Se Friedrich Nietzsche, già alla fine del XIX secolo, scriveva:
Ammettere la non-verità come condizione di vita: ciò vuol dire davvero opporsi pericolosamente agli abituali sentimenti di valore e una filosofia che osa questo si pone, con ciò soltanto, al di là del bene e del male.[1]
Un secolo dopo, qualcuno, in Francia, riprendeva ed enfatizzava le idee del filosofo tedesco[2] alla luce del flop rappresentato dal movimento del ‘68 (ossia dell’in-voluzione dei sui intenti ri-voluzionari) in quel Lo scambio simbolico e la morte che consacrò il nome e il pensiero del suo autore all’attenzione del dibattito internazionale: stiamo parlando di Jean Baudrillard. In questo testo Baudrillard va a definire in maniera decisiva la sua idea di “simulazione”, parlando appunto della disattesa riuscita della lotta al capitalismo paventata e portata avanti dalla sinistra sessantottina e dalla critica marxista alla società consumistica degli anni 60’ e 70’. Precisamente, sostiene l’intellettuale francese, la rivoluzione e la sconfitta del sistema capitalistico non si sarebbero avverate proprio in virtù del fatto che ci troveremmo davanti alla fine della storia, alla fine del lavoro, dell’economia politica, della produzione e della dialettica valore di scambio/valore d’uso tipica dell’era classica del segno[3] – anzi, più propriamente, al di là della fine: in uno spazio paradossale di sparizione della realtàa favore della simulazione. Ma cosa dobbiamo intendere, esattamente, con tale affermazione? Sintetizzando, essa indica l’idea di un’impossibilità della storia di farsi evento. Secondo il filosofo, ciò sarebbe dovuto alla fine di tutte le credenze, di quelle rappresentazioni che aspirano a cogliere il significato del mondo e dei suoi enti, una fine che, nello stesso tempo, è anche «vuoto della fine» – cioè delle finalità delle nostre azioni,[4] ossia del farsi e darsi della storia come serie di eventi aventi scopo e direzione sensati, reali.
[…] È la fine della linearità. In questa prospettiva il futuro non esiste più. Ma se non c’è più futuro, non c’è più neppure fine. Non si tratta più nemmeno quindi della fine della storia. Abbiamo a che fare con un processo paradossale di reversione.[5]
Baudrillard definisce infatti la simulazione anzitutto come quell’ordine di reversione e commutabilità indefinita delle cose e dei valori tra loro, dominato dalle reti globali dell’informazione e della comunicazione: circolazione pura e infinita di un’iperrealtà senza fine che sfugge alla scadenza del Giudizio ultimo di una qualche escatologia o della Rivoluzione.[6] Qui ogni cosa è immediatamente realizzata, anzi, resa più reale del reale in una positivizzazione totale e nella sua integralizzazione in immagine istantanea: iperrealtà appunto, ossia la situazione attuale per cui l’esperienza della “realtà integrale” e dei fenomeni in “real-time” assorbono il reale tramutandolo in un mero rimando di immagini, segni senza significato e perciò indifferenti, intercambiabili tra loro. È la fine del reale, di ogni referenza reale.[7] Ciò a cui assistiamo è dunque, secondo Baudrillard, uno “sciopero degli eventi” dovuto all’impossibilità – in questa situazione di accelerazione esponenziale – di far sedimentare un senso alle nostre esperienze.[8] Di conseguenza, il mondo viene ridottoad apparenza, simulacro, “istantanea immagine” nella dissoluzione, per eccesso, della propria “sostanzialità” nell’indeterminatezza e nella commutazione – al di là di ogni giudizio di valore:
L’era della simulazione è così ovunque aperta dalla commutabilità dei termini un tempo contraddittori o dialetticamente opposti. Ovunque la medesima ‘genesi dei simulacri’: commutabilità del bello e del brutto nella moda, della sinistra e della destra in politica, del vero e del falso in tutti i messaggi dei media, dell’utile e dell’inutile al livello degli oggetti, della natura e della culturale tutti i livelli della significazione. Tutti i grandi criteri umanistici del valore, quelli di tutta una civiltà del giudizio morale, estetico, pratico, si cancellano nel nostro sistema d’immagini e di segni. Tutto diventa indecidibile: è l’effetto caratteristico della dominazione del codice, che ovunque riposa sul principio della neutralizzazione e dell’indifferenza. Questo è il bordello generalizzato del capitale; non il bordello della prostituzione, ma il bordello della sostituzione e della commutazione.[9]
Tuttavia, come vedremo fra poco (e forse sorprendentemente) Baudrillard non vede in tutto ciò un destino nefasto, una fatalità negativa: piuttosto, l’incertezza e indeterminatezza in cui ci imbattiamo metterebbero semplicemente l’uomo a contatto con l’intrinseca non-verità del/sul mondo[10] – quella non verità che il filosofo, dice Nietzsche e riconferma Baudrillard, deve perseguire.[11]
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1. Non siamo più nel dramma dell’alienazione, siamo nell’estasi della comunicazione
Approfondendo le dirette implicazioni dell’ipotesi baudrillardiana sulla simulazione, quest’ultima verrebbe dunque a descrivere quella situazione in cui tutto il negativo sembra poter essere valorizzato dal sistema sociale e in cui non valgono più le ‘partizioni’ distintive ed oppositive che in epoca moderna garantivano l’ordine e la (relativa) stabilità alle formazioni sociali e alla strutturazione psichica degli individui: destra/sinistra, stesso/altro, normalità/follia, valore/disvalore, legge/anomia. Tali operazioni distintive di tipo oppositivo sono quelle che avallavano un ordine sociale e di senso, che era potere di partizione, di esclusione, ma anche di valorizzazione di quel resto, di quello scarto prodotto di continuo da quelle stesse partizioni distintive: l’Altro in base a cui solo si può articolare la dialettica identitaria del rispecchiamento come alienazione, rovesciamento e riconoscimento.[12] Ecco dunque perchè la rivoluzione sessantottina ha fallito: perchè non c’è più reale, sensata alternativa da giocare contro, e ci troviamo, invece, oltre ogni possibilità di referenza di senso che si possa opporread un fagocitante controllo del “codice”.[13] Quando tutti gli eventi, tutte le funzioni, tutti gli spazi sono assorbiti nell’immanenza e nella trasparenza della comunicazione e dell’informazione, cadiamo immancabilmente nell’ordine dell’oscenità, letteralmente il fuori dalla scena, dal gioco delle illusioni e delle rappresentazioni.[14]
[E’] […] una società satura e «trasparente», che riproduce essenzialmente se stessa in un presente esponenziale estatico e infinito. Viviamo – è questa la diagnosi del sociologo francese – la società dell’«osceno» e osceno è tutto ciò che mette fine a qualsiasi sguardo, a qualsiasi segreto, a qualsiasi immagine, a qualsiasi rappresentazione. Non stiamo più nell’ordine dell’alienazione, quel ‘beneficio simbolico’ che ancora ci illudeva dell’esistenza dell’Altro.[15]
2. Realtà autoreferenziale, realtà come finzione: come il mondo è ri-diventato favola
Risulta forse ora più evidente quanto la simulazione venga a definire una situazione “tautologica”, autoreferenziale e autonoma.[16] Se non vi è più specchio in cui riflettersi, realtà a cui tornare per assegnare un significato alla realtà, Altro da cui distinguere il sé, quel che ci rimane sono un insieme di meri segni, immagini, puri simulacri o, come sostiene a questo riguardo Andrea Pinotti, icone a-iconiche.
