Senza commedia il nostro futuro crolla

Il fumetto ha un posto tra le sfide serie e ansiose dei nostri tempi al collasso? Possiamo salvare l’ironia dalla sua corrosiva cattura in atteggiamenti cinici e confusionari? Dal burlesque al carnevalesco all’ironico, le modalità della commedia possono accompagnare la nostra navigazione nelle acque agitate del presente.

Stordito da una brutta caduta mentre pedalava sotto un livello di alcol non convenzionale, l’anonimo autore dello stravagante manifesto Avanti verso la rivoluzione biohardcore! trova se stesso disteso in una fabbrica in rovina e proferisce semiconsciamente alcune sue riflessioni visionarie: “Anche l’intelligenza istintiva, sciamanica, animale, tutto sommato, ci stanca: vogliamo porre fine all’intelligenza, vogliamo la fatica interessante dello spiegamento vegetale. Crollo – collasso: non c’è nulla in questo che sia esplosivo o quindi dell’ordine della risata, vero? Piuttosto dell’ordine della grazia; smettere di ridere: la grazia della lentezza del ghiaione.”

https://www.asterios.it/catalogo/collassologia

Non si ride più, davvero? La verve comica è una pessima strategia per affrontare tempi fatiscenti? Il contenuto sembra inciampare nel suo contenitore in Antoine Boute Opérations biohardcores (2017), da cui è tratto questo brano e il cui registro narrativo complessivo vibra di umorismo irriverente. Come mise en abyme, il monologo del personaggio pone la questione stilistica fondamentale del testo, quella della compatibilità tra approccio comico e finalità ecologiche, che merita di essere analizzata con maggiore attenzione.

Lo scorso dicembre, l’account tweeter @CobraTate – un panzer dei social network, con 8 milioni di follower – cercava di scontrarsi attraverso i post con un altro peso massimo della comunicazione connessa (5 milioni e mezzo di iscritti), @GretaThunberg. Considerata l’importanza degli internauti coinvolti, la storia del loro scambio ha fatto rapidamente il giro dei media e resta emblematica. Potresti averne sentito parlare, almeno da lontano. Riassumerlo qui con una breve analisi costituisce un buon punto di partenza per approfondire alcuni ambiti della questione citata, quella dei legami tra riso ed ecologia.

Si tratta di un campo teorico e politico meno galvanizzato di altri che, come la fantascienza, si sono imposti nel dibattito pubblico di fronte all’impasse dei nostri immaginari sociali, tecnologici o istituzionali[1]. Dall’esercito che disegna i contesti di intervento futuro attraverso gli autori di fantascienza agli antropologi della futurologia che ne fanno oggetto di indagine [2]< a i=4>, attraverso gruppi militanti che se ne impadroniscono con tattiche di emancipazione, ovunque le capacità del dominio della fantascienza siano dispiegate e messe in discussione. E la commedia?

Declinismi in calo comicamente

L’account @CobraTate è gestito da un influencer molto controverso, così controverso che è stato espulso dai social media per essere poi reintegrato dalla discutibile gestione di Elon Musk nel 2022. Tra foto di muscoli di atleti di arti marziali, promuove campagne declinanti e libertarie in cui denuncia il declino delle nostre società, strombazza valori reazionari (sessisti, per esempio) e celebra l’individualità competitiva. All’inizio di ottobre, ad esempio, ha twittato: “L’America sta crollando. Tagibilmente. Lo guardi letteralmente accadere giorno dopo giorno. I veri professionisti si chiedono: se non riesco a impedire che ciò accada, come posso trarre vantaggio dal fatto che accada?”. Il declino è inevitabile, quindi il problema diventa come trarne vantaggio ed estrarre tutto il possibile dai collassi in corso. Non c’è bisogno di leggere l’articolo di Naomi Klein sullo shock capitalism, qui è riassunto in una manciata di segni!

