Nichilismo, Femminismo e matematica

 

Nei giorni di Domenica, 28 di Gennaio, 4 di Febbraio, 11 di Febbraio e il giorno 18 dello stesso mese abbiamo pubblicato in quattro parti il capolavoro della letteratura russa: Sof’ja Kovalevskaja, Una ragazza nichilista. Traduzione ed edizione italiana a cura di Alessandro Sfrecola. Oggi pubblichiamo la stupenda Introduzione di Michel Niquex. Chi desidera acquistare l’edizione su carta la trova presso Asterios, tutte le Librerie, in Amazon e IBS/Feltrinelli.

Clicca nel link sottostante per leggere — andando in retro — tutto il romanzo.

Una ragazza nichilista 4

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Non v’è felicità senza imprese(1)

 

“Che fare?”. L’eterna “questione russa” (accanto a “Di chi la colpa?) è qui esposta in termini personali e pressoché kantiani: “Che posso fare?” per dare un fine alla mia vita, per “essere utile alla causa” (quella della libertà e della giustizia). Nel 1874 un tale dilemma esistenziale lo pone, di punto in bianco, una giovane aristocratica russa alla narratrice di questo breve romanzo — alter ego di Sof’ja Kovalevskaja, celebre matematica e femminista (1850-1891).

Una ragazza nichilista è un romanzo di formazione, la storia della maturazione politica e sentimentale della figlia di un rinomato nobile di campagna, educata sotto una campana di vetro nell’attesa di diventare prima una signorina modello e poi una brillante donna di mondo. Le lingue dei contadini che cominciano a sciogliersi dopo il proclama dell’atto di affrancamento del febbraio 1861, la lettura della vita dei martiri cristiani, gli incontri, infine, con un professore di San Pietroburgo confinato nella sua proprietà in virtù delle sue idee liberali aprono gli occhi all’eroina, Vera Baranzova, sulla realtà del suo paese e fanno nascere in lei il “desiderio ardente di essere utile alla causa”. Dopo essersi innamorata del suo mentore, portatole via dalla morte, Vera “sale” a San Pietroburgo nella speranza di unirsi al “grande esercito clandestino” di coloro che si dedicavano alla “distruzione del dispotismo e della tirannia”. Inutilmente, però, almeno finché non comincerà un grande processo di “rivoluzionari”(2). Vera assiste alle udienze, si lega alle famiglie dei detenuti e, alla fine, trova il modo di soddisfare il suo desiderio di autosacrificio escogitando il sistema (che qui non sveliamo, ma che corrisponde alla realtà giuridica dell’epoca) di mitigare la sorte di un giovane “criminale politico” ebreo condannato a vent’anni di reclusione in una fortezza, vale a dire a morte. In seguito a un episodio molto buffo, Vera ottiene l’autorizzazione a seguire il condannato in Siberia, ripercorrendo così i passi degli ufficiali decabristi del 1825, che le loro mogli aristocratiche accompagnarono coraggiosamente negli stessi luoghi.

Martire dei tempi moderni, Vera compie l’“impresa” (podvig, nel senso religioso di prova o evoluzione spirituale) alla quale aspirava. La dimensione religiosa del movimento rivoluzionario russo, anche quando si considera ateo, è stata spesso messa in rilievo, e appare qui evidente nell’amore del prossimo, nel sogno di un regno di Dio creato in Terra e posto sotto l’egida della giustizia e della fratellanza, dello spirito di sacrificio e dell’ascetismo personale(3). Vera Figner, membro dell’organizzazione terrorista La Volontà del popolo, scrive nelle sue memorie: “I concetti e i sentimenti cristiani, l’idea della santità dell’ascetismo e del sacrificio, tutto ciò mi conduceva verso la nuova dottrina […]. Era questa l’autentica missione apostolica del nostro tempo”(4).

Vera vuol dire “fede”. Vera Figner (1852-1942), Vera Zasulic (1849-1919), un’altra rivoluzionaria, Vera Pavlovna, l’eroina del romanzo di Cerniševskij Che fare?, modello dell’emancipazione femminile, portano questo nome. E la Vera del nostro racconto possiede un prototipo reale, Vera Goncarova, nipote della moglie di Puškin, che aveva interceduto allo stesso modo in favore di un accusato del “processo dei 193”.