The contemporary scenario of image production and consumption is characterized by an ever-increasing blurring of the distinction between image and reality. Immersivity and interactivity in virtual environments are able to elicit in the user an intense feeling of “being there”, namely of being embodied in an independent and self-referential world. Images are consequently transformed into habitable environments, which tend to negate themselves as representational images of something—i.e., as icons: they are veritable “an-icons”. As such, they undermine the dominant paradigm of Western image theories (shared by the classical doctrine of mimesis, the phenomenological account of image-consciousness, the analytic theories of depiction, the semiotic and iconological approaches) based on the notion of “re-presentation”. This notion overlooks the crucial point regarding an-icons: the feeling of “presence” associated with inhabiting the image-world. “Presentification” rather than representation is here the key issue.[17]
Parafrasando, Pinotti osserva come nel mondo contemporaneo, poichè le immagini hanno assunto uno statuto di completa autonomia, le icone come “immagini-di-qualcosa”, non possono più sussistere: di conseguenza non si può più parlare di rappresentazione, ma solamente di presentificazione.
Nulla di diverso da quanto già affermava Baudrillard definendo la nostra situazione come peculiarmente paradossale:[18] l’Occidente infatti si riflette in uno specchio che esso stesso ha costruito, ossia nello schermo narcisistico del virtuale, dell’economia globale e della sub-cultura mediatica, venendone letteralmente risucchiato – non sa più qual è il riflesso e quale l’originale, il reale. Analogamente, la globalizzazione sembra aver riassorbito quelle esperienze dell’alterità che avevano articolato nei due secoli passati la dialettica identitaria del rispecchiamento come alienazione, rovesciamento e riconoscimento.[19] Da tale punto di vista, come Foucault, Baudrillard constata dopo Hegel (e così, dopo Marx e Nietzsche) la sparizione dell’uomo, e con essa, la liquidazione di ogni forma di umanesimo: non si può più, come sognava di fare invece il popolo della fiaba, tornare al di qua dello specchio (fare la rivoluzione) poiché si è già da sempre intrappolati, esiliati nell’immagine – resi trasparenti dal vetro sottile dello schermo della realtà virtuale. Non è più possibile partire dal reale e fabbricare l’irreale, l’immaginario a partire dai dati del reale.[20] Non c’è più un altrove verso cui fuggire.
Ma soprattutto non c’è più una realtà a cui tornare – e questo perché, a ben vedere, secondo Baudrillard non c’è mai stata: il ‘mondo’ sarebbe, già da sempre, un’invenzione.[21] Infatti, ricapitolando con le parole di Omar Calabrese, studioso e amico del filosofo:
Le immagini hanno sostituito il mondo […] la rappresentazione è finita, l’ha già detto Hegel, l’ha detto Schopenhauer. […] Dietro l’artificio delle immagini non possiamo presupporre una realtà, anzi: Baudrillard afferma che è proprio attraverso l’artificio e la simulazione, che il mondo esiste.[22]
Ecco perché abbiamo potuto affermare, fin da subito, quanto Baudrillard sia pensatore profondamente nietzscheano. Per lui l’immagine non è il riflesso del reale, poiché questo assume a sua volta un carattere prospettico nonché fantasmatico e illusorio, facendo cadere il classico partage tra realtà e finzione, tra vero e falso, e rendendo indecidibile, per il soggetto che guarda se stesso o l’oggetto nello specchio, l’indicazione dell’originale. E ciò anche prima che il simulacro, come copia della copia, annullasse ogni riferimento all’originale.[23]
Di conseguenza, l’odierna condizione in cui vertiamo, chiamata da Baudrillard “era dell’ iper-simulazione” o “iperrealtà”, va a definire, semplicemente, una situazione in cui il soggetto verrebbe radicalmente a patti con la sparizione di una direzione e di un significato da attribuire agli eventi, e dunque, con una radicale disillusione circa il mondo e il suo senso. E ciò in quanto, come abbiamo detto poc’anzi, per Baudrillard che le cose e gli eventi della realtà abbiano una finalità e uno scopo è una nostra invenzione.
Non esiste una trascendenza con la quale misurarsi. Non esiste una finalità ultima. […] Il mondo non è scambiabile, giacché non c’è nulla di esterno con cui possa misurarsi, paragonarsi; nulla attraverso il quale attribuirsi valore.[24]
Ne Il delitto perfetto Baudrillard spiega infatti come l’impulso primario dell’uomo sia quello di “securizzarsi” una realtà in cui possa pensare, agire, progettare, incidere – e, in questo modo, affermare se stesso come soggetto a cui questa realtà rimanda per il suo senso. Specificatamente, la realtà verrebbe cioè a configurasi come un’effetto-realtà, una “ipostatizzazione”, una finzione la cui esistenza e il cui senso sono frutto di una finalità, scopo, contro-immagine, “negativo” che funge da disgiunzione fondativa e sua regola di funzionamento.[25] Secondo il filosofo, l’uomo è sempre stato in grado, nei secoli, di porre in essere la realtà e “farla funzionare” proprio e solo eliminando da essa e delegando in un contro-mondo tutto ciò che gli sembra incomprensibile, irrazionale – ma che, al contempo, costituisce anche il riflesso, il polo disgiunto, la riserva dell’immaginario e di sogno da cui, attingendovi, la realtà, la sua illusione, può continuare a funzionare.[26] In due parole:
Perché funzioni questa illusione, occorre che da qualche parte ci sia un referente, un equivalente; ciò significa una possibilità di scambio in termini di valore[27]
Insomma: l’umanità non avrebbe fatto altro che raccontarsi, per secoli, da sempre una bellissima e rassicurante storia in cui situava se stessa e le proprie arbitrarie costruzioni di senso come inconfutabili valori e certezze. La sicurezza di poter spiegare il mondo, rappresentarlo, agire e affermarsi su di esso non sono dunque nient’altro che una favola. E così, con l’era dell’iper-simulazione, per Baudrillard il mondo è di nuovo, dopo Nietzsche, diventato favola (anzi, un’iper-favola, direbbe forse il pensatore francese).[28]
3. Un “dadaismo teorico” tra illusione necessaria e strategie fatali