Poche ore dopo, si è spinto oltre, annunciando un “conto alla rovescia per l’estinzione”, imputato ad autorità incompetenti e a una “cultura degenerata”[3]. Giocare sui sentimenti di deterioramento e di collasso della destra è solo una delle strategie che adotta per guadagnare attenzione sul palcoscenico mediatico. Attaccare in modo deliberatamente provocatorio una figura pubblica totalmente estranea alla sua sfera culturale, come Greta Thunberg, è stata un’altra..[3]

Torniamo quindi alla fine dello scorso anno. Tate invia un messaggio controverso all’attivista svedese accompagnato da una foto in cui sta facendo rifornimento ad un’imponente vettura sportiva. Tate elenca i numerosi veicoli che possiede e si offre di trasferire a Greta l’impronta di carbonio della sua sproporzionata flotta di veicoli. L’uso dell’ironia, qui, mira a umiliare l’impegno del suo destinatario attirando l’attenzione suscitata dal confronto.

È un’ironia apertamente aggressiva e cinica, che si basa sulla messa in scena di un’immoralità disinvolta. L’atteggiamento adottato dalla Tate corrisponde perfettamente a questa identità di genere tossica (sia socialmente che ambientalmente) che l’autrice nordamericana Cara New Dagget ha chiamato “petro-mascolinità” riferendosi principalmente al “movimento politico di destra negli Stati Uniti” che “sostiene i fossili ed è anche antifemminista”[4].

Con un gesto da vero judoka digitale degno delle migliori inversioni sfruttando l’aggressività e la corporatura dell’avversario, la dispettosa Greta restituisce questo attacco al suo trasmettitore. La giovane attivista, infatti, risponde proprio ribaltando l’umorismo e l’aggressività mascolinista impiegati dalla Tate. Senza mostrare né indignazione né rabbia, il suo messaggio sornione gli chiede di illuminarla sull’argomento scrivendo a un indirizzo caricaturale: smalldickenergy@getalife.com. Per chi non parla inglese: energiedepetitebite@trouvetoiunevie.com.

Incapace di affrontare il fallimento nell’arena pubblica, Tate è tornato sul ring il giorno successivo con un video in cui, tra le altre cose, riceveva scatole di pizza calda che assicurava di non avere intenzione di riciclare. E ora, lo stesso giorno, è stato arrestato in Romania dove era ricercato per casi legati alla tratta e allo sfruttamento delle donne. È possibile che il suo luogo di residenza sia stato rivelato dall’indizio di queste stesse scatole di pizza in una decifrazione OSINT. Conclusione del racconto, un post finale di Greta che coglie l’occasione servita su un piatto d’argento dalle novità legali: “Ecco cosa succede quando non ricicli le scatole della pizza”.

L’ironia non è cinismo

Fino a che punto possiamo abbandonare l’ironia e la comicità alle forze reazionarie e confusioniste che se ne sono impadronite così bene per seminare guai e trollare i loro avversari? Sono gli strumenti di una tattica capace di uscire dall’impasse propria delle immagini catastrofiche e tragiche della comunicazione ambientalista che rischiano di produrre solo paura e negazione? È importante formulare e affrontare queste domande tenendo presente che la risata costituisce una variabile linguistica ed espressiva determinata e determinante delle nostre situazioni storico-sociali, come afferma chiaramente la ricercatrice Nelly Quemener: “L’umorismo è un mezzo di comunicazione e di rappresentazione tra gli altri, che varia a seconda delle circostanze storiche e dei contesti di enunciazione, la cui forma non è stabilizzata, e la ricezione attraverso la risata non è mai garantita. »[5]

Mi sono posto queste domande per la prima volta durante la stesura di una tesi in “environmental humanities” che cercava di descrivere le problematiche ecologiche di un certo tipo di scrittura documentaria (letteraria, ma soprattutto cinematografica) e le esperienze di ricezione che essa alimentava. Nei film contemplativi di uno degli autori che ho studiato, il cineasta italiano Michelangelo Frammartino, mi sono talvolta imbattuto in gag inaspettate che ricordano la commedia slapstick dei primi decenni del cinema: cadute, scivolate, oggetti che cadono… Da dove vengono? Come potevano essere inserite in una lettura ecocritica? Questi momenti coincidevano con una sorta di rivolta o tracimazione del vivente, che superava i confini prestabiliti e disturbava comicamente l’ordine stabilito dall’uomo.