Ma in cosa quest’eroina, che appare quasi una santa, è una “nichilista”? È stato Turgenev, con il suo romanzo Padri e figli, ad aver reso popolare in Russia il termine “nichilista”. Bazarov, uno studente in medicina, è chiamato da un suo avversario “nichilista” perché è “un uomo che non si inchina di fronte ad alcuna autorità e che non fa di alcun principio un articolo di fede, indifferentemente dal rispetto di cui questo principio è aureolato” (cap. v). Quest’aggettivo, a cui si guardava con sdegno, sarà ripreso come un emblema dagli emuli o dagli ammiratori di Bazarov, in particolare dal critico radicale Pisarev(5). Nella prima metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, il nichilismo indica in Russia, più che un’ideologia, un’attitudine che noi ora definiremmo come contestatrice: rifiuto dell’autorità della famiglia, della Chiesa, dello Stato, materialismo, positivismo, la concessione della priorità agli studi scientifici (medicina, biologia), la sconfessione del romanticismo e dell’idealismo degli anni Quaranta e, anche, del sentimento amoroso, un codice di abbigliamento distintivo (capelli corti, occhiali blu e cappello alla Garibaldi per le ragazze, capelli lunghi e stivali per i giovanotti: il nichilismo attrae infatti soprattutto gli studenti, in maggioranza di origine nobile, fra i 18 e i 25 anni). Il femminismo nascente si esprime attraverso la rivendicazione dell’uguaglianza fra i sessi e l’accesso delle donne agli studi superiori. Si tratta di una rivolta a carattere individualistico contro il dispotismo morale. Il principe Kropotkin, divenuto il padre del socialismo anarchico, ha dato una definizione precisa di ciò che era questo nichilismo, che non aveva nulla da spartire con il nichilismo filosofico di Schopenhauer o Nietzsche né con il nichilismo contemporaneo, negazione del senso e del soggetto:

 

“Prima di tutto il nichilista dichiarò guerra a fondo contro tutte le “menzogne convenzionali della civiltà. La sincerità assoluta era la sua più notevole caratteristica. […] Rifiutava di piegarsi di fronte a qualsiasi autorità che non fosse la ragione. […] Abbandonò naturalmente le superstizioni dei padri e nella sua concezione filosofica era positivista, agnostico, evoluzionista spenceriano(6) o materialista scientifico. […] L’arte era compresa nella stessa negazione universale. Le chiacchere senza fine sulla bellezza, l’ideale, l’arte per l’arte, l’estetica e simili […] lo disgustavano. […] Il matrimonio senza amore e la familiarità senza amicizia erano ripudiati. [Il nichilista] desiderava trovare nella donna una compagna, con una propria personalità – non una bambola o una “ragazza di mussola” – e rifiutava assolutamente di compiere quelle piccole smancerie che gli uomini tributano a quelle che tanto si compiacciono di considerare il ‘sesso debole’”.(7)

 

Gli “uomini nuovi” (uomini e donne) del celebre romanzo utopistico di Cerniševskij Che fare? sono i modelli dei nichilisti degli anni Sessanta, che ebbero poi una considerevole influenza sull’emancipazione della gioventù russa. La nichilista della Kovalevskaja si pone accanto ai ritratti delle donne “nichiliste” create da Turgenev, Cerniševskij, Stepnjak Kravcinskij(8), Ethel Voynich(9), Vasilij Sleptzov e altri. Al contrario, numerosi romanzi “antinichilisti”(10) presenteranno descrizioni più o meno caricaturali dei nichilisti stessi, del loro terrorismo intellettuale e, soprattutto, delle loro comuni (normalmente appartamenti in coaffittanza).