A questo punto della nostra trattazione è ormai chiaramente emerso come il preciso obiettivo della riflessione baudrillardiana consiste nello svelare la simulazione a se stessa, ossia spingerla oltre, fino alle conseguenze più estreme, fino ad intaccare profondamente la soggettività, mostrando che questa non è se non simulazione del soggetto.[29] Quello di Baudrillard si staglia perciò, in sintesi, come un tentativo di ripensare la realtà alla luce dello sterminio della referenzialità e della rappresentazione ad opera dei segni. Tale tentativo è intrinsecamente legato, nella ricca costellazione concettuale concepita dal nostro filosofo, con quella “nozione” di illusione oggettiva tramite cui Baudrillard ripetutamente afferma, nelle sue diverse opere, che il meccanismo fondamentale con cui la realtà si costituisce come tale e ciò che ne definisce lo statuto proprio è l’illusione: «Secondo il mio punto di vista […] creare un mondo reale, significa “produrlo” e il reale non è mai stato altro che una forma di simulazione».[30]
Ancora una volta, il richiamo è a Nietzsche, che in Al di là del bene e del male, parlando della filosofia, scrive: «La filosofia è questo stesso impulso tirannico, la più spirituale volontà di potenza, di “creazione del mondo”, di una causa prima».[31]
Questa citazione di Nietzsche è infatti estremamente significativa, perché può essere letta in un duplice modo. Da un lato ci parla e ci mette in guardia da quell’uomo, intellettuale, filosofo o scienziato, che in quanto “umano troppo umano” cerca ancora di intessere in una teoria soggettiva la spiegazione oggettiva del mondo. Dall’altro può fungere da richiamo a quanto si deve prefiggere questo “mezzo-uomo” per diventare superuomo e, con lui, chiunque (per tornare ad usare un lessico baudrillardiano) decida di adottare un Patto di lucidità nei confronti del mondo. Invero, sinteticamente e più chiaramente, tanto per Nietzsche quanto per Baudrillard la consapevolezza della soggettività e arbitrarietà dei significati che assegniamo alla realtà, la creazione di un sistema di razionalizzazione, di una teoria per essa (pur nella coscienza che tale teoria può essere solamente un’illusione, una finzione simualzione di senso) non deve essere il punto d’approdo della ragione. Ancora meglio, in altri termini: il non-sense stesso del mondo, che così abbiamo assodato, il suo essere apparenza (o, direbbe Baudrillard, “illusione oggettiva”)non deve essere istituito a fondamento, con il rischio di assolutizzare un relativismo dei valori.
Infatti, in Baudrillard, il Patto di lucidità viene descritto come quell’onestà intellettuale che l’autore auspica in quanto necessaria per un’indagine coinvolta e impegnata a pensare e costituire una realtà che s’installa, come abbiamo visto, in uno “spazio paradossale”.[32] La vertigine del senso peculiare di quest’universo che si è fatto trans-finito potrebbe così tradursi non solo nell’angoscia schizofrenica del soggetto che ne è violentemente confrontato,[33] ma anche – incalza Baudrillard – assumere le sembianze di un lucido e liberatorio dis-incanto nei confronti dell’inintelligibilità della realtà. Nella consapevolezza, cioè, dell’impossibilità, presa complessivamente, di trovarle un equivalente empirico o trascendente con cui possa intessere lo scambio o una legge da cui acquisire senso e valore.[34] La terribile necessità di questa incertezza fondamentale riguardante il mondo sarebbe anzi affascinante, seducente e addirittura estremamente benefica e salvifica,[35] poiché:
[…] dice Cioran: “se la vita ha un senso, allora siamo tutti dei falliti”. È come dire che l’ipotesi finale è disperata. Essa sottolinea la nostra impotenza e ci getta in un’incertezza infausta. Se invece il mondo è nato tutt’a un tratto, non potrebbe avere né una fine né un senso determinato. Siamo protetti dalla sua fine da questo non senso che prende forza d’illusione poetica. Certo, il mondo diventa assolutamente enigmatico, ma questa incertezza, come quella delle apparenze, è fausta. Essendo l’illusione per eccellenza, l’arte di apparire, di sorgere dal niente, ci protegge dall’essere. Essendo l’arte di scomparire, ci protegge dalla morte. Il mondo è protetto dalla sua fine grazie alla sua indeterminazione diabolica. In compenso, tutto ciò che è determinato è destinato ad esser sterminato.[36]
Alla luce di una piena consapevolezza, allora, dell’impossibilità di continuare a sostenere la posizione e le rivendicazioni del soggetto[37] – e, quindi, la spiegazione entro la causalità razionale del mondo oggettivo – non può che corrispondere il tentativo di Baudrillard di schierarsi dalla parte delle strategie ironiche della tecnica, ossia la piena assunzione del destino ironico del mondo, di apparenza e enigmaticità; un destino di sviamento e reversione del senso, di queste stesse apparenze: la distorsione e derisione “automatica”, ironica, felice e spontanea propria del mondo.[38] Il che significa, in ultima istanza, adottare in maniera non intenzionale le cosiddette strategie fatali, che emergono solidali a tale illusione oggettiva del mondo.[39] Attualizzate primariamente da Baudrillard come “strategia fatale della scrittura” o “pensiero radicale”,[40] semplificando, potremmo sostenere che essa si installa come necessità difinzione – da intendersi, quest’ultima, come la fatalità o il destino ironico e catastrofico del mondo (ossia, sottoposto all’implosione del suo significato, del “complotto” di realtà).[41]
Utilizzando un lessico meno baudrillardiano, più semplicemente potremmo dire che questo “posto vuoto” lasciato dal venire meno delle istanze trascendenti e dalla dissoluzione del soggetto corrisponde in Baudrillard alle intenzioni “estreme” che egli assegna alla teoria come sfida a-umana e simulatoria, nella piena consapevolezza di non poter rinnovare ‒ nell’universo metastatico e tautologico dell’iperreale ‒ l’invito per l’uomo a farsi creatore e legislatore di una nuova “tavola di valori”. Ecco come il filosofo descrive in L’altro visto da sé, la teoria e il suo compito di strategia fatale:
La teoria non potrebbe avere per fine di essere il riflesso del reale, né di entrare con lui in un rapporto di negatività critica. Questo fu il pio desiderio di un’epoca perpetuata dai Lumières, ed è ancora questo desiderio a regolare oggi lo statuto morale dell’intellettuale. Ma questa dialettica così bella pare oggi sregolata. A cosa serve la teoria? Se il mondo è a stento conciliabile con la concezione di reale che gli viene imposta, la teoria non è certo lì per riconciliarlo, è lì al contrario per sedurre le cose, per strapparle alla loro condizione, per forzarle a una sovraesistenza incompatibile con quella del reale. Ed essa stessa ne fa le spese in un’autodistruzione profetica. Se parla del superamento dell’economico non può essere essa stessa un’economia del discorso. Deve farsi eccessiva e sacrificale per parlare di eccesso e di sacrificio. Deve farsi simulazione, e adottare la stessa strategia del suo oggetto. Se parla di seduzione, deve farsi seduttrice, e adottare gli stessi stratagemmi. Se non aspira più al discorso della verità, deve prendere la forma di un mondo da cui la verità si è ritirata. Diventa allora il suo stesso oggetto.[42]