È il caso di una scena memorabile al centro del lungometraggio Le quattro volte (2010) dove, non appena un villaggio del Sud Italia si svuota durante una processione di Pasqua, un cane dispettoso rimuove un cuneo che sostiene un furgone parcheggiato in pendenza. Il veicolo scivola all’indietro e finisce per precipitare nel recinto dove venivano tenute le capre. Gli animali, improvvisamente liberati, partono alla conquista dell’habitat umano e invadono allegramente le strade e le case.

La convergenza del gesto animale e della forza di gravità – elementi “naturali” – produce quindi un (gioioso) turbamento nell’universo precedentemente controllato dall’uomo. Nell’ecosistema del film, questa risata porta ad un certo riavvicinamento degli agenti non umani, fino ad un attaccamento reale il cui oggetto sarebbe un fallimento della nostra comprensione e della nostra organizzazione per nulla percepito in modo angosciante. Contro certi affetti e discorsi di tipo “collassista” dove queste stesse situazioni possono manifestarsi attraverso un prisma eminentemente triste e angosciante.

Come apprendiamo dall’aneddoto mediatico di Tate e Greta, la mobilitazione della risata deve essere contestualizzata in strategie di comunicazione eterogenee, ancorate a obiettivi diversi o addirittura contrastanti. Allora quale risata dovremmo difendere? Dove tracciamo la linea che separa un uso cinico dell’umorismo da un uso impegnato dell’umorismo? Secondo il teorico Franco “Bifo” Berardi, “ironia” e “cinismo” sono talvolta simili poiché scaturiscono dalla stessa consapevolezza del rapporto contingente e variabile tra le nostre rappresentazioni o valori e la realtà.

Il carattere ironico e il carattere cinico, insomma, rifiutano congiuntamente ogni fondamento assoluto in ambito morale ed epistemologico. Tuttavia, mentre il cinismo traduce questa coscienza in un’adesione amorale e opportunistica all’ordine dominante, adattandosi ad esso senza fede, l’ironia produce piuttosto una fuga e un sabotaggio della realtà data che coltiva possibilità alternative e desideri divergenti.

Ciascuno dei due atteggiamenti si avvale dell’umorismo, secondo la legge enunciata da Nelly Quemener: “l’umorismo è innanzitutto uno strumento a disposizione di chi se ne serve”. Tuttavia, ciò avverrà in due modi politicamente distinti. A questo proposito bisogna saper riconoscere usi cinici dell’umorismo (vocato al disimpegno che rafforza il potere in atto) e usi ironici (che impegnano e aprono deviazioni dall’imbuto contemporaneo): “l’ironia dorme bene, perché nessuno può svegliarla dai suoi sogni. Il cinico ha il sonno leggero, perché dorme senza sogni e si sveglia appena il potere lo chiama”[6].

Leggere Jacopo Rasmi in ACrO-Pòlis:

Immagini che scottano

Ridere del peggio

Questa ironia impegnata e deviante costituisce un buon compagno quando cerchiamo di individuare ed evitare le aree più dolorose sulla mappa tracciata da una conoscenza franca dello stato del nostro clima, ad esempio quella incarnata dalla collassologia.

I problemi emotivi indotti dalla consapevolezza dei significativi rischi ecologici sono stati rapidamente discussi dagli stessi collapsologi: Un’altra fine del mondo è possibile ( 2018) è stato pubblicato da Pablo Servigne e i suoi complici dopo il bestseller “pessimista” Come tutto può crollare (2015) per prendere in considerazione anche gli stati d’animo, rappresentazioni ed esperienza soggettiva. Come non sprofondare in un’angoscia paralizzata di fronte alle cifre e ai grafici che mostrano le condizioni gravemente compromesse dei nostri ambienti di vita?

