fino a quando restano nell’acqua,
altre onde vi s’infrangeranno.
Bertolt Brecht
Ci sono due siti costieri in Sud Africa, Langebaan e Nahun, dove sono state trovate tracce di persone preistoriche. Le impronte ci dicono che circa ottantamila anni fa i primi uomini scesero sulla spiaggia, magari per giocare con l’acqua o, perché no, per nuotare. “Posso immaginarli mentre sguazzano sulla spiaggia prima di tornare nell’entroterra, lontano dalle tempeste invernali. Quindi sappiamo che, comunque intendessero il mare, la spiaggia era un luogo di relativa sicurezza”, scrive lo storico Robert Ritchie nel suo libro “The Lure of the Beach. A Global History” (La seduzione della spiaggia. Una storia globale), pubblicato dalla University of California Press.
Californiano lui stesso, cresciuto quindi accanto alle onde della spiaggia della West Coast, Ritchie si abbandona a una di quelle indagini e narrazioni storiografiche che, almeno tematicamente, non incontriamo spesso: il rapporto dell’uomo con la spiaggia nel tempo, con l’elemento mare. Quando è iniziato e come? Come è cambiato nel corso dei secoli? Quello che oggi tutti, soprattutto nel nostro paese, diamo per scontato (passare interminabili ore al mare, sotto il sole, fare ogni tipo di gioco in acqua), non è sempre stato così (almeno non per tutti). Eppure, il nostro rapporto con la spiaggia in realtà risale a molto tempo fa.
Questa domanda ha occupato a lungo Ritchie. “La spiaggia è stata la fine primaria e l’inizio. La terra era la patria dell’umanità, il mare il grande sconosciuto. La spiaggia era il limite e l’ultimo punto di sicurezza per i nostri lontani antenati, il luogo dove il mare sempre inquieto si infrangeva violentemente contro la sabbia”, scrive Ritchie. C’è sempre stato il “dramma quotidiano del tramonto e dell’alba”, finché, a un certo punto, il mare ha significato anche altro: “accesso al cibo”. Ebbene, la spiaggia è diventata una specie di stazione di sopravvivenza.
Quello che è certo è che a un certo punto questi nostri lontani antenati hanno deciso di osare: di riaprirsi al mare, all’oceano. Con zattere e canoe diventarono pescatori, sfamando intere comunità e villaggi, iniziarono anche con barche più grandi ad esplorare altri paesi. I polinesiani hanno inventato il catamarano e si sono aperti al Pacifico (lo dimostra molto bene la sorprendente ‘Vaiana’, realizzata per i bambini).
Il grande e immenso mistero divenne fonte di cibo e poi strada verso nuovi luoghi, verso commerci, verso conquiste.
Dagli incantesimi ai resort
Così il mare divenne qualcosa di accettato, scrive Ritchie, e piccole società cominciarono a stabilirsi sulle coste, sulle spiagge. Inevitabilmente, il mare e le sue creature assunsero uno status mitologico, in riva al mare venivano eseguiti rituali per placare gli spiriti marini ribelli.
Allo stesso tempo, la parte pratica è andata ancora oltre. I greci commerciavano, organizzavano campagne, girando per quasi tutto il Mediterraneo. I romani, ancora, approfittarono della baia chiusa e riparata dell’antica Neapolis greca, nella bassa Italia, luogo proibito alle invasioni piratesche. Lì i Romani costruirono ville e, forse, i primi centri estivi della storia.
Tuttavia, l’evento che catalizzò il nostro rapporto con il mare e la spiaggia fu di natura medica: all’inizio del 18° secolo ci si rese conto che l’acqua di mare fa bene alla salute. Fu così: soprattutto in Inghilterra nacquero i primi veri resort. Ma anche i bagni, alcuni laghi o fiumi facevano bene alla salute. Non importa: l’oceano ha vinto. I primi bagnanti sistematici iniziarono a distinguere la bellezza selvaggia, drammatica, ma anche pacifica, sensuale, del mare e del paesaggio marino in generale.
Cominciarono a sorgere resort organizzati in Inghilterra, Francia, nel Baltico e, naturalmente, nel Mediterraneo (soprattutto a Nizza), ma inizialmente tutti si rivolgevano alle classi superiori. I bagni di mare erano un privilegio per i sangue blu e per i ricchi che potevano risparmiare denaro per le carrozze.
La situazione iniziò a cambiare nel XIX secolo, con l’avvento e la diffusione della ferrovia. I bagni di mare iniziarono a diventare popolari, di massa, i resort con hotel si espansero e furono meglio organizzati. Ad un certo punto sono sorte grandi catene alberghiere, che ora avevano il mandato generale in luoghi idilliaci, ad es. del Messico o della Spagna.
Il big Bang
Ma il grande boom – lo sottolinea Ritchie – è arrivato nel 20° secolo, con l’avvento dell’automobile, dell’autobus e naturalmente dell’aeroplano. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la spiaggia è diventata quello che tutti conosciamo oggi.
In questo ha giocato un ruolo enorme anche un cambiamento drammatico a livello sociologico, antropologico: il rilassamento nel mondo occidentale in quanto ora era permesso a uomini e donne di stare insieme sulla spiaggia – e di fatto quasi senza vestiti. L’oppressione delle donne con costumi larghi che coprivano tutto il corpo o degli uomini che dovevano indossare un costume da bagno intero (a meno che non fare il bagno molto presto la mattina) ha progressivamente lasciato il posto all’esplosivo bikini, topless e naturalmente nudismo (che però, è ancora perseguito…).
La storia che Ritchie racconta è molto stimolante perché ha molti risvolti culturali. Per l’autore, la grande (forse l’ultima) sfida per le spiagge oggi è il cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare e l’erosione delle coste minacciano seriamente le principali località balneari e sono previsti cambiamenti drammatici nel 21° secolo.
Fonte: kathimerini.gr
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