Che cristianesimo ci consegna il post-theismo? Nella sua versione più radicale, come quella di Spong, Lenaers e Vigil, non siamo più dinnanzi al cristianesimo, ma ad un’altra prospettiva spirituale. Se si tolgono i cardini del cristianesimo, come l’incarnazione, la rivelazione e la resurrezione, non rimane più nulla di quel percorso e se ne apre un altro.
Che Gesù ci consegna il post-theismo? Sicuramente non quello in cui crediamo, ma un personaggio che ha poco a che fare con i vangeli e con la riflessione della prima comunità cristiana. Il post-theismo sta rileggendo i contenuti del cristianesimo considerandoli interpretazioni theiste e, in questo modo, si sente autorizzato a riscrivere la storia, a reinventarla. Colpisce la leggerezza di questa operazione storiografica. Non c’è alcun tipo di dialogo con la tradizione cristiana, ma solo giudizi impietosi e prese di posizione apodittiche.
Se è vero che la riflessione dei Padri della Chiesa e dei primi concili ecumenici, che sono giunti alle prime formulazioni dei contenuti della novità di Cristo, erano dominati dal pensiero metafisico sia di tipo platonico che neoplatonico, e che oggi siamo convinti che si possano narrare le novità del Mistero manifestato da Gesù in modi diversi e facendo riferimento a griglie concettuali diverse, è altrettanto vero, a mio avviso, che non tutto il materiale prodotto in questa prima fase della storia del cristianesimo debba essere gettata nel cestino della spazzatura, come fanno Spong, Lenaers, Vigil e Arregi.
Ridire in modo nuovo i contenuti del Mistero manifestato da Gesù Cristo, non può voler dire fare tabula rasa dei contenuti elaborati in venti secoli: mi sembra un’operazione intellettualmente eccessiva e poco attinente alla Realtà che s’intende conoscere. Basterebbe utilizzare gli strumenti che l’ermeneutica sia biblica che filosofica offrono per iniziare un serio lavoro euristico dei contenuti in questione. Molto belle e profonde sono le pagine che i suddetti autori e anche altri, offrono per descrivere nuovi cammini di spiritualità, che manifesta un’attenzione per certi versi nuova nei confronti del cosmo, della natura considerata nella prospettiva aperta dalle neuroscienze, dalla biologia e dalla fisica, che mostrano l’interrelazione di tutti gli elementi della realtà. Sempre in questa prospettiva spirituale, anche l’attenzione al genere acquista nuovi e più profondi significati.
Post-theismo: Un Dio del passato o sempre conteporaneo nella storia?
Una revisione acritica e superficiale
Sul tema, comunque, dell’identità del cristianesimo possiamo tranquillamente dire che la posizione radicale del post-theismo chiude una pagina e ne apre un’altra e, aggiungerei, senza farsi troppi problemi. Si percepisce la sensazione di avere fretta di chiudere quello che, a loro modo di vedere e pensare, sembra un triste capitolo nella storia delle religioni. Su questo specifico punto mi dissocio e prendo le distanze.
L’operazione di revisione storica operata da questi autori del post-theismo sulle definizioni dogmatiche dei primi secoli del cristianesimo è acritica, superficiale e piena di pregiudizi. Dal punto di vista della storia del pensiero teologico, i dogmi non sono formulazioni imposte da qualcuno, ma sono frutto di una lunga elaborazione. Non a caso, in campo teologico si parla di evoluzione del dogma.
Strappare una pagina significativa della storia del cristianesimo per il semplice fatto che il contenuto non corrisponde a quello che oggi si capisce dell’oggetto in questione, è senza dubbio un’operazione culturale scriteriata. Basterebbe far ricorso all’ermeneutica, all’analisi filologica, tra le altre possibilità che la ricerca euristica seria propone. Le riflessioni nette e radicali, oltre ad avere una parvenza di dittatura del pensiero unico, non permettono ai fedeli della religione sotto esame, di accompagnare l’evoluzione proposta creando, invece, confusione e perplessità.