Dopo il periodo della contestazione individuale e dell’emancipazione personale, i nichilisti, all’inizio degli anni Settanta, si rivolgono al “popolo”, vale a dire, essenzialmente, ai contadini: è l’epoca dei “propagandisti”, dell’“andata al popolo” ricordato da Sof’ja Kovalevskaja nel nono capitolo del suo romanzo. Come scrisse Stepnjak Kravcinskij, “il tipo del propagandista del primo lustro dell’ultimo decennio era piuttosto religioso che rivoluzionario. La sua fede era il Socialismo. Il suo Dio – il Popolo. […] Andava al martirio colla serenità d’un cristiano dei primi secoli”(11). La crisi di questa campagna “populista” condusse a una scissione nel movimento e alla formazione, nel 1879, di un’ala radicale (La Volontà del popolo) che sceglie di ricorrere al terrorismo politico. Il 1° marzo del 1881 viene assassinato Alessandro ii, lo “zar liberatore”, diventato reazionario proprio per paura dei terroristi. Da allora, in Russia il terrorismo non conoscerà più tregua sino alla rivoluzione del 1917(12). Sono questi i terroristi che in Occidente verranno definiti nichilisti: numerosi articoli, saggi e romanzi mettono in scena il “partito”, ovvero la “setta nichilista” russa: Le roman d’une nihiliste di Ernest Lavigne (1879), Vera o i nichilisti, la prima opera di Oscar Wilde (1880), La Russie rouge di V. Tissot (1880), Tartarin sur les Alps di Alphonse Daudet (1885), Le Nimbe noir di Joseph Peladan (1907) ecc.(13)

Presentando una nichilista che non ha nulla di una virago, di una pétroleuse(14) o di una “dinamitarda”, di una lanciatrice di bombe, sebbene il suo massimalismo avrebbe potuto metterla su quella strada, Sof’ja Kovalevskaja demitizza il termine e rifiuta l’equazione nichilista = terrorista. Mostra così ai suoi contemporanei radicali l’esistenza di altre vie non violente: “Lei non comprendeva” dice la narratrice a proposito di Vera “che si poteva essere utili anche utilizzando mezzi molto più semplici”. La distanza ironica che la narratrice interpone tra se stessa e la sua eroina che aspira al martirio indica con precisione il rifiuto dell’autrice verso ogni forma di estremismo.

Una vera nichilista (nel senso di una contestatrice degli anni Sessanta), e non una nichilista-terrorista, questo è ciò che fu Sof’ja Kovalevskaja: “Sono russa, e in quanto russa in odore di nichilismo (cosa che all’occorrenza non è distante dalla realtà)”, scriveva al leader socialdemocratico tedesco Vollmar. Ma come questa giovane ragazza di buona famiglia, che aveva vissuto sino ai diciotto anni agli estremi confini della provincia di Vitebsk, nella proprietà paterna di Palibino, aveva potuto venire “contaminata” dal nichilismo? Suo padre, il luogotenente generale V.V. Korvin-Krukovskij, era un nobile lituano russificato, discendente, a suo dire, dal re di Ungheria Mattia Corvino (xv secolo). Era stato comandante dell’arsenale di Mosca. Suo nonno materno era stato un matematico, mentre il bisnonno (F.I Schubert), giunto dalla Germania nel xviii secolo, un celebre astronomo. La formazione di Sof’ja Kovalevskaja ci è nota dalle sue Memorie d’infanzia(15), notevole romanzo su un’educazione che assomiglia a quella della nostra “nichilista”, oltre che prezioso ricordo del modo di vivere e dei principi pedagogici della nobiltà patriarcale russa.

L’influenza maggiore sulla formazione di Sof’ja fu quella di sua sorella Anna (1843-1887). Questa grande lettrice di romanzi cavallereschi inglesi, allo stesso tempo affascinata dall’Imitazione di Cristo, era stata iniziata nel 1863 alle idee progressiste e materialiste dai figli del prete del villaggio: finito il seminario e partita per studiare scienze naturali a San Pietroburgo, ne ritorna raccontando che l’uomo discende dalla scimmia e che l’anima non esiste. Suo padre asperse invano d’acqua santa questa tipica nichilista(16). La rivista di Nekrasov, Il contemporaneo, bastione della critica e della letteratura democratica, giunge grazie a lei a Palibino, assieme a un esemplare di La campana di Herzen, pubblicata a Londra e vietata in Russia. Anna abbandona i piaceri mondani, si veste sobriamente, insegna a leggere ai figli della servitù, trascorre il tempo in compagnia dei contadini. Le nuove idee arrivano anche tramite l’intermediazione di uno zio, adorato da Sof’ia, aperto al progresso tecnico e sociale, che divora la Revue des Deux Mondes e gli altri giornali che gli giungono settimanalmente. Gli echi dell’insurrezione polacca del 1863 si spingono perfino a Palibino, con Sof’ja che sogna di prendervi parte.