Questa quindi la provocazione di Baudrillard: la teoria non può limitarsi a descrivere, analizzare e interpretare il reale; deve invece spingersi oltre, facendosi essa stessa «avvenimento nell’universo che descrive».[43] Solo così, nell’‘accelerazione’ della logica che definisce l’ironia di un reale iper-simulato, può trovare una sua collocazione: dadaismo teorico (o teoria dadaista), potremmo anche dire. Il compito attuale della teoria è allora quello di sfidare il mondo ad essere ancora più illusorio, più ironico, più seducente, più reale o più irreale. «La teoria ha senso solo in questo esorcismo», ed è in tal modo che assume la forza di un «segno fatale, più inesorabile ancora della realtà».[44]
Traendo il sunto del nostro ragionamento (e, assodato una volta per tutte che la simulazione è la sola modalità e il solo orizzonte spazio-temporale con cui il reale, secondo Baudrillard, da sempre si manifesta) possiamo perciò affermare che per l’intellettuale francese l’unica tipologia di “liberazione” dalla realtà integrale, oscena, ipersimulata, virtualizzata e metastatica, che – tuttavia – ancora possiamo ottenere, risiede nella necessità, per il soggetto, di “farsi oggetto”: in altri termini, di assecondare e addirittura esasperare tale modalità di manifestazione della realtà.[45] Dato il venir meno delle condizioni di possibilità di un pensiero critico, il compito che è, ciononostante, esercitabile dal pensiero filosofico consiste allora, più che nel denunciare, nell’accelerare questi “processi terminali”,[46] nel portarli funambolicamente al limite oltre il quale la stessa trivialità dell’ipersimualzione potrebbe forse (nel senso adoperato da Nietzsche)[47] far nascere il suo contrario: rovesciarsi in intelligenza e riaprire così il gioco ad un altro, nuovo livello di realtà.
[…] come si è detto, la realtà non esiste, ma è già, in quanto tale, frutto di una simulazione che l’arbitrio moderno ha coagulato attorno alle coppie reale-immaginario, vero-falso, conscio-inconscio, ecc. Questo assunto nichilistico, apparentemente insopportabile, costituisce tuttavia per Baudrillard la sorgente di ogni possibile invenzione di senso, al di là dell’economia ristretta della produzione e anche della struttura correlativa soggetto-oggetto […] l’estetica ironica di Baudrillard, la sua dissimulazione del reale […] questa una nuova scrittura dell’inumano […].[48]
4. L’evidenza immediata della vita quotidiana e il Patto di lucidità
Omar Calabrese descrive Baudrillard come l’ultima incarnazione dello scettico, in quanto contesta l’evidenza immediata della vita quotidiana attraverso e grazie all’esercizio borgesiano del paradosso.[49] Tuttavia, proprio perché secondo Baudrillard il reale è scomparso dalla nostra vita, si tratterà, anche, per il nostro filosofo, di reinventare il reale come finzione. [50]Più precisamente perciò, quel “Patto di lucidità” di cui abbiamo già trattato più sopra, è pensato e agito da Baudrillard in una duplice e complementare direzione – ancora una volta molto vicina alla sensibilità nietzscheana. In primo luogo, nei confronti del “carattere” di trasparente indeterminatezza che assume ogni categoria con cui il soggetto si ostina a classificare il reale. Bisognerebbe infatti, secondo l’intellettuale francese, evitare di erigere a fondamento lo statuto di “subitaneità” ed “effetto” della realtà sottratta alla referenza (ossia quel suo essere “traccia” che abbiamo potuto individuare). E ciò in quanto: «questa subitaneità, questo emergere a partire dal vuoto, questa non anteriorità delle cose rispetto a se stesse continuano a colpire l’evento del mondo al cuore stesso del suo svolgimento storico».[51] In secondo luogo, alla luce di tale situazione, bisognerebbe, come abbiamo già accennato, anche evitare di cadere in una sorta di relativismo dei valori:
PP: “Nel combattere l’illusione di realtà come fai tu, non temi di rinchiuderti in un relativismo dei valori e assumere il tuo desiderio di scomparsa come la realtà stessa?” ‒ JB: “Non credo. In alcun modo è in questione un relativismo dei valori nella mia modesta sfida all’illusione della realtà. […] Ciò che faccio […] non significa che è ‘nichilistico’ nel senso che implica che non ci sia più alcun valore, alcuna realtà, ma solo segni: le accuse di nichilismo e inganno ricadono sempre su questo punto. Ma se invece si assume il nichilismo nel senso forte, nel senso di un pensiero basato sul nulla, un pensiero che potrebbe avviarsi dall’assioma ‘perché c’è il nulla piuttosto che l’essere?’ ‒ capovolgendo la questione filosofica fondamentale ‒ allora non mi spiace esser chiamato nichilista.”[52]
Detto altrimenti: il non-sense stesso del mondo, il suo essere apparenza, non deve essere istituito secondo Baudrillard a fondamento. Se l’illusione, cioè, trova il suo principio di funzionamento nell’incertezza e nella discontinuità radicale, che irrompono in tutti i campi e interstizi della realtà, tuttavia queste ultime non vanno assunte a ragione causale e verità fondante della realtà, ma a semplice “regola arbitraria” che ne guida il gioco:
L’irruzione, in tutti i campi, dell’incertezza radicale, la fine dell’universo rassicurante della determinazione, non sono affatto una fatalità negativa, purché l’incertezza diventi essa stessa la regola del gioco. Cercando di non correggerla con l’iniezione di nuovi valori, di nuove certezze, ma facendola circolare come regola fondamentale. […] Solo la considerazione di una fine permette di concepire una continuità, e le nostre scienze ci hanno abituati a vedere tutto sotto la prospettiva di un’evoluzione continua, che non è mai che la nostra ‒ la forma teologica della nostra superiorità. La forma essenziale, però, è quella della discontinuità.[53]
Baudrillard, perciò, rinunciando completamente al partage realtà-finzione non ha tuttavia abbandonato la potenza decostruttiva e insieme creativa, fatalmente costruttiva del linguaggio, votandosi così ad una patafisica scienza delle soluzioni immaginarie.[54] Il suo intento di ‘reinventare il reale come finzione’ infatti, non equivale affatto al tentativo (peraltro già abbondantemente riuscito) di sostituirlo con la precisione inconsistente dell’iperrealtà, ma consiste piuttosto nel farlo fulmineamente comparire e scomparire come decostruzione e creazione di senso, in uno scambio simbolico istantaneo tra l’essere e il nulla.