Sebbene la risata non figuri tra le strategie direttamente indicate dai collapsologi, questo problema è stato subito evidenziato dalla rivista Kaizen, pubblicazione pop dello stesso universo intellettuale. Dietro il tono di divulgazione generale del dossier “La risata può cambiare il mondo? » (2019), si avverte l’intuizione che la modalità comica potrebbe contribuire a produrre rappresentazioni alternative – quantomeno meno smobilitanti – di questioni complesse e problematiche come quelle ecologiche.

L’immagine di Gebé – autore di un magnifico fumetto (L’an 01, 1972) che romanza un esilarante e sovversivo arresto del mondo – scelto per la copertina del nostro libro Générations collapsonautes (2020) incarnava proprio questa convinzione. Alle lamentele caricaturali di un vecchio convinto che tutto fosse rovinato, un giovane personaggio ha risposto con un monumentale rifiuto. È ridicolmente indecente annaspare nella convinzione di una fine inevitabile!


https://www.asterios.it/catalogo/il-tragico-e-il-comico-nellepoca-del-grillismo-e-del-trumpismo


Sbarazzarsi della tradizione tragica

Una terza postura — alternativa al declinismo pietoso e a una certa reazione comica — consisterebbe nel lanciarsi eroicamente in una battaglia eccezionale in difesa della realtà data, senza accettarne i limiti o l’insopportabilità. Il nostro grande appetito per questi scenari drammatici, per l’azione romantica e i sentimenti struggenti, ci farebbe senza dubbio apprezzare queste avventure: è un’infatuazione ancestrale che, secondo Ursula Le Guin, risale almeno all’invenzione preistorica della caccia e alle storie che la raccontano.[7].

Come sbarazzarsi di una tendenza così essenziale? Se ci sintonizziamo così facilmente sull’onda del dramma e del suo eroismo, è perché questo registro narrativo ha occupato un posto privilegiato nella gerarchia dei generi all’interno di una storia culturale di diversi secoli – per non dire: millenni – meticolosamente sezionata dal pioniere del ecocritica americana Joseph Meeker[8]. È questa la tesi centrale del suo saggio dei primi anni Settanta, La commedia della sopravvivenza, ancora sconosciuto in Italia e Francia, che prende di mira la preminenza che caratterizza tradizionalmente i modelli tragici a discapito di quelli comici relegati alla sfera popolare, in particolare a quella letteraria.

Questa importanza della tragedia ha contribuito a creare un rapporto “moderno” con il mondo, segnato da una discontinuità gerarchica tra lo straordinario soggetto umano e un universo naturale passivo, da un ideale di lotta solitaria, da un ostinato superamento dei vincoli imposti che può giungere a una dimensione orgogliosa di autodistruzione o addirittura perseguimento volontario di progetti astratti (dell’ordine della moralità, del potere, ecc.) che trascurano le realtà materiali e sensibili che lo circondano e dalle quali dipende.

“La visione tragica presuppone che l’essere umano viva in uno stato di conflitto con poteri più grandi di lui. Forze come la natura, gli dei, la legge morale, l’amore appassionato, la grandezza delle idee e della conoscenza sembrano superare gli esseri umani e determinarne la felicità e l’infelicità. […] L’essere tragico prende sul serio questo conflitto ed è quindi costretto a dimostrare la sua maestria e la sua importanza in relazione alla propria distruzione.»

Questa sorta di modello tragico è condensato da innumerevoli storie di fantasia famose, di cui Fitzcarraldo (1982) di Werner Herzog, che è un prototipo cristallino (con le sue sfide gloriosamente “folli”, le sue magnifiche follie dal sottofondo coloniale). Come uscire dalla tragica routine?