Nel 1864 Anna rivela alla sorella di aver fatto pervenire in segreto a Dostoevskij due racconti, che vengono pubblicati sotto pseudonimo nella rivista dello scrittore Epoca. I racconti riflettono quella ricerca della vita propria della generazione degli anni Sessanta, con eroi che muoiono senza aver potuto realizzare i loro ideali altruisti. Due settimane più tardi, Dostoevskij spedisce ad Anna il compenso per i lavori, scusandosi del ritardo e giustificandosi per alcuni tagli che aveva dovuto apportare (“il limare è la miglior arte dello scrittore). La lettera è però intercettata dal generale Korvin. Ne nasce un grande scandalo: “Oggi vendi la tua prosa. Ma verrà il tempo in cui venderai te stessa!”. La lettura del racconto, tuttavia, commuove il generale, e quando, nella primavera del 1865, Anna e Sof’ja, accompagnate dalla madre, soggiornano a San Pietroburgo, Dostoevskij viene invitato. Vedovo da poco, lo scrittore comincia a fare la corte ad Anna, che sembra ricordargli (“ma sotto aspetti più signorili”, scrive Joseph Frank, il biografo di Dostoevskij)(17) la sua amante nichilista e femminista degli anni 1862-63, Apollinarija Suslova. Sof’ja, che non lascia sua sorella, è segretamente innamorata dello scrittore e ne soffre. Presto Dostoevskij dichiarerà il proprio amore ad Anna. Lusingata ma lucida, lei lo respinge e confessa alla sorella di non “assomigliare per nulla alla donna di cui lui avrebbe bisogno”. La sua sposa deve consacrarsigli completamente, donargli l’intera sua esistenza, pensare solamente a lui”. Dostoevskij, che incontrerà l’anima gemella l’anno dopo, si manterrà sempre in buone relazioni, personali ed epistolari, con le due sorelle Korvin-Krukovskij.

Con le loro idee avanzate, Anna e Sof’ja non hanno alcuna voglia di restare a Palibino ad aspettare che gli venga presentato un principe azzurro. Per sfuggire al controllo della famiglia le due nichiliste ideano una soluzione: il “matrimonio fittizio” o, piuttosto, poiché queste unioni venivano celebrate proprio in chiesa, il matrimonio bianco. Lo scopo era “liberare” la ragazza dalla tutela famigliare, lasciandola poi (in linea di principio) libera di vivere a modo suo; spesso la castità era vissuta come un ideale tra “fratelli” e “sorelle”, persino l’amore veniva dopo, e talvolta si originavano degli amichevoli triangoli. Si tratta della condotta che aveva fornito come esempio il romanzo di Černiševskij Che fare?, che s’ispirava alla realtà e sarà a sua volta imitato, poiché in Russia, spesso, la finzione faceva da modello alla realtà(18). Nel 1872, infatti, il giovane populista Sinegub va a chiedere in sposa la figlia di un pope di campagna che non ha mai visto in vita sua, ma che i suoi compagni hanno incaricato di liberare. Il racconto che fa della sua impresa (podvig) è avvincente. Per un lungo periodo i due giovani sposi non osano confessare il loro amore, tanto grande è il loro riguardo di violare il contratto iniziale… Condannato a nove anni di carcere nel “processo dei 193”, Sinegub sarà seguito da sua moglie in Siberia. Le giovani rampolle della nobiltà ottenevano, con il matrimonio fittizio, un passaporto e partivano per la Germania o la Svizzera per intraprendere quegli studi scientifici o medici ai quali non avevano accesso in Russia. Queste erano le “nichiliste” degli anni Sessanta.

