Lavori su un pianeta morto? I sindacati di fronte al cambiamento climatico

 

Di fronte all’emergenza ecologica, i sindacati si trovano divisi tra la necessità di ridurre la propria impronta di carbonio e la tutela dei posti di lavoro nei settori ad alto impatto ambientale. Questa articolazione di obiettivi potenzialmente contraddittori pone a queste organizzazioni una grande questione democratica, soprattutto in relazione al loro progetto iniziale di trasformazione globale dell’ordine socio-economico.

La partecipazione della Confederazione Generale del Lavoro (CGT) all’alleanza “Per la giustizia sociale e climatica”, culminata nell’iniziativa “Mai più”, ha provocato una virulenta contestazione della leadership della CGT. Al congresso confederale del marzo 2023, le federazioni industriali della CGT, come la federazione mineraria ed energetica e la federazione chimica, hanno criticato l’alleanza con le associazioni che sostengono l’abbandono del nucleare e la decarbonizzazione delle attività industriali.

Questo episodio è emblematico delle difficoltà incontrate dai sindacati in Francia, e anche a livello internazionale, nel trovare risposte alla crisi climatica. Alla conferenza sul clima di Dubai, le dichiarazioni della Confederazione Internazionale dei Sindacati, che coordina la partecipazione dei sindacati agli incontri sul clima, si sono concentrate sulla necessità di tenere conto degli interessi dei lavoratori nell’attuazione delle politiche climatiche. Sulla questione cruciale dell’abbandono dei combustibili fossili, questa confederazione internazionale, che spesso invoca lo slogan “Nessun lavoro su un pianeta morto”, ha adottato una posizione cauta, chiedendo “un allontanamento dai combustibili fossili offrendo al contempo garanzie occupazionali”.

Per i sindacati, l’azione per il clima è un problema. Da un lato, i sindacati sono consapevoli delle aspettative sociali di una rapida decarbonizzazione. Hanno preso la misura della forza delle mobilitazioni delle giovani generazioni durante il ciclo avviato dallo “sciopero scolastico” di Greta Thunberg per il clima. Anche le strutture sindacali locali, le Unions départementales et locales, stanno stringendo alleanze con i movimenti ambientalisti sul tema dell’inquinamento industriale. Sindacati come la Confédération française démocratique du travail (CFDT) e la Fédération syndicale unitaire hanno stretto legami con ONG ambientali e sociali intorno alla richiesta di una transizione ecologica. D’altro canto, le strutture sindacali aziendali o settoriali si oppongono alle politiche climatiche, adducendo timori per i posti di lavoro. Queste posizioni diverse sono legate al fatto che le sfide della decarbonizzazione variano a seconda del territorio e del settore di attività e sono quindi affrontate in modo diverso dai sindacati.

Ragioni strutturali ostacolano un impegno sindacale coerente per una decarbonizzazione rapida e di ampia portata. I sindacati hanno spesso sede prevalentemente nei settori economici a maggiore intensità di carbonio, come la metallurgia, la chimica e la produzione di energia. Poiché le aziende di questi settori sono spesso vecchie e con grandi concentrazioni di dipendenti, è più probabile che abbiano una presenza sindacale e accordi aziendali relativamente favorevoli ai lavoratori. D’altro canto, molte aziende dell’economia “verde” non hanno (ancora) una presenza sindacale significativa. Il produttore di auto elettriche Tesla, ad esempio, si oppone a qualsiasi presenza sindacale nelle sue aziende. Il gruppo americano si rifiuta anche di negoziare accordi aziendali o di rispettare i contratti collettivi esistenti, come avviene attualmente nel suo impianto di produzione in Germania e nei suoi centri di riparazione in Svezia.

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La decarbonizzazione sta anche dando origine a divisioni e conflitti di interesse all’interno della forza lavoro. Verranno creati nuovi posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili e della ristrutturazione termica. Allo stesso tempo, l’attuazione della decarbonizzazione comporterà la scomparsa dei posti di lavoro esistenti nel settore dei combustibili fossili e la trasformazione di molti posti di lavoro nell’industria automobilistica, aerea e siderurgica. Ciò espone i lavoratori interessati al rischio di una maggiore precarietà delle loro condizioni occupazionali, in un momento in cui i percorsi di carriera in molti settori sono già segnati dalle incertezze associate alla logica della ristrutturazione aziendale in corso. La situazione varia anche in base alla struttura del tessuto economico locale. Le sfide della transizione ecologica non sono le stesse nelle aree monoindustriali prive di alternative occupazionali e in quelle che offrono una maggiore varietà di posti di lavoro.

