L’arrivo dei coloni tedeschi in Namibia
Nel 1884 alla Conferenza di Berlino era stata data alla Germania mano libera sui territori africani del Togo, del Camerun, dell’Africa Orientale Tedesca e dell’Africa Sud Occidentale tedesca, l’attuale Namibia. Nel centro di quest’ultima regione si trovavano ricchi giacimenti di tungsteno e uranio, mentre la parte meridionale era ricca di oro, rame, stagno e diamanti.
Le tribù che vivevano su quel territorio avevano sistemi di vita differenziati a seconda del territorio che abitavano. Le due tribù principali intorno agli anni ’40 dell’Ottocento erano quelle dei Nama e degli Herero, che vivevano di allevamento. I coloni tedeschi arrivarono in Namibia sostenuti dalla convinzione che essi avessero diritto non solo alle terre, ma anche alle attività di cui fino a quel momento erano stati detentori i popoli che vi abitavano. Tale convinzione trovava una pretesa giustificazione nella teoria del Lebensraum del geografo Friederich Ratzel e nelle teorie razziste di fine secolo.
I rapporti fra coloni tedeschi e popolazioni indigene furono fortemente influenzati dall’atteggiamento di superiorità dei primi, anche se non sfociarono immediatamente in scontri violenti. Alla convinzione dei coloni di appartenere alla razza superiore faceva però riscontro una realtà in cui gli Herero possedevano la maggior parte delle terre e del bestiame. I coloni, forti delle loro convinzioni razziste, si ritennero in diritto di fare ricorso a svariati tipi di violenza sulla popolazione locale, pur di ottenere i propri obiettivi. A lungo andare ciò provocò un forte risentimento negli Herero.
La strada verso il genocidio
Il governatore Leutwein favoriva la trattative e la mediazione, ma i coloni volevano provocare lo scontro per avere il pretesto per allontanare gli Herero dalle loro terre e impadronirsene. L’occasione fu offerta alla fine del 1903, quando Leutwein fu costretto ad allontanarsi dalla capitale per andare a domare una rivolta scoppiata nelle miniere del Sud. Coloni e soldati approfittarono dell’assenza del governatore per darsi a saccheggi, omicidi e stupri delle donne Herero.
Come reazione gli Herero si ribellarono, offrendo ai coloni e ai soldati l’occasione ottimale per appropriarsi della terra e procedere a una pulizia etnica nel territorio di Okahandja.
Inizialmente la zona della rivolta era limitata all’area di Okahandja, mentre in altre parti del Paese continuava a sussistere una convivenza abbastanza tranquilla. Per raggiungere il loro scopo di impadronirsi di tutta la terra, i coloni dovevano spingere l’intera popolazione Herero alla rivolta e trasformare lo scontro in una guerra razziale. Ci riuscirono ammassando truppe anche nelle zone precedentemente non toccate dalla rivolta. Di fronte alle continue provocazioni dell’esercito, l’intera popolazione fu trascinata in una vera e propria guerra.
Il governatore Leutwein si comportò secondo la tradizionale tattica militare, che ricorreva a trattative e accordi per porre fine alla guerra. Inviò quindi un messaggio al capo Herero Samuel Maharero. Nel frattempo in Germania i nazionalisti e i sostenitori dei coloni inscenarono manifestazioni per il proseguimento della guerra, dipingendo gli Herero come selvaggi da sterminare. La linea politico – militare tenuta da Leutwein venne presa di mira e contestata. Un pesante intreccio di nazionalismo, militarismo e razzismo dilagò in tutto il Secondo Reich.
Il kaiser Guglielmo II ordinò all’esercito di andare a reprimere i selvaggi africani e mise al comando delle truppe un personaggio dalla feroce reputazione, il generale Lothar von Trotha. Sei mesi dopo l’inizio della ribellione, von Trotha sbarcò nell’Africa del Sud Ovest. Si incontrò immediatamente col governatore Leutwein e rilevò formalmente il comando. Ma Leutwein di nuovo fece appello per riprendere il negoziato con gli Herero.
L’offensiva tedesca
Prima dell’arrivo del generale von Trotha, questi ultimi avevano infatti sostanzialmente cessato la rivolta e si erano ritirati in una zona limitrofa al deserto del Kalahari, nei pressi di una cascata, in attesa delle trattative promesse da Leutwein. Non solo le trattative non arrivarono mai, ma von Trotha chiese ed ottenne dalla Germania rinforzi per potenziare l’esercito.