Non si tratta insomma di una sostituzione segnico-virtuale della realtà, perchè, come detto, la realtà non esiste, ma è già, in quanto tale, frutto di una simulazione; si tratta piuttosto di una sua dissimulazione letteralmente ironica, poichè il reale viene confutato, distrutto e insieme ricostruito proprio nel non-luogo che lo ha riassorbito: nello specchio del web. È nella rete che la ‘piattezza esponenziale del presente’ dev’essere parodiata fino al suo rovesciamento; solo un tale capovolgimento assolutamente non dialettico ma, direbbe forse Fulvio Carmagnola, «omeopatico», potrebbe infatti consentire di ‘reinventare il reale’, più che come invenzione perfetta (iperreale), come teatro di scambio simbolico con l’alterità. Forse è questo il compito impossibile ma ineludibile che Baudrillard ci assegna oggi.[55]
5. Conclusione
Tirando dunque le somma di quando visto e così estrapolando il nucleo teorico al cuore della nostra speculazione, possiamo affermare che la domanda fondamentale che Baudrillard si pone sia, in poche parole: come è possibile pensare il reale quando tutto è simulazione? Ossia: come usare il reale, il suo essere “illusione oggettiva”, finzione contro tutti i tentativi dei vari “sistemi di (iper-) razionalizzazione” (compreso quello di Baudrillard stesso) di renderne conto, di esserne la causa e il metro di giudizio? Baudrillard dichiara che primariamente la realtà è illusione – nella consapevolezza, tuttavia, che – al contempo e paradossalmente – essa può trovare un significato (avere significanza, esser performata e performativa) solamente all’interno di una teoria – anche proprio quando quest’ultimo è la non-significanza/illusorietà del mondo.
In accordo con uno dei più grandi interpreti di Baudrillard, Rex Butler, il cosiddetto pensiero radicale di Baudrillard viene così secondo noi a delinearsi come la teoria che parla di questa incapacità di ogni sistema di significati, di ogni argomentazione, di render conto di se stessi.
Ed è proprio nelle inconsistenze e nelle contraddizioni, nella dissoluzione e nei non-sense in cui ogni rappresentazione che si vuole definitiva ricade, che possiamo vedere in cosa consiste il reale, ossia la sua stessa resistenza. E Baudrillard spinge, fomenta, amplifica, approfondisce tale dissoluzione, reversione ed ambiguità a cui i sistemi di senso sono necessariamente destinati. Spingere in una direzione altra (tramite una “finzione raddoppiata”, quindi diversa perchè superiore in potenza) la significazione: tale è il motore segreto in ogni sua opera, ciò che dobbiamo tenere a mente in ogni valutazione del suo pensiero. Alla luce, così, di una teoria che si vuole trascrizione inesorabile del mondo nel suo essere assoluta (in-)differenza nei confronti di ogni prospettiva che tenti di rappresentarlo in maniera esaustiva, Baudrillard porterà, nei sui ultimi scritti (e tramite una scrittura “fatale-patafisica”)[56] le sperimentazioni di linguaggio e pensiero al limite estremo – proprio evidenziando il limite al loro stesso potere di incidere su e di creare il reale, autopresentandosi come ipotesi non-autosussistenti.
Gli ultimi scritti di Baudrillard “[…] sono sviluppati come una riflessione sull’indifferenza del mondo che però attivamente lotta, combatte per attuarla”.[57]
Note
[1] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, verisone di F. Masini, Adelphi, Milano, 1968, p. 10.
[2] Baudrillard è stato un pensatore profondamente nietzscheano sia dal punto di vista contenutistico che formale, come lui stesso e poi molteplici studiosi hanno evidenziato [Cfr. ad esempio: J. Baudrillard, The end of the end e J. Baudrillard, The revenge of the crystal, in J. Baudrillard, Baudrillard live: selected interviews,a cura di M. Gane, Routledge, London, 1993; E. De Conciliis, Lo specchio dell’ironia, in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017) di Lo Sguardo – rivista di filosofia – N. 23, 2017 (I); O. Calabrese, Baudrillard e la fotografia, in (a cura di E. de Conciliis), Jean Baudrillard o la dissimulazione del reale, Mimesis, Milano, 2009; A. Wernick, Post-Marx: Theological Themes in Baudrillard’s ‘America’,in M. Gane (a cura di) Jean Baudrillard, 4 voll. SAGE Publications, London, 2000,vol. 3; G. Coulter, Baudrillard in the Future, in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017), cit.; E. Schirò, Simulacri e immanenza. Speculare Baudrillard, in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017), cit.; M. Gane, Lucidity, intelligence and power. Jean Baudrillard’s unfinished project,in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017), cit.].
[3] «Non è la rivoluzione che mette fine a tutto questo. È lo stesso capitale che abolisce la determinazione sociale da parte del modo di produzione. È il capitale che sostituisce alla forma mercantile la forma strutturale del valore. Ed è quest’ultima che governa tutta la strategia attuale del sistema». (J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, trad. it. di G. Mancuso, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 20).
[4] Come chiarisce del resto E. De Conciilis: «Il problema posto dalla storia non è che essa non avrà fine…, è al contrario, che essa non avrà finalità, scopo, telos. Lo sterminio ‒ nel senso del non aver termine proprio della clonazione-metastasi […]. Quindi noi siamo già oltre la fine: nel virtuale-virale le cose non possono finire, perché hanno già superato il loro termine e “sprofondano nell’interminabile”» (E. De Conciliis, La clonazione come metastasi dell’umano, in E. De Conciliis [a cura di], Jean Baudrillard, o la dissimulazione del reale, cit., p. 91).
[5] J. Baudrillard, L’altro visto da sè, Costa&Nolan, Genova, 1992, p. 63
[6] Cfr. T. Marci, Dalla critica al fatale. Della teoria in Jean Baudrillard, in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017),cit., p. 44.
[7] «Il principio di realtà ha coinciso con uno stadio determinato della legge del valore. Al giorno d’oggi, tutto il sistema precipita nell’indeterminazione, tutta la realtà è assorbita dall’iperrealtà del codice e della simulazione, è un principio di simulazione quello che ormai ci governa al posto dell’antico principio di realtà. Le finalità sono scomparse: sono i modelli che ci generano. Non c’è più ideologia, ci sono soltanto dei simulacri». J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, cit. p. 12.
[8] In tal senso Omar Calabrese, amico del filosofo, ribadisce come lo sterminio della presenza ad opera della simulazione, ossia la messa a morte della realtà, sia infatti primariamente, per Baudrillard, morte dell’immagine del reale nel senso forte di morte della rappresentazione (cfr. O. Calabrese, Baudrillard e la fotografia, in E. De Conciliis (a cura di), Jean Baudrillard, o la dissimulazione del reale, cit., p. 36).