E questa è la via che deciderà di seguire Anna. Nel 1868 andò a fare una richiesta in tal senso, assieme a Sof’ja e a un’amica, a un giovane professore universitario, che, seppur non particolarmente colpito, rifiuta il piano. Esse indirizzeranno allora i loro sforzi verso Vladimir Onufrievič Kovalevskij (1843-1883). Figlio di un piccolo proprietario terriero polacco (maritato a una russa) della provincia di Vitebsk, Vladimir (Waldemar), dopo aver studiato diritto, aveva partecipato all’insurrezione polacca del 1863 e alla campagna di Garibaldi del 1866. Era stato precettore del figlio di Herzen a Londra; aveva tradotto e redatto le opere di base del nichilismo: Darwin (che lo chiamava “il mio miglior amico russo” – ma anche Sof’ja si occuperà delle sue traduzioni), C. Lyell, A. Brehm, K. Vogt, J. Moleschott, J.-S Mill, Platone, ecc. Accetta così la proposta… ma chiede di scegliere Sof’ja, di cui aveva notato il vivo amore per la scienza. Il padre non può che piegarsi all’indomabile volontà della figlia e il matrimonio viene celebrato a Palibino nel settembre del 1868. Kovalevskij introduce Sof’ja nell’ambiente “nichilista” di San Pietroburgo, dove lei, in particolare, fa la conoscenza di Nadejda Suslova (1843-1918), la prima donna russa a essere diventata medico (laureata all’università di Zurigo), sorella dell’amante di Dostoevskij e anch’essa autrice di qualche racconto “nichilista”(19).

Nel maggio del 1869 Sof’ja parte per la Germania, accompagnata dalla sorella Anna, dal “fratello” del marito e munita di 20 mila rubli affidatigli dal padre. Vladimir deve andare a studiare paleontologia in diverse università (Vienna, Jena), mentre Sof’ja si dedica alla matematica, prima a Heidelberg e poi a Berlino. Il suo interesse per questa scienza era stato destato fin dall’infanzia da alcuni corsi litografati di calcolo integrale e differenziale che tappezzavano, in mancanza di meglio, i muri della sua camera: “Mi ricordo di me bambina, mentre rimanevo ferma per ore e ore davanti a questo muro misterioso per afferrare almeno qualche passaggio isolato o trovare la sequenza del numero delle pagine. Grazie a questa contemplazione lunga e prolungata, l’aspetto esteriore di molte di queste formule s’impresse nella mia memoria; e proprio il modo in cui erano scritte lasciò una profonda traccia nel mio intelletto, sebbene fossero per me incomprensibili alla lettura”(20).

A Berlino, nel corso di quattro anni, il matematico Karl Weierstrass (1815-1897), il miglior analista della sua epoca, tiene a Sof’ja lezioni private (l’università di Berlino non accettava donne fra i suoi allievi) e l’accoglie nella sua famiglia come fosse una figlia(21). Indifferente alle faccende della vita quotidiana, al buon cibo come all’abbigliamento, priva di senso pratico, Sof’ja non vive che per la matematica, allo stesso tempo cercando e respingendo l’affetto di suo marito. Nel 1874 l’università di Göttingen le attribuisce in absentia, alla luce di tre dissertazioni (per gli uomini ne bastava una soltanto), il titolo di dottore summa cum laude, assieme alle congratulazioni della commissione(22): Sof’ja diviene così la prima donna laureata in matematica.

Nel frattempo aveva fatto una scappata in Francia, attirata dalla Comune, dove sembrava dovessero realizzarsi i suoi ideali e in cui sua sorella avrà un ruolo di primo piano. Anna, all’insaputa della famiglia, aveva infatti lasciato Sof’ja in gran fretta per raggiungere Parigi. Qui aveva conosciuto la femminista Andrée Leo (saranno entrambe fondatrici del giornale La Sociale all’epoca della Comune). Anna si era anche molto legata a Victor Jaclard (1840-1903), professore di matematica, dottore in medicina, militante blanquista, massone, membro dell’Internazionale(23). Nel 1870 l’aveva seguito a Ginevra, dove egli aveva dovuto rifugiarsi. Qui Anna vi ritrovò la maggioranza dei rivoluzionari russi in esilio, tra cui Elisabeth Dmitriev, loro vicina di casa a San Pietroburgo (nata nel 1851), che aveva messo ogni sua fortuna al servizio della Causa. Entrambe sono fra la decina di fondatori della sezione russa della Prima Internazionale ed entrano in contatto con Marx a Londra.