Invece di cercare sistemi di rappresentazione più umili e rispettosi in universi esotici come le culture orientali, Meeker ha preferito enfatizzare nuovamente stili narrativi “fluviali” e declassificati, come il fumetto. La modalità comica è caratterizzata, a suo avviso, da un’iscrizione in una materialità terrena che non risponde a sistemi trascendenti di valori e significati: “La commedia non si preoccupa della moralità o della bontà, della verità, della bellezza, dell’eroismo, e di tutte queste valori astratti per i quali gli uomini dicono di vivere.”.

In questo senso, dal filone francescano medievale al romanzo picaresco, secondo Meeker le narrazioni comiche sono piuttosto orientate verso un adattamento ai limiti e alle necessità del mondo che ci circonda e che si tratta di imparare a percepire e tollerare (piuttosto cosa superare o risolvere): “La commedia e l’ecologia sono sistemi capaci di accogliere e accettare la necessità, mentre la tragedia tenta di evitare o trascendere l’ordine necessario per realizzare l’impossibile”.

Crolla slapstick ed ecologie carnevalesche

L’attuale collasso ecologico, per l’eco-critica americana, consisterebbe non tanto nell’effetto di una volontà malvagia che si vendica delle nostre maldestre azioni, quanto nel prodotto di una sorta di brillante successo totalmente controproducente (quindi ridicolo). Si rassicurino i declinisti di ogni genere: va tutto bene, il formidabile progresso della modernità occidentale continua a tracciare il suo glorioso corso! Ed è proprio per questo che va tutto a puttane…

Nessuna divinità vendicativa – asserisce Meeker – punisce i misfatti dell’umanità; al contrario, sembriamo propensi a distruggere noi stessi realizzando ciò che abbiamo sempre pensato fosse giusto e buono. Questa monumentale ironia è più difficile da sopportare di un semplice fallimento.

In breve, i problemi ambientali affondano le loro radici negli automatismi limitati della nostra efficienza eccessivamente concentrata. Al centro dell’analisi classica della risata di Henry Bergson, troviamo proprio l’idea convincente che la commedia si manifesta attraverso un’insufficienza di “flessibilità attenta”, attraverso “un effetto di rigidità e di velocità acquisita”. Ciò che fa scattare la gag, quindi, è un fenomeno di “goffaggine” e di “distrazione”.[ 9]

Come possiamo osservare di petto queste carenze e accettarle senza scivolare nella negazione? Come prenderne coscienza e cercare di essere all’altezza della “flessibilità vivente” — come direbbe Bergson — che ci manca e che non ha nulla a che vedere con l’adattabilità promossa dalla governance neoliberista? L’ambiente narrativo e affettivo fornito da una certa tradizione della commedia cinematografica, quella dello slapstick nei primi decenni della sua storia, potrebbe essere una buona via d’uscita da una certa impasse rappresentativa. [10]

Caricatura dell’individuo razionale, dell’eroe calcolatore ed egoista che certe teorie economiche pongono al centro della nostra cosmologia politica, il soggetto burlesco è sempre diviso, sempre più e sempre meno di se stesso. Basta rivedere alcuni passaggi dei film di Buster Keaton — in Freshwater Cadet (Steambot Bill Jr, 1928) o Seven Chances (1925) — per vedere come questo soggetto sia “mosso”, per usare l’espressione di Emma Bigé, da forze e connessioni che lo sovrastano e non si conformano ai suoi piani[11]. E sono proprio questi “movimenti” che ci solleticano e ci fanno ridere…

Ricordate Buster in preda a un temporale o costretto a una folle corsa da una frana incontrollata lungo un pendio infinito? Questo è il prototipo dei soggetti brancolanti della slapstick comedy che “vengono agiti” — per usare il lessico di Ernesto De Martino — dalle sorprese e dagli incidenti del mondo esterno.