[9] J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, cit., p. 20.
[10] Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio impossibile, a cura di E. Baj, Asterios Editore, Trieste, 2000, pp. 19-20: «L’irruzione, in tutti i campi, dell’incertezza radicale, la fine dell’universo rassicurante della determinazione, non sono affatto una fatalità negativa, purché l’incertezza diventi essa stessa la regola del gioco. Cercando di non correggerla con l’iniezione di nuovi valori, di nuove certezze, ma facendola circolare come regola fondamentale. […] Solo la considerazione di una fine permette di concepire una continuità, e le nostre scienze ci hanno abituati a vedere tutto sotto la prospettiva di un’evoluzione continua, che non è mai che la nostra ‒ la forma teologica della nostra superiorità. La forma essenziale, però, è quella della discontinuità».
[11] Cfr. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit. p. 154:«L’obiezione, la deviazione, l’allegra sfiducia, il desiderio di ironia sono segni di salute: tutto ciò che è assoluto rientra nella patologia».
[12] Cfr. V. Cuomo, La violenza simbolica e l’illusione estrema. Baudrillard e l’arte contemporanea, in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017), cit., p. 140.
[13] «Non vi è più negazione né superamento possibile, poichè siamo al di là. Non vi è più alcuna energia negativa, derivata dal disequilibrio fra l’ideale e il reale – vi è solo un’iperrealizzazione nata dalla sopraffusione dell’ideale e del reale, nata dalla positività totale del reale» (J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, a cura di G. Piana, Raffaello Cortina, Milano, 1996, pp. 33-34).
[14] Cfr. J. Baudrillard, L’altro visto da sè, cit. p. 15.
[15] T. Marci, Dalla critica al fatale. Della teoria in Jean Baudrillard, cit., p. 40.
[16] «Simulazione, nel senso che tutti i segni si scambiano ormai tra di loro senza scambiarsi più con qualcosa di reale (e non si scambiano bene, non si scambiano perfettamente tra di loro che a condizione di non scambiarsi più con qualcosa di reale). Emancipazione del segno: svincolato da quell’esigenza “arcaica” che aveva di designare qualcosa, esso diventa infine libero per un gioco strutturale, o combinatorio, secondo una indifferenza e una indeterminazione totale, che succede alla precedente regola di equivalenza determinata» (J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, cit., p. 18).
[17] A. Pinotti, Self-Negating Images: Towards An-Iconology, in Proceedings, 2017, p.1.
[18] Cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., pp. 86-87.
[19] Cfr. G. Gurisatti, Scacco alla realtà. Estetica e dialettica della derealizzazione mediatica, Quodilibet Studio, Macerata, 2012, p. 211.
[20] Cfr. E. de Conciliis, Lo specchio dell’ironia, cit., pp. 11-12.
[21] «Non si finisce mai di colmare il vuoto della verità. Si spiega così la fuga in avanti verso sempre nuovi simulacri. […] Con tutta la nuova Realtà Virtuale, entriamo nella fase finale di questa impresa di simulazione […]. Se l’invenzione della realtà è ciò che sostituisce l’assenza di verità, allora, quando l’evidenza di questo mondo “reale” diviene dappertutto problematica, non significa forse che siamo più vicini all’assenza di verità ‒ vale a dire al mondo così com’è?» (J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, Raffaello Cortina, Milano, 2006, p. 27). Cfr. anche J. Baudrillard, Parole chiave, trad. it. di G. Biolghini, Armando, Roma, 2002, pp. 55 e 66.
[22] O. Calabrese, Baudrillard e la fotografia, cit., p. 31. Cfr. anche ivi, p. 36.
[23] Infatti, la tesi della scomparsa della realtà (cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., pp. 8-9) implica direttamente in Baudrillard quella per cui la realtà è già un’invenzione, o per meglio dire una ‘costruzione sociale’ (nei termini di Berger e Luckmann), ben prima di scomparire. Questa tesi, che Baudrillard mutua da Émile Benveniste e Roland Barthes, consiste nel concepire la realtà in senso non fisico-materialistico, ma semiologico, come parte di un sistema di segni coerenti prodotto dall’uomo e regolato da un principio – appunto il principio di realtà (da cui dipende anche quello freudiano), che ha come suo correlato l’immaginario ma che, proprio in quanto principio, può anche a un certo punto non funzionare più. Dunque, quando Baudrillard sostiene che la realtà è scomparsa, ciò non significa affatto che lo sia fisicamente, bensì solo semiologicamente: come metafisica del segno che ‘comanda’ e ‘consuma’ la realtà, la simulazione porta alla completa abolizione segnica del referente reale. Su questo punto teorico decisivo cfr. F. Piluso, Forma (e) segno in Jean Baudrillard. Deriva di una prospettiva semiotica, e E. Schirò Simulacri e immanenza. Speculare Baudrillard entrambi contenuti in Reinventare il reale. Jean Baudrillard (2007-2017), cit.
[24] J. Baudrillard, Parole Chiave, cit., p. 66.
[25] Il riferimento principale per spiegare questo “meccanismo” è Bellasi, che meglio di chiuque altro è stato in grado di illustrarne il ragionamento alla base.: «Dicevo dell’effetto di realtà conseguente alla disgiunzione-opposizione e […] ho indicato alcune opposizioni come positivo-negativo, realtà e immagine, materialità e riflesso, essere e nulla ecc. […] Per loro tramite pensiamo, ci securizziamo sulla realtà del mondo e di noi stessi come “altro” dal mondo (cioè capaci di conoscenza “scientifica” del mondo); ci fissiamo nell’assolutezza e nella positività dell’esserci … come soggetti provvisti di soggettività (cioè di spessore di essere). […] Tutte le disgiunzioni-opposizioni confluiscono a rafforzare […] la disgiunzione fondamentale, che è la soggettività-oggettività […]. L’effetto di realtà è quindi ovunque l’effetto strutturale della disgiunzione tra due termini e il nostro famoso effetto principio di realtà, con tutto ciò che implica di normativo e repressivo, è soltanto la generalizzazione di questo codice disgiuntivo a tutti i livelli». P. Bellasi, Dimenticare il 1968 ovvero giocare Baudrillard contro Baudrillard, in J. Baudrillard, Dimenticare Foucault, trad. it. di P. Bellasi, Cappelli, Bologna, 1977, pp. 18-19.
[26] Cfr. V. Cuomo, La violenza simbolica e l’illusione estrema, cit. pp. 140-142.
[27] J. Baudrillard, Parole Chiave, cit., p. 66.
[28] Cfr. J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, Raffaello Cortina, Milano, 2006, pp. 19-20.
[29] Cfr. P. Bellasi, Dimenticare il 1968 ovvero giocare Baudrillard contro Baudrillard, cit., pp. 47-48.
[30] J. Baudrillard, Parole Chiave, cit., p. 41.