Nel 1871 la Parigi insorta diviene il luogo d’incontro di tutti questi giovani russi aristocratici e rivoluzionari. Elisabeth Dmitriev è la fondatrice e una delle principali dirigenti dell’Unione delle donne per la difesa di Parigi e l’assistenza ai feriti(24). Con sciarpa rossa, cappello nero e cinturone con pistole, Elisabeth è l’egeria della Comune. Anna, il cui “matrimonio repubblicano” con Jaclard è stato celebrato da Benoît Malon il 27 marzo, lavora al Comitato di vigilanza dei cittadini di Montmartre, che si occupa dei problemi dell’educazione. Secondo Louise Michel, Anna si comporta da “eroina”. Sof’ja e suo marito, dopo esser riusciti a eludere le linee prussiane, passeranno nella Comune 38 giorni, dal 5 aprile al 12 maggio (la Comune era stata proclamata il 28 marzo, mentre il 2 aprile le truppe versagliesi avevano sferrato l’attacco che doveva durare sino al 28 maggio). Sof’ja, riporta il suo amico Leffler, “avrebbe voluto raccontare di una notte trascorsa in un’ambulanza, dove lei e sua sorella operavano al servizio dei feriti al fianco di altre ragazze conosciute un tempo a Pietroburgo e là ritrovate. […] Le bombe cadevano attorno a loro senza minimamente spaventarle; al contrario, il suo cuore palpitava di gioia all’idea di vivere nel pieno del dramma, al centro della storia”.

Ritornati a Berlino, Sof’ja e suo marito apprendono dell’arresto di Jaclard. Eccoli nuovamente a Parigi, dove si recano pure i genitori di Sof’ja. Il generale Krukovskij sarebbe così intervenuto presso Thiers. Jaclard riesce però a fuggire il 1° ottobre dal carcere provvisorio di Chantiers e passa in Svizzera con il passaporto di suo cognato. È condannato in contumacia, come del resto Anna, ai lavori forzati a vita (l’amnistia arriverà nel 1879). Dopo tre anni trascorsi a Zurigo a spese del padre di Anna (che gli forniva mille rubli all’anno), entrambi, assieme ai loro bambini, ritornano nel 1874 in Russia. Jaclard insegna francese e pubblica una crestomazia francese a uso delle scuole. Nel 1887, dopo l’attentato del 1° marzo contro Alessandro iii, viene dichiarato persona non grata in Russia. Anna, malata, l’accompagna a Parigi, dove morirà in seguito ai postumi di un’operazione. Jaclard diventerà segretario di redazione del giornale diretto da Clemenceau, La Justice. Elisabeth Dmitriev seguirà un marito truffatore in Siberia…

Quanto a Sof’ja, proprio come la narratrice del romanzo, nel 1874 rientra in Russia con la laurea in tasca, assieme al marito che a sua volta aveva ottenuto una laurea in paleontologia all’università di Jena. Nel 1875 lei gli propose di terminare la finzione rappresentata dalla loro strana unione: “Lui acconsentì. La sua compiacenza era inesauribile. Il tentativo fu leale da ambo le parti, come si conviene tra persone oneste, ma allo stesso tempo infelice. Infatti, ormai era troppo tardi. La nascita di un figlio non poteva cancellare il passato. Non si riescono a fingere impunemente per anni situazioni e sentimenti falsi”(25). Una figlia, Sof’ja, che diverrà anch’essa matematica, nacque nel 1878, ma sarà per la maggior parte del tempo affidata a cure altrui. Non potendo ottenere un incarico nell’insegnamento superiore (negato alle donne), Sof’ja Kovalevskaja, come la narratrice del suo romanzo, si immerge nella vita della società pietroburghese, mandando critiche teatrali e articoli scientifici al giornale Novoe Vremja (Tempi moderni) di A. Suvorin, allora non ancora conservatore. Frequenta scienziati (D. Mendeleev, I. Sečenov) e scrittori (Turgenev, Dostoevskij). Suo padre, riferisce Leffler, “sopporta con estrema tolleranza sia i discorsi sovversivi del genero comunardo sia i principi materialisti del genero scienziato”. Quest’ultimo, a partire dal 1881, insegna geologia all’università di Mosca, ma si lancia anche con la moglie, che “la sua natura passionale e piena di immaginazione conduce a voler sperimentare e padroneggiare ogni cosa” (Leffler), in operazioni immobiliari (case di valore, bagni termali, giornali) e commerciali (raffinerie di petrolio) che lo conducono alla rovina. Nel 1883 si suiciderà con il cloroformio(26).