Nella tarda estate del 1904 l’armata di von Trotha si stanziò sull’altopiano del Waterberg. L’11 agosto dello stesso anno venne lanciata l’offensiva che, nelle intenzioni di von Trotha, doveva essere indirizzata allo sterminio del popolo Herero. La strategia fu di circondarlo completamente, lasciando come unica via di fuga quella che portava all’interno del deserto del Kalahari. Quando gli Herero superarono l’ultima conduttura d’acqua, il generale fece costruire una recinzione lunga 200 miglia, dopo di che lanciò un proclama in cui intimava al popolo Herero di abbandonare la propria terra, pena la morte. Si trattava di un vero e proprio ordine di annientamento, visto che gli Herero non avevano possibilità di sopravvivere nel deserto, dove cominciarono a morire di fame e di sete. Il documento contenente la suddetta intimazione è la prova che esisteva un vero disegno di annientamento da parte dell’autorità militare.
In Germania però le decisioni di von Trotha non vennero accolte favorevolmente da parte dell’opinione pubblica. Contro il parere del governo e contro l’opinione pubblica, il kaiser si rifiutò di ordinare a von Trotha di ritirare il suo ordine di sterminio. Ancora per due mesi gli Herero furono braccati nel deserto, fino a che il governo non forzò la mano del kaiser. Il mattino del 9 dicembre un telegramma ordinò a von Trotha di accettare la resa degli Herero. Sembrava che lo sterminio fosse bloccato, ma non fu così.
Il generale Lothar von Trotha
I campi di concentramento
I superstiti della guerra vennero prelevati dai soldati tedeschi e trasferiti nell’area intorno alla fortezza di Vindhoek, la capitale della Namibia del nord, dove fu stabilito il primo grande campo di concentramento di massa del ‘900. Qui quattromila persone furono sottoposte ai lavori forzati, maltrattate e fatte morire di fame. Lo stesso fenomeno si ripeté in altre parti del Paese. Nei primi mesi del 1905 gli Herero furono trasportati in giro per la Namibia con mezzi di trasporto per bestiame. Migliaia furono portati a Swakopmund, il porto principale della colonia. Qui furono costruiti campi di concentramento perché la città era un centro importante per i nuovi arrivati dell’industria tedesca, un luogo dove il lavoro da schiavi dei prigionieri poteva essere sfruttato al meglio.
Anticipazione della follia nazista
Ciò che accadde nei due campi di concentramento di Swakopmund fu meticolosamente registrato, documentato e fotografato dai tedeschi stessi. Furono circa tremila gli Herero imprigionati, per lo più donne e bambini che venivano utilizzati per scaricare le navi attraccate in porto. Le condizioni di vita erano talmente miserabili che molti morirono di stenti.
Man mano che l’economia della colonia si espandeva, l’esercito cominciò a dare in affitto gli schiavi Herero ai privati per una cifra di dieci marchi al mese. Ma incredibilmente alcune compagnie erano così grandi che era loro concesso di tenere propri campi di concentramento. A Swakopmund, come in altre città, a fianco dei campi dei militari c’erano campi di ditte private.
Un secondo campo di concentramento era stato costruito in un porto fuori mano sull’isola di Shark Island, lontano dalla vista e inaccessibile. Si potrebbe dire il campo di Shark Island era un campo di sterminio: lo scopo per cui i prigionieri venivano condotti là non era quello di raccoglierli per adoperarli come schiavi, ma quello di eliminarli definitivamente.
La maggior parte delle vittime di Shark Island tuttavia non sono Herero. Dopo essere stato testimone del genocidio degli Herero, il popolo meridionale dei Nama si era infatti a sua volta ribellato contro i tedeschi. I Nama non furono dispersi come gli Herero, ma divennero le nuove vittime del genocidio. Nella Germania di allora si diceva espressamente che i Nama non possedevano alcun merito, e che non avevano motivo di vivere non avendo alcuna utilità nel mondo.
I fatti confermano che ci fu un tentativo calcolato di sterminare i Nama su Shark Island. Nel settembre 1906 vennero mandati nel campo di concentramento 1732 Nama, dopo che si erano arresi all’esercito tedesco. Nel giro di sei mesi ne morirono 1032.