[31] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., p. 14.
[32] Cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., pp. 86-87: «[…] non più in uno spazio critico, quello di una presenza rispettiva del soggetto e dell’oggetto […] in uno spazio paradossale, quello di una scomparsa rispettiva del soggetto e dell’oggetto. Un po’ come nelle scienze attuali, in cui la posizione del soggetto e quella dell’oggetto scompaiono simultaneamente, poiché l’unica realtà dell’oggetto è quella delle sue tracce su uno schermo di calcolo. Tale nuovo spazio scientifico è esso stesso uno spazio paradossale. Non c’è un universo reale dietro gli schermi che descrivono la traiettoria delle particelle […] ‒ che cos’è una scienza paradossale? Ma questo stadio paradossale è il nostro, ed è irreversibile».
[33] Cfr. J. Baudrillard, Le strategie fatali, trad. it di S. D’Alessandro, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 77-78; Id., L’altro visto da sè, cit., p. 16, ove Baudrillard parla della schizofrenia come il disagio peculiare del soggetto moderno: «estroversione forzata di ogni interiorità [o] introiezione forzata di ogni esteriorità». Immerso nel circuito delle informazioni, dei contatti, degli scambi, degli stimoli della Realtà integrale, per cui non riesce a porre un freno, un confine tra sé e tale promiscuità oscena, il soggetto viene così privato di un’identità e finisce anzi, inevitabilmente, per fare lo schermo assorbente di quest’ultima. In virtù cioè del collasso della distinzione tra la realtà interiore del soggetto e la realtà esterna, senza difesa di fronte a questa vicinanza e sovraesposizione di ogni cosa che incontra, egli si trova spaesato, demoltiplicato e scisso in un mondo in cui non riesce ad assumere posizione, decisione, responsabilità.
[34] Infatti «Ciò che ci lega al reale è un contratto di realtà, cioè una coscienza formale dei diritti e dei doveri che ci collegano ad esso. Ora, ciò che sogniamo profondamente è una complicità e un rapporto duale con le cose ‒ un patto, non un contratto. Si spiega così la tentazione di denunciare questo contratto. […] È un problema di sfida: la realtà va sfidata come qualsiasi fatto compiuto» (J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, cit., p. 37). Cfr. anche Id., Le strategie fatali, cit., p. 172.
[35] Cfr. J. Baudrillard, Della seduzione,a cura di P. Lalli, Cappelli, Bologna, 1980, p. 107: «Cosa seduce […] la rescissione dei segni, la rescissione del loro senso, la pura apparenza. Soprattutto non un desiderio di significato, ma la bellezza di un artificio».
[36] J. Baudrillard, Lo scambio impossibile, cit., p. 20.
[37] Alla “sterminazione” a partire dal vacuum lasciato dalla “morte di Dio” se ne è aggiunta una seconda, quella dell’uomo: «La morte di dio originaria di Nietzsche è stata aggravata da una seconda. Se la prima scomparsa […] ha lasciato un buco a forma di Dio, la seconda ha lasciato un buco a forma di Marx. È di questo secondo buco che Baudrillard, il Situazionista disilluso, si occupa. Tuttavia, in questa stessa preoccupazione, non può evitare il primo. […] I loro siti si sovrappongono; e attraverso il vuoto manifesto al loro centro trascendentale, la loro vacuità sovrapposta, che riverbera con il collasso della soggettività come tale, è la stessa, identica. Baudrillard, a dire il vero, non è solamente lo spettatore a seguito. Le sue prime opere (da Il sistema degli oggetti a Per una critica dell’economia politica del segno) consistono in una tripla decostruzione in cui egli pone contro loro stesse le cosiddette categorie scientifiche di Marx, Saussure e Mauss. Modelli profondi, ontologie del sociale, consolazioni illusorie, tutte crollano. Come aveva fatto Nietzsche stesso, quindi (anche se non in uno sforzo così isolato), Baudrillard presenta se stesso sia come partecipante attivo nella distruzione degli idoli contemporanei, sia come un erede eroico del caos che ne deriva» (A. Wernick, Post-Marx: Theological Themes in Baudrillard’s ‘America’, cit., p. 149, traduzione nostra).
[38] Cfr. J. Baudrillard, P. Petit, Paroxysm, cit., p. 71: «C’è una sorta di una reversione segreta, un mostrasi-attraverso dell’illusione del mondo tramite le stesse tecniche che usiamo per trasformarlo ‒ che in seguito assume una connotazione ironica. L’ironia della tecnologia […] potrebbe essere concepita come il velo di una duplicità che ci sfugge, una duplicità da cui noi stessi potremmo essere involontariamente agiti. La nostra stessa lingua, la nostra più primordiale ed essenziale tecnologia, è il luogo dove l’ambivalenza definitiva del mondo rimbalza su di noi. […] Questo è il segreto dell’illusione».
[39] Il concetto e l’azione della strategia fatale infatti, così come l’assunto nichilistico di Baudrillard, si oppone ma allo stesso tempo prende corpo a partire dallo statuto segnico della realtà e si materializza nella scrittura come simulazione virtuale. Cfr. J. Baudrillard, P. Petit, Paroxysm, cit., pp. 34-35: «Ciò che faccio […] non significa che è ‘nichilistico’ nel senso che implica che non ci sia più alcun valore, alcuna realtà, ma solo segni: le accuse di nichilismo e inganno ricadono sempre su questo punto. Ma se invece si assume il nichilismo nel senso forte, nel senso di un pensiero basato sul nulla, un pensiero che potrebbe avviarsi dall’assioma ‘perchè c’è il nulla piuttosto che l’essere?’ ‒ capovolgendo la questione filosofica fondamentale ‒ allora non mi spiace esser chiamato nichilista.”».
[40] Per un approfondimento del concetto di pensiero (o teoria) radicale, mi permetto di rimandare al mio saggio Pensare radicalmente il reale.La strategia del “pensiero radicale” in Jean Baudrillard tra (effetto)-realtà, simbolico e simulazione in Azioni Parallele,n. 3, categoria: Atti, contributi.
[41] Cfr. J. Baudrillard, Le strategie fatali, cit., p.172.
[42] J. Baudrillard, L’altro visto da sè, cit. pp. 73-74 (corsivi nostri).
[43] Cfr., ivi, p. 75: «La teoria stessa deve essere in anticipo sul suo stesso destino. Bisogna infatti prevedere per ogni pensiero degli strani domani. La teoria è comunque votata ad essere stravolta, deviata, manipolata. Meglio quindi che essa stessa si stravolga, che si stravolga da sola. Se aspira a degli effetti di verità, deve eclissarli col suo stesso movimento. La scrittura è fatta per questo. Se il pensiero non è in anticipo su questo stravolgimento con la sua stessa scrittura, sarà il mondo a farsene carico, con la volgarizzazione, lo spettacolo o la ripetizione. Se la verità non si nasconde da sola, sarà il mondo a farla sparire sotto le forme più diverse, con una sorta di ironia oggettiva, o di vendetta»
[44] Ivi, pp. 75-76.