Queste tensioni portano spesso i sindacati ad adottare posizioni ambigue di fronte a politiche climatiche concrete. Questi atteggiamenti ambigui vedono i sindacati d’accordo con il principio della decarbonizzazione, ma che cercano di minimizzare le normative sul clima, che sostengono approcci graduali e che sono riluttanti a impegnarsi in strategie per anticipare le transizioni professionali.

Abbiamo visto queste posizioni ambigue quando i sindacati siderurgici europei si sono ampiamente allineati alle posizioni dei datori di lavoro durante la revisione del sistema europeo di scambio delle quote di emissione nel 2018. La richiesta principale dei sindacati siderurgici è stata quella di assegnare alle aziende un maggior numero di quote di emissioni gratuite per contrastare i rischi di perdita di competitività con i produttori al di fuori dell’UE, evitando così la perdita di posti di lavoro. Questa attività di lobby congiunta tra sindacati e imprenditori è particolarmente efficace perché consente di esercitare un’influenza sia a sinistra che a destra dello spettro politico.

Le difficoltà incontrate dai sindacati nel rispondere alla sfida ecologica riflettono il cambiamento del ruolo del sindacalismo nella società. Il documento fondante del sindacalismo francese, la Carta di Amiens del 1906, ha stabilito la necessità di un “duplice compito: la vita quotidiana e il futuro”. Si tratta di difendere le condizioni di lavoro e di retribuzione dei lavoratori, ma anche di puntare a una più ampia trasformazione dell’ordine socio-economico, in vista di una “completa emancipazione”, secondo le parole della Carta di Amiens.

Dopo decenni di de-sindacalizzazione, scissione dei collettivi di lavoro e politiche neoliberiste, il sindacalismo francese sta ora lottando per dare vita a questo duplice approccio. Le politiche pubbliche perseguite negli ultimi anni in Francia, ma anche in altri Paesi europei, hanno teso a limitare l’ambito legittimo dell’azione sindacale al luogo di lavoro e alle questioni strettamente professionali. Questa rifocalizzazione sulla sfera delle relazioni industriali ha portato a una depoliticizzazione dell’azione sindacale, intesa non solo come allontanamento da un universo politico percepito come screditato e distante dalle classi lavoratrici, ma anche come allontanamento da strategie di trasformazione sociale che prevedono alleanze che vanno oltre il campo sindacale.

〈L’ elaborazione di una strategia ecologica potrebbe ri-politicizzare i sindacati〉

I sindacati potrebbero arrivare a vedere la rappresentanza sociale come un semplice riflesso degli atteggiamenti dei loro membri, piuttosto che come un mandato politico derivante dal confronto dei punti di vista e dalla costruzione di una sintesi delle richieste che vada oltre i punti di vista particolari. Durante la crisi della Covid-19, ad esempio, i sindacati hanno fatto eco alla retorica anti-vaccini di alcuni dei loro iscritti, arrivando in alcuni casi a partecipare a manifestazioni contro il passaggio sanitario. Sul tema del cambiamento climatico, gli stessi meccanismi possono portare i sindacati ad allinearsi alle posizioni dei lavoratori delle industrie a maggiore intensità di carbonio, senza cercare di costruire richieste più ampie che vadano oltre gli interessi categoriali.

Mentre la contrattazione collettiva riguarda generalmente solo i lavoratori e le imprese direttamente interessate, il cambiamento climatico ha profonde implicazioni per la società nel suo complesso e per le generazioni future. Prendere posizione sul cambiamento climatico e sulla decarbonizzazione richiede quindi che i sindacati articolino non solo gli imperativi sociali ed ecologici, ma anche gli obiettivi a breve e lungo termine, le priorità settoriali e gli obiettivi generali.

Questa articolazione di obiettivi potenzialmente contraddittori solleva la questione della democrazia sindacale. L’inerzia organizzativa e i meccanismi decisionali burocratici possono favorire i gruppi di iscritti consolidati, dando loro un peso sproporzionato nei dibattiti sindacali. L’influenza storica della federazione miniere-energia della CGT sul dibattito energetico all’interno della CGT, ma anche al di fuori della sinistra francese, illustra questa tendenza. Una politica di sindacalizzazione proattiva rivolta ai settori emergenti dell’economia “verde”, al fine di migliorarne le condizioni di lavoro, avrebbe anche l’effetto di modificare i termini del dibattito all’interno delle confederazioni sindacali.

Anche il decentramento della contrattazione collettiva, che vede il livello aziendale acquisire maggiore importanza come livello di regolamentazione rispetto al livello territoriale e nazionale, contribuisce a rafforzare le logiche centrifughe del sindacalismo. Il livello confederale e le federazioni hanno un ruolo minore nei dibattiti sindacali, mentre tradizionalmente avevano un ruolo di coordinamento dell’azione industriale e di inquadramento del corporativismo aziendale e di settore.