Nel panorama contemporaneo, questo legame tra estetica slapstick e questioni ambientali è gioiosamente evidente nelle scelte cinematografiche di un film come Anomalies (2013), che il collettivo di registi collaborativi e militanti Les scotcheuses ha realizzato in un luogo di resistenza all’agricoltura di fabbrica (iper)tecnologizzata. In questo cortometraggio, le paure e le tensioni generate dall’ispezione di una fattoria dissidente vengono riproposte in chiave comica, dove gli ispettori diventano personaggi burleschi totalmente sopraffatti dalla vitalità selvaggia di un bestiame incapace di sottomettersi ai loro standard contabili. All’intollerabile tragedia dell’agricoltore Jérôme Laronze, effettivamente ucciso per insubordinazione alla macchina tecno-amministrativa nel 2017, i film possono così rispondere con una salvezza burlesca per il futuro.

Altrove, sempre sul fronte del cinema impegnato realizzato in situazioni di lotta, l’autorappresentazione comica che scaccia gli spettri repressivi e dà forza può assumere altre forme, come la commedia musicale del recente Une île et une nuit (2023), un lungometraggio in 16 mm realizzato al Quartier Libre des Lentillères (Digione).

Studiando il cinema dei Fratelli Marx, lo scrittore italiano Gianni Celati ha riconosciuto uno specifico metabolismo dello spazio comico — fatto di flussi e mescolanze, che attraversano, collegano e superano i corpi individuali — che ricorda la condizione carnevalesca descritta da Bakhtin: “Solo se considero il mio corpo come fonte e canale di flussi, flussi di cibo, flussi di escrementi, posso arrivare a pensare a uno spazio tutto pieno, uno spazio dove tutti gli incontri e tutte le mescolanze sono possibili; ma soprattutto la società funziona come un corpo unico, come il grande gigante che incarna il Carnevale”[12] Le forze comiche che producono costantemente gli effetti comici del carnevale sono le stesse che producono gli effetti comici del carnevale.

Le forze comiche che producono costantemente gag basate sul contatto, sull’impatto, sull’escrezione o sull’incorporazione ci riportano a un universo incapace di isolare le esistenze, di mantenere i confini o di compartimentare i fenomeni. Il carnevale compare anche tra le fila delle chimere interspecie inventate e tramandate dal circolo Haraway — da Camilles (farfalle umane) a Ulisse (polpi umani) — che rappresentano una sorta di reminiscenza dei rituali carnevaleschi di tutta Europa, dove possiamo ancora incontrare orsi umani, alberi umani, donne umane…

Le nostre strane mutazioni antropologiche

Per evitare di diventare cinico, questo tipo di ricorso alla commedia mira a far risuonare nel nostro presente altri mondi immaginari e altre forme di vita. Si tratta di fare della risata un veicolo di potere piuttosto che di impotenza. Da qui i limiti di una fantascienza strampalata come Fumer fait couser (2022) di Quentin Dupieux, che culmina in una presa in giro della nostra incapacità di mutare di fronte al peggio: quando un’entità malvagia decide di spazzare via il nostro “pianeta in un modo molto brutto”, i supereroi cercano di risolvere la minaccia con la “procedura U55” del robot Norbert, progettata per “cambiare i tempi”. Ma il dispositivo tecnico è bloccato da un bug, e tutto ciò che i protagonisti possono fare è ascoltare l’annuncio elettronico del “cambiamento d’epoca in corso” più e più volte, senza che la promessa venga mantenuta…

In contrasto con questa caricatura della nostra incapacità (tecnologica) di far fronte a un collasso la cui responsabilità è completamente esternalizzata, potremmo strategicamente preferire un’altra fantascienza comica come La belle verte (1996) di Coline Serreau. Nel suo film di culto, la regista ripropone il topos della visita extraterrestre da una prospettiva divertente che rifugge da declinazioni eroiche o tragiche basate su minacce esistenziali e guerre spettacolari — quella di una vasta tradizione che va da L’invasione degli ultracorpi (1956) a La guerra dei mondi (2005).