Il campo di Shark Island è molto chiaramente connesso con i Vernichtungslager del regime nazista. In entrambi i casi i prigionieri venivano raccolti da posti lontani e spediti tramite ferrovia su vagoni per bestiame chiamati “transport” verso destinazioni remote, dove erano sistematicamente sterminati. Le grandi uccisioni industriali di Auschwitz e degli altri campi erano ancora da programmare, ma l’idea di segregare le persone e di ucciderle nel più breve tempo possibile nacque probabilmente su Shark Island.
Un altro elemento in comune fra i campi di sterminio in Germania e quelli in Namibia fu la pretesa di fornire un fondamento scientifico alla teoria razzista, e di usare come prove i resti delle vittime. Fu questo il motivo per cui i soldati fecero commercio di teschi di vittime Herero e Nama vendendoli a scienziati, musei e università della Germania. Il genetista razzista Eugen Fischer, che ebbe un grande seguito nel Terzo Reich, aveva iniziato i suoi macabri esperimenti proprio dopo il suo arrivo in Namibia nel 1904 su sollecitazione delle università tedesche.
Un “transport”
Il campo di Shark Island
Entità dello sterminio
Fra il 1905 e il 1909 a Swakopmund morirono circa 2000 Herero. I nomi dei morti venivano annotati in appositi registri, insieme ai dati identificativi e alla causa della morte, che era quasi sempre dovuta allo sfinimento.
In quegli stessi anni il lavoro degli schiavi Herero venne usato per opere pubbliche e private, compreso il palazzo del parlamento e la costruzione di due linee ferroviarie. La migliore documentazione del progetto della costruzione della ferrovia riguarda una nuova linea nel Sud, che fu costruita dalla Compagnia Lenz fra l’inizio del 1906 e il giugno del 1907 col lavoro di 2014 prigionieri dei campi di concentramento. Dopo sei mesi la Compagnia Lenz riferì al governo coloniale che erano morti 1359 prigionieri, il 67,48%. Un’altra linea ferroviaria congiungeva Lüderitz all’interno della Namibia. Mentre morivano a migliaia costruendo la ferrovia, gli schiavi costruirono anche la stessa Lüderitz. Furono completate nuove case e strade e costruiti i bacini di carenaggio del porto.
Nel 1908 il campo di concentramento di Shark Island fu finalmente chiuso. Nel frattempo in Namibia erano morti 65000 Herero, circa i tre quarti della popolazione. Del popolo Nama venne sterminata circa la metà. Centinaia di villaggi rimasero vuoti e l’Africa del Sud Ovest fu finalmente completamente assoggettata alla Germania. I coloni avevano ora il loro spazio vitale, finalmente si realizzava il sogno del Lebensraum in Africa di Friederich Ratzel.
La memoria del genocidio
Quella terra fu presentata come il paradiso dei coloni e il genocidio che aveva reso possibile tutto ciò venne lentamente dimenticato, così come vennero dimenticati anche i campi di concentramento. Il massacro di Waterberg svanì dalla memoria e le sofferenze degli schiavi furono spazzate via. Fu fabbricata una storia del tutto inventata in cui gli eventi del 1904 – 1909 furono trasformati da un genocidio in una gloriosa guerra imperiale. Ma le teorie razziali che consentirono ai tedeschi di uccidere migliaia di Herero e Nama continuarono a sopravvivere. Esse furono alla base dell’ideologia del Terzo Reich. La connessione fra ciò che era accaduto in Namibia e ciò che accadde successivamente nella Germania del Terzo Reich si evidenzia anche nel fatto che molti personaggi, sia scienziati sia militari, che avevano svolto la loro attività in Namibia si ritrovarono fianco a fianco con gli uomini di maggior rilievo della gerarchia nazista.
Verso il riconoscimento. La Germania riconosce il genocidio di Herero e Nama
Solo nel 2015 è arrivato il riconoscimento da parte tedesca delle responsabilità di questo sterminio. Nel maggio 2021, dopo oltre sei anni di negoziati, il governo tedesco ha firmato un accordo di riconciliazione con la Namibia, in cui ha riconosciuto ufficialmente il genocidio e ha stanziato fondi per aiuti allo sviluppo.