La sfida di una decarbonizzazione socialmente equa non può essere risolta all’interno delle aziende. Richiede politiche pubbliche proattive in un’ampia gamma di settori, tra cui la politica industriale, il commercio internazionale (intorno al “protezionismo verde”), l’organizzazione della mobilità, la pianificazione regionale, la formazione professionale e i sistemi di sicurezza sociale. In breve, la transizione verso un’economia e una società a basse emissioni di carbonio solleva questioni sul ruolo dello Stato e sul rapporto dei sindacati con lo Stato e la politica.

Le recenti riconfigurazioni politiche e la disintegrazione dei partiti socialista e comunista hanno privato il sindacalismo dei suoi tradizionali collegamenti politici. La crescente influenza dell’estrema destra, che cerca di sfruttare le divisioni create dal dibattito sul clima in Francia, ma anche nei Paesi Bassi e in Finlandia, e forse presto anche in Germania, pone sfide inedite al movimento sindacale. Sfruttando la divisione tra aree urbane e aree suburbane/rurali per contestare le politiche climatiche, c’è il rischio che il discorso dell’estrema destra trovi eco anche all’interno dei ranghi sindacali.

Di fronte a un’arena politica in gran parte chiusa alle priorità sindacali, l’ecologia rappresenta una potenziale area di convergenza tra le organizzazioni sindacali. Lo sviluppo di una strategia ecologica e sociale, che superi i punti di vista settoriali e colleghi la conservazione dei posti di lavoro alla tutela dell’ambiente, potrebbe essere un modo per ripoliticizzare l’azione sindacale, intesa come rilancio di una capacità di sviluppo programmatico che vada oltre i temi trattati dal dialogo sociale a livello aziendale. Il coinvolgimento in alleanze con organizzazioni ambientali o sociali può fornire ai sindacati risorse esperte, sull’esempio del “Patto sociale ed ecologico” avviato dalla CFDT e dalla Fondation pour la Nature et l’Homme nel 2019.

Se finora l’occupazione è stata la principale lente d’ingrandimento con cui i sindacati hanno affrontato la questione del clima, essi dovranno anche sviluppare risposte agli effetti del cambiamento climatico sul lavoro. L’aumento delle temperature medie e gli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, inondazioni, carenza d’acqua, incendi) stanno già avendo un impatto sulle condizioni di lavoro in molte professioni, in particolare quelle che lavorano all’aperto. I lavoratori dell’edilizia e dell’agricoltura, ad esempio, sono esposti al pericolo del calore corporeo accumulato e dell’esposizione ai raggi ultravioletti. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro prevede che entro il 2030 il 2,2% delle ore lavorative sarà perso a causa dello stress da calore sul lavoro.

I datori di lavoro hanno l’obbligo legale di garantire i diritti dei lavoratori alla salute e al benessere sul luogo di lavoro, mentre i rappresentanti dei lavoratori e i sindacati possono incoraggiare i datori di lavoro a ridurre i rischi e informare i lavoratori sui loro diritti. In Francia, i rappresentanti dei lavoratori mantengono importanti prerogative nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro, nonostante l’abolizione dei comitati per la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro con le ordinanze sul lavoro del settembre 2017.

Le valutazioni dei rischi professionali possono essere uno strumento essenziale se vengono effettuate regolarmente e coprono un’ampia gamma di potenziali rischi fisici e mentali. I nuovi o maggiori rischi professionali legati al cambiamento climatico possono essere affrontati attraverso accordi aziendali o contratti collettivi. Si può limitare il tempo trascorso in attività ad alta intensità, introdurre periodi di riposo più lunghi, modificare gli orari di lavoro o adattare le attrezzature di lavoro.

Per il momento, i sindacati, ma anche i datori di lavoro, sembrano essere lenti a includere le questioni relative ai cambiamenti climatici nelle loro politiche di salute e sicurezza sul lavoro e di valutazione dei rischi professionali, forse perché continuano a considerare i fenomeni climatici estremi come eccezionali e quindi localizzati al di fuori dell’ambito delle politiche di salute e sicurezza sul lavoro.

La crisi climatica potrebbe quindi diventare una piattaforma per la ripoliticizzazione dei sindacati sulla necessità di una transizione ecologica e sociale, ma anche per una necessaria ri-mobilitazione sulle questioni di salute e sicurezza sul lavoro.

Fonte: AOCMedia

Autore

Adrien Thomas è uno scienziato politico e ricercatore presso l’Istituto lussemburghese di ricerca socioeconomica (LISER). È autore di numerose pubblicazioni sui rapporti professionali e sugli sviluppi del sindacalismo in prospettiva comparata. Recentemente ha contribuito al volume collettivo Le syndicalisme est politique, curato da Karel Yon e pubblicato da La Dispute.