Gli esseri intergalattici di Serreau sembrano incarnare le teorie stravaganti e al tempo stesso seducenti dell’attivista comunista Juan Posadas, che guardava con speranza agli sbarchi alieni, ritenendo che una civiltà abbastanza avanzata da compiere un’impresa del genere avrebbe dovuto necessariamente superare lo stadio primitivo di competizione spietata e di disuguaglianza lacerante che caratterizza la maggior parte del nostro pianeta[13]. Dal punto di vista spostato della civiltà molto più evoluta degli extraterrestri, si genera una prospettiva ironica sul nostro mondo che ci allontana da un sistema culturale dominante irragionevole, facendoci desiderare altre “mutazioni antropologiche” (per usare l’espressione di Pasolini e volgere la sua connotazione critica in positivo).

Il binomio finzione-ironia-ecologia nel film di Coline Serreau ricorda quello utilizzato nella serie a fumetti di grande successo Petit traité d’écologie sauvage (2017-2019). Attraverso la china e l’acquerello delle sue tavole, il suo autore Alessandro Pignocchi ci invita a osservare il nostro mondo attraverso un esercizio di antropologia simmetrica condotto da un giovane etnologo jivaro che cerca di comprendere e descrivere la nostra società, minacciata di estinzione a causa della sua insostenibilità ecologica.

Il contenuto comico della storia risiede, ancora una volta, nel filtro disorientante che confonde la nostra routine e i suoi ordinari automatismi. Gli ingombranti cartelloni pubblicitari incontrati sul ciglio della strada, ad esempio, ispirano al protagonista osservazioni esilaranti e illuminanti come “la resistenza di un popolo di fronte al collasso culturale si esprime spesso attraverso il vigore della sua iconografia”.

L’altro espediente narrativo e umoristico utilizzato da Pignocchi — affascinato dal pensiero di Descola — è quello di immaginare l’infiltrazione della cultura animista minore in un mondo occidentale dominato dal naturalismo estrattivista. E così ci immergiamo in un universo a cavallo tra il consueto e l’inaudito, dove i membri del G20 eseguono canti rituali e prendono l’ayahuasca nella speranza che le loro anime migrino all’interno di uccelli acquatici, un avatar di Putin dichiara alla stampa il suo matrimonio legalizzato con una papaia e una pseudo-Angela Merkel annuncia ai media il ripristino del baratto e propone in diretta di scambiare il pesce peccaminoso con uno stere di legno…

Il mondo familiare — le sue istituzioni e i suoi leader, tanto per cominciare — si ritrova ibridato con una cosmologia insolita che produce una chimera socio-culturale molto divertente e stimolante. Come possono stare insieme elementi apparentemente opposti? Attraverso il registro ironico, se aderiamo alla definizione di Donna Haraway che lo definisce come una giunzione tra tensioni divergenti[14] :

“L’ironia investe contraddizioni che non sono riducibili a un insieme più ampio, nemmeno dialetticamente. L’ironia è una storia di tensione che si produce quando vogliamo tenere insieme cose incompatibili perché due o tutte sono vere e necessarie. L’ironia è umorismo e gioco serio”.

L’ironia, quindi, fornisce un quadro per elaborare la complessità, la molteplicità e la fragilità.

Illudere il futuro

In opere come La belle verte e Le petit traité d’écologie sauvage, l’ironia opera attraverso il distanziamento, poiché, come ricorda Vilém Flusser, è “necessario prendere una distanza ironica da noi stessi” per spostare e ripensare i codici e i valori che abbiamo ereditato (“dare un significato concreto ai simboli che ci programmano”)[15]. D’altra parte, secondo la logica di Haraway, l’ironia permette di sfuggire a divisioni troppo rigide e di riunire fenomeni apparentemente contraddittori ma non incompatibili all’interno di ontologie impure e chimeriche che non alimenteranno — o alimenteranno meno — le emicranie della nostra dissonanza cognitiva.