All’origine della visione dualistica
A causa della scarsità del materiale documentario a disposizione, la ricerca storica e antropologica non può che procedere per supposizioni quando analizza eventi che risalgono a migliaia di anni prima di Cristo. Questa analisi storica, altamente suggestiva della nascita del Teismo, proprio per questi motivi, presta il lato a numerose critiche.
La più importante è sul livello di contaminazione così profondo ed estesa generato dal paradigma dualista, la cui veridicità dell’origine è tutta da dimostrare e, a mio avviso, presenta molte difficoltà dal punto di vista storico ed epistemologico. Con gli scarsissimi mezzi di comunicazione presenti al tempo del calcolitico [termine che indica la preistorica età del rame, ndr], è molto improbabile un livello di contaminazione così radicale ed estesa da giungere a strutturare un paradigma.
Solo per fare un esempio. Lo studioso di filosofia antica Giovanni Reale[1] ha dimostrato che il primo contatto e, dunque, la prima vera contaminazione tra la cultura greca e quella semitica avviene solamente verso il III secolo a.C., a causa della presenza di una comunità israelita installata da qualche generazione ad Alessandria d’Egitto.
Se due popoli relativamente prossimi come sono Egitto e Israele giungono a contaminarsi culturalmente solamente verso il III secolo a.C. è abbastanza improbabile pensare a ad una contaminazione culturale e, soprattutto, religiosa che avrebbe attinto tutti i popoli allora conosciuti. In campo epistemologico, seguire l’entusiasmo per un’intuizione emersa e che ha la parvenza della veridicità, gioca brutti scherzi. Oltre a questo, la concezione duale della realtà, quella che ha poi condizionato il pensiero occidentale, non deriva dai popoli Kurgan, ma sorge in Grecia nel V secolo a.C., molto dopo quindi del calcolitico, per opera di Platone.
Senza nulla togliere alla veridicità del modello duale dei popoli Kurgan, dal punto di vista storiografico, non è quel tipo di dualismo che influenzerà la cultura occidentale. Senza dubbio, la concezione astronomica che vede cielo e terra contrapposti risale ad epoche anteriori. In ogni modo, la concezione duale che ha contribuito a strutturare quel paradigma culturale che ha segnato l’occidente e a cui gli autori del post-theismo fanno riferimento, è di natura filosofica.
È stato Platone, infatti, ad ipotizzare il mondo delle idee per cercare di risolvere il problema che il breve percorso filosofico giunto ai suoi giorni, stava affrontando, vale a dire, la relazione tra la realtà in movimento, così come l’aveva descritta Eraclito e l’immutabilità dell’essere di Parmenide. È da questo tipo di dualismo che, secondo Reale, si ha l’inizio al pensiero metafisico, che sarà in grado di elaborare il dualismo antropologico di anima e corpo.
Riportare ordine all’analisi storica proposta da pensatori post-teisti è di fondamentale importanza, perché permette di vedere il problema del sorgere del teismo in modo diverso e, offrire, in questo modo, risposte diverse. Il dualismo di tipo astronomico che condizionerà tutto il pensiero occidentale, non è infatti, quello fatto emergere dalle incursioni dei popoli Kurgan, bensì quello elaborato da Aristotele, discepolo di Platone, che probabilmente non aveva nemmeno mai sentito parlare delle suddette invasioni.
La scomparsa dell’idea di rivelazione
Ultimo dato sul quale mi sembra importante provocare una riflessione, riguarda la conclusione che i teologi del post-theismo arrivano a formulare dopo aver tolto di mezzo il dualismo astronomico. Togliendo il cielo come dimora di Theos, perché dovrebbe sparire anche l’idea di rivelazione? Ammettere che lo Spirito del mondo, la Realtà, il Mistero – sono alcuni dei nomi che vengono utilizzati per dire Dio – è immanente, all’interno della storia, non significa che non possa portare e manifestare contenuti qualitativamente diversi dai dati materiali. Questa mia perplessità è legata anche alla constatazione che nessuno degli autori del post-theismo cita il contributo della fenomenologia della religione e pochissimo l’ermeneutica filosofica.