Sof’ja aveva ripreso gli studi di matematica nel 1880, presentando una brillante relazione sugli integrali abeliani al Congresso internazionale dei naturalisti di San Pietroburgo. Il matematico svedese Gösta Mittag-Leffler ne restò impressionato(27) e, nel 1884, in qualità di rettore dell’università di Stoccolma, le offrì una cattedra come professore di matematica: la prima al mondo che sia stata occupata da una donna(28): “Una mostruosità come un professore di matematica di sesso femminile è una cosa incresciosa, inutile, sgradevole”, commenterà August Strindberg in un giornale svedese (Leffler). Come si era impegnata, dal secondo anno d’insegnamento Sof’ja terrà i suoi corsi in svedese.

La sorella di Mittag-Leffler, Anne-Charlotte, nota scrittrice, che diverrà amica e biografa di Sof’ja, ci ha fornito questo suo ritratto:

“Quando entrai, stava in piedi davanti alla finestra della biblioteca, sfogliando un libro. Prima ancora che mi si fosse avvicinata, avevo notato un profilo spiccato e severo, capelli castano scuri raccolti trascuratamente con una treccia, una vita sottile, elegantemente flessuosa, ma sproporzionata alla testa. La bocca era grande, con un disegno irregolare, ma ricca d’espressione; le labbra piene e fresche, le mani piccole e minute come quelle di un bambino, tuttavia leggermente disarmoniche a causa delle vene troppo sporgenti. Ma che occhi! Erano loro a donare alla sua fisionomia quell’aspetto tanto intelligente che colpiva tutti. Di colore indefinito, cambiavano dal grigio al verde al marrone, erano grandi, brillanti e sporgenti, guardavano con un’intensità tale che sembrava penetrare fino nel profondo dell’anima”.

Nel 1886 l’Accademia delle scienze francese propose per il premio Bordin di “perfezionare in un aspetto importante la teoria della rotazione di un corpo solido attorno a un punto fisso”. Con il motto “di’ ciò che sai, fai ciò che devi, accada quel che accada”, Sof’ja presentò una relazione(29) che nel 1888 otterrà il premio (innalzato a cinquemila franchi in virtù dell’eccezionale qualità della ricerca). Seconda donna (dopo Sophie Germain) a ricevere questo prestigioso riconoscimento scientifico, per Sof’ja è la notorietà mondiale(30). L’anno seguente viene eletta membro dell’Accademia delle scienze russa: è di nuovo la prima volta per una donna.