Le voci esaltate e deliranti di un settore della creazione letteraria contemporanea — come quelle che si trovano nelle già citate Opérations biohardcores di Antoine Boute o in Le régime parfait di Estelle Benazet Heugenhauser — rappresentano un tentativo di esprimere in modo piacevole e potente soggettività sotto pressione in un’epoca di controversie climatiche e di realismo capitalista. Sono le sorelle e i fratelli comici del tragico Joker che ha infestato le più recenti visioni di rivolta e insubordinazione. I discorsi farseschi ed esilaranti dei protagonisti di questi libri sfuggono all’eco-depressione o al declinismo inebriandosi di progetti stravaganti e leggende capaci di enunciare istanze di ribellione e trasformazione solo a prima vista improbabili. E noi, il pubblico, ci ritroviamo a ridere con loro e con la loro scintillante megalomania, anziché deridere le loro presunte avventure irrisorie.

Riprendendo le celebri parole di Deleuze e Guattari, ciò che delira nella “rivoluzione biohardcore” o nel rovesciamento alimentare dell’Androcene, è il desiderio collettivo di una profonda mutazione del nostro universo sociale, culturale ed economico. A volte così bruciante e urgente da diventare difficile da ammettere e definire, questo desiderio può essere delirante solo attraverso un’ironia impegnata e coinvolgente che riesce a contagiarci e a portarci oltre il cinismo imperante.

Note

[1] Vedi, ad esempio, saggi come: Yannick Rumpala, Dalle macerie del mondo. Ecologia, fantascienza ed etica del futuro, Champ Vallon, 2018; Ariel Kyriou, Nell’immaginazione del futuro: tra i confini del mondo, intelligenza artificiale, virus ed esplorazione dello spazio, Éditions ActuSF, 2020; Zoë Sophia, Sterminate i feti. Aborto, disarmo, sesso-semiotica degli extraterrestri, Excès/ L4 bouche, 2022.

[2] Vedi l’ultimo numero (n° 79) dell’importante rivista Terrain dedicato a “Futurofolies” sotto la direzione di Emmanuel Grimaud e Julien Wacquez.

[3] Le sue posture trovano il loro posto nello spettro dei declinismi recentemente analizzati da Alain Roy, I declinisti. O il delirio del “grande sostituto”, Écosociété, 2023

[4] Vedi il suo libro: Petromasculinity From Patriarchal Fossil Myth to Feminist Energy Systems, Wildproject , 2023. Le parole citate sono tratte dall’intervista “Per una lettura femminista del negazionismo climatico” con Ballast (17/7/2023).< / un>

[5] Nelly Quemener, “Cosa resta del nostro umorismo? Alla ricerca di una risata di sinistra”, Revue du Crieur, 2023, n° 22.

[6] Franco “Bifo” Berardi, Disertato, Palermo, Timeo, 2023.< /span>

[7] Ursula Le Guin, “Teoria della basket fiction”, Terrestres, 14 ottobre , 2018.

[8] Joseph W. Meeker, La commedia della sopravvivenza. Ecologia letteraria ed etica del gioco [1972], Tucson, University of Arizona Press, 1997.

[9] Henri Bergson, Le Rire, [1940], Puf, 1989.< /span>

[10] Ci riferiamo alla situazione decifrata da Barbara Stiegler, “Dobbiamo adattarci”: su un nuovo imperativo politico , Gallimard, 2019.

[11] Emma Bigé, Movimenti. Ecopolitica della danza, La Découverte, 2023.

[12] Gianni Celati, “Il corpo comico nello spazio”, in Marco Belpoliti e Marco Sironi (a cura di), Gianni Celati, Riga extra, Milano, Marcos y Marcos, 2008.< /span>

[13] A. M. Glittliz, “Posadas, il trotskista che credeva nel comunismo intergalattico”, Contretemps, 6 marzo 2021.

[14] Donna Haraway, Manifesto del cyborg e altri saggi. Fantascienza-Femminismi, Exils, 2007.

[15] Vilém Flusser, Post-History, Unità di lavoro T&P, 2019.

Fonte originale: AOC media


https://www.asterios.it/catalogo/linginocchiatoio