[45] Infatti, precisa Baudrillard, la stupidità del postmoderno (come la mediocrità dell’arte contemporanea) non è figlia di un rovesciamento dialettico soggetto-oggetto, ma di un collasso per cui, semplicemente ogni sistema di senso raggiunge il suo punto di rottura ed implode da solo e «questo non accade attraverso l’azione di un qualche soggetto critico o forza storica di sovversione: succede in virtù dell’ultra-realizzazione e dell’inversione automatica, pura e semplice» (J. Baudrillard, L’illusione dell’immortalità, a cura di G. Biolghini, Armando Editore, Roma, 2007, p. 87, corsivi nostri).
[46] «Accelerare l’impulso degli espedienti di virtualizzazione a realizzare integralmente la realtà significa, per Baudrillard, confidare sulla «possibilità estrema di un’inversione ironica della tecnologia che farebbe virare la trivialità del virtuale verso la seduzione, l’alterità e l’illusione vitale» (E. De Conciliis, La clonazione come metastasi dell’umano, cit., p. 95).
[47] Cfr. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano, 1975, cap. I (Dei pregiudizi dei filosofi): i filosofi del forse sono i filosofi dell’avvenire: coloro che, all’insegna di una vertiginosa imprevedibilità, potranno far nascere qualcosa dal suo contrario».
[48] E. De Conciliis, Introduzione. L’Occidente allo specchio, in Id., (a cura di), Jean Baudrillard, o la dissimulazione del reale, cit., pp. 14-15.
[49] Cfr. J. L. Borges, Animali degli specchi, in Id., Manuale di zoologia fantastica, Torino 1998.
[50] «Non è più possibile partire dal reale e fabbricare l’irreale, l’immaginario a partire dai dati del reale. Il processo sarà piuttosto l’inverso: si tratterà […] di reinventare il reale come finzione, proprio perchè il reale è scomparso dalla nostra vita. Allucinazione del reale, del vissuto, del quotidiano, ma ricostituito, talvolta fin nei dettagli di un’inquietante estraneità, ricostituito come una riserva animale o vegetale, dato a vedere con una precisione trasparente, e tuttavia senza sostanza, derealizzato in anticipo, iperrealizzato» (J. Baudrillard, Simulacres et simulation, trad. it. di E. Schirò, Parigi, 1980, p.181, corsivo nostro).
[51] J. Baudrillard, Lo scambio impossibile, cit., p. 21.
[52] J. Baudrillard, P. Petit, Paroxysm: Interviews with Phillipe Petit, a cura di C. Turner, Verso, London, 1998, pp. 34-35.
[53] J. Baudrillard, Lo scambio impossibile, cit., pp. 19-20, corsivi nostri. I caratteri della realtà in quanto illusione fondamentale che emergono in questo passo sono l’incertezza e la discontinuità, ed è proprio in base a essi che è possibile cogliere la declinazione che il nichilismo assume in Baudrillard. Cfr. J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, cit., p. 138: «Una cosa è ricusare il mondo in nome di un immoralismo volgare, un’altra è farlo, come Nietzsche, per passare al di là del Bene e del Male. Essere “nichilisti” significa negare le cose al loro più alto grado di intensità, non nella versione più bassa. Ora l’evidenza e l’esistenza sono sempre state la forma più bassa. Se di nichilismo si tratta, non è quindi un nichilismo del valore ma un nichilismo della forma. Un nichilismo che dice il mondo nella sua radicalità, nella sua forma duale e reversibile […]».
[54] Il recupero e l’assimilazione da parte di Baudrillard delle intuizioni fondamentali della “Patafisica” appare con una certa chiarezza in questo capoverso conclusivo. Per un approfondimento sulla cosiddetta “scienza delle soluzioni immaginarie” si vedano le opere di o su Alfred Jarry (1873-1907), scrittore e drammaturgo francese, suo fondatore: A. Jarry, Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico, a cura di C. Rugafiori, Adelphi, Milano, 1984; A. Jarry, Ubu, a cura di C. Rugafiori, Adelphi, Milano, 1977; A. Jarry, Scritti ‘patafisici’. La macchina, il tempo e altri epifenomeni, a cura di E. Paul, Due punti edizioni, Palermo, 2009; V. Accame, Alfred Jarry, in “Il castoro”, 88, 1974, pp. 3-84; H. Behar, Jarry Dramaturge, Publications de la Sorbonne, Librairie A-G. Nizet, Paris, 1980; Introduzione di S. Solmi, in A. Jarry, Essere e vivere. Guignol, Ubu re, Scritti sul teatro, trad. it. di C. Rugafiori e H.J. Maxwell, Adelphi, Milano, 1969, pp. IX-XLI; B. Eruli, Jarry e i mostri dell’immagine, Pacini, Pisa, 1982; E. Baj, Patafisica. La scienza delle soluzioni immaginarie, Bompiani, Milano, 1982. Per Baudrillard, invece i principali riferimenti espliciti alla patafisica si ritrovano in: J. Baudrillard, Le strategie fatali, cit., pp. 17, 32, 34, 80, 94; Id., Lo scambio simbolico e la morte, cit., pp. 11-15; Id., L’illusione della fine o lo sciopero degli eventi, cit. pp. 9, 29, 31; Id., Il delitto perfetto, cit., pp. 52, 67, 75; Id., Lo scambio impossibile, cit., pp. 12, 43, 66-67, 91; Id., Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, cit., pp. 36, 72, 168-170; Id., Patafisica e arte del vedere, cit., pp. 37, 50-52, 104-119. Dell’influenza e degli esiti patafisici nell’opera baudrillardiana se ne sono occupati anche diversi studi anglosassoni tra cui: D. Teh, Baudrillard, Pataphysician, in «International Journal of Baudrillard Studies», III, 1, 2006 pp. 7-27; M. Gane, Baudrillard’s sense of humour, in J. Baudrillard, Fatal theories, a cura di D. B. Clarke, M. A. Doel, W. Merrin e R. Smith, Routledge, London, 2007, pp. 165-180; W. Merrin, Floral tributes, binge-drinking and the Ikea riot considered as an up-hill bicycle race, in J. Baudrillard, Fatal theories, cit., pp. 61-82; D. Kellner, Jean Baudrillard: From Marxism to Postmodernism and Beyond, Stranford University Press, Stanford, 1989, pp. 162-165.
[55] E. De Conciliis, Lo specchio dell’ironia, cit., pp. 13- 14.
[56] Ci riferiamo qui primariamente (ma non esclusivamente), ai volumi delle Cool Memories.
[57] R. Butler, Jean Baudrillard. The Defence of the Real, SAGE Publications, London, 1999, p. 9.