Se possiamo concordare sul fatto che il pensiero post-cristiano e post-theista sia post metafisico, non per questo bisogna togliere di mezzo nell’analisi della realtà il contributo di alcune correnti filosofiche che si muovono proprio sul piano dell’immanenza. Basterebbe sfogliare l’ultima opera del pensatore francese Jean Luc Marion[2] per rendersi conto dell’enorme possibilità di dire il Mistero in modo nuovo e con modalità nuove, che la fenomenologia della religione è in grado di apportare.
L’idea di rivelazione, caratteristica di ogni religione, manifesta l’idea che non tutto della realtà può essere descritto con espressioni logico-matematiche e colto dalla dimensione razionale. Già Schelling diceva che: “se la rivelazione contenesse unicamente ciò che è nella ragione, essa non avrebbe alcun interesse, il suo specifico interesse può veramente consistere solo nella circostanza che essa contenga qualcosa che va oltre la ragione, che è più di ciò che la ragione contiene”[3].
Dire che la rivelazione contiene un “oltre” non significa attivare il cielo, o l’aldilà. La rivelazione, come indica il nome, si gioca nella fenomenicità, che pertanto offre il punto di vista privilegiato per descriverla e riceverla. “I fenomeni della rivelazione – afferma Marion – modificano le regole della fenomenicità secondo le loro particolari esigenze, contributo contro ogni riduzionismo, anche quello della fenomenologia”[4].
Il “fenomeno saturo” di Marion
Nel suo lungo lavoro di fenomenologo Marion ha individuato un tipo di fenomeno che presenta caratteristiche che meritano tutta la nostra attenzione. Si tratta del fenomeno saturo, che consente di ricondurre l’io a se stesso, contraddicendo la sua pretesa di ridurre tutto l’esistente alla propria intuizione, in quanto: “la saturazione dell’intuizione ricorda a quest’ultima la sua assoluta parzialità rispetto all’infinitezza della donazione”[5]
Questo tipo di fenomeno ci ricorda, dunque, che non tutto può essere totalmente riconducibile all’io, perché l’io percepisce nel fenomeno saturo la provenienza da altrove. Sarebbe interessante seguire questa pista per confrontare queste analisi con i risultati della fisica quantistica, sulla possibilità della conoscenza di un mondo esteriore indipendente dalla coscienza, come sostiene il fisico e matematico americano Wolfgang Smith[6].
In questa fase di passaggio è di fondamentale importanza mantenere aperto il dialogo e non chiuderlo con affermazioni apodittiche. È nel rispetto dei cammini e delle specifiche competenze che diviene possibile costruire un percorso capace di offrire risposte significative alle grandi domande che il passaggio epocale che stiamo vivendo sta ponendo alle nostre coscienze.
Paolo Cugini
Docente di filosofia e teologia nella Facoltà Cattolica dell’Amazzonia (Manaus-Brasile)
Note
[1] Reale, G, Storia della filosofia greca e romana, Milano: Bompiani, 2018.
[2] Marion, J. L. Da altrove, La rivelazione. Contributo di una storia critica e a un concetto fenomenico di rivelazione, Roma: Inschibboleth, 2022.
[3] Citato in: Marion, J.L. Da altrove, La rivelazione. Cit. p. 82
[4] Ivi, p. 95.
[5] Marion, J.L. Il visibile e il rivelato. Milano: Jaca Book, 2007, p. 62.
[6] Wolfgang, S. Cosmos E Transcendência: Rompendo A Barreira Da Crença Cientificista, San Paolo: Vide, 2019.
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Fonte: viandanti.org