Tuttavia, né la gloria, né la scienza le portano quella felicità di cui va disperatamente in cerca. “A causa del suo sconforto non poteva rimanere a lungo serena a Stoccolma o altrove; la vita doveva concederle senza tregua avvenimenti sconvolgenti, nuove raffinatezze intellettuali, mentre allo stesso tempo la grigia monotonia dell’esistenza quotidiana le appariva insopportabile; ogni cosa potesse rientrare nel quadro delle ‘virtù borghesi’ le faceva orrore” (Leffler). Si invaghisce di un lontano cugino di suo marito, Maksim Maksimovič Kovalevskij, sociologo e storico del diritto, professore all’università di Mosca dal 1877 al 1887. Sospeso in quell’anno per le sue idee liberali, Maksim aveva ricevuto l’invito di andare a insegnare a Stoccolma, Oxford e Parigi(31). Sof’ja l’aveva incontrato a Parigi nel 1882 presso P. Lavrov, teorico del socialismo non marxista, che onorerà il ricordo di quella “donna russa evoluta” in un discorso tenuto davanti agli emigrati russi di Parigi (poi pubblicato a Ginevra nel 1891). Kovalevskij però esita di fronte al carattere geloso e tirannico di Sof’ja, che, da parte sua, non intende più sacrificare la sua carriera scientifica. Leffler parla di una lotta estenuante tra le due profonde inclinazioni di Sof’ja, “quella di compiere una grande opera intellettuale e quella di perdersi completamente in un sentimento nuovo e profondo”. Il dramma, in parte autobiografico, che compone nel 1887 con Anne-Charlotte Leffler (che lo scrive in svedese), La lotta per la felicità: due drammi paralleli (“Come fu e come sarebbe potuto essere”), riflette quest’impossibile ricerca di una felicità personale. Si tratta di un’applicazione del teorema di Poincaré sulle curve definite dalle equazioni differenziali: è sufficiente che le variabili (le scelte dell’uomo) cambino affinché i risultati siano opposti. Nella variante positiva, Sof’ja descrive una sorta di utopistico paradiso socialista. La variante negativa corrisponde invece alla sua esperienza umana: “Vittima dei suoi tempi e forse altrettanto di se stessa, rimane la martire – in tutti i sensi del termine – di una crisi acuta della coscienza femminile”(32). La biografa statunitense di Sof’ja, Ann Koblitz, rigetta tuttavia questa visione “antifemminista” di una donna lacerata da differenti aspirazioni propagata da Leffler e altri: Sof’ja era piena di progetti, aveva intenzioni di sposarsi nella primavera del 1891, quando muore il 10 febbraio 1891 per le complicazioni di una polmonite. Un ministro russo dichiarò: “Si è troppo inteso parlare di questa donna che, in ultima analisi, non era che una nichilista”(33).

Una ragazza nichilista apparve dopo la morte della sua autrice nel 1892 a Stoccolma (in svedese sotto il titolo Vera Vorontzoff) e in russo presso la Stamperia russa libera di Ginevra, dove il romanzo fu ristampato nel 1895 e nel 1899 dall’editore dei rivoluzionari russi M.K. Elpidine(34). Il romanzo era stato scritto in russo nel 1890, tranne alcuni passaggi in svedese e francese, la lingua straniera che Sof’ja padroneggiava al meglio. Un’introduzione anonima, dovuta a Maksim Kovalevskij, precisava che l’autrice, prevedendo delle difficoltà con la censura zarista, avrebbe voluto pubblicare il suo romanzo all’estero e a tal fine era entrata in contatto con editori francesi e inglesi. Sof’ja non riuscì a dare l’ultima stesura al suo testo, che esiste in due versioni manoscritte (in una delle quali la narratrice figura in terza persona, sotto il nome di Tatiana Ivanovna Raevskaja). È la sua amica Charlotte Leffler che otterrà dalle due versioni una sola. Non esiste però un’edizione critica del romanzo, poiché tutte le riedizioni (come anche questa traduzione) si basano sull’edizione ginevrina. Solamente nel 1906 il romanzo potè infine apparire a Mosca, ma la traduzione tedesca, già proibita nel 1896, fu ancora oggetto di censura nel 1915(35).

Nella prima edizione il nome dell’autore e il titolo erano indicati in russo e in francese: Sophie Kovalevskaïa, Une Nihiliste(36). A eccezione di Una ragazza nichilista, le altre opere letterarie di Sof’ja furono edite a San Pietroburgo nel 1893: oltre alle Memorie d’infanzia, sono disponibili dei ricordi su George Eliot, delle relazioni sugli ospedali parigini della Salpêtrière e della Charité (1888), delle impressioni sulla Svezia e infine abbozzi di racconti. Sof’ja ha inoltre scritto alcune poesie, dove predominano il tema della morte, del sacrificio, dell’infelicità amorosa, dell’emancipazione femminile.

Se confrontato a una vita brillante, il suo piccolo romanzo postumo può sembrare esile: niente matrimoni fittizi, niente gloria, solo il lento risveglio di uno spirito e di un cuore all’amore umano e a quello del prossimo. Non facciamoci però trarre in inganno. La riuscita di Una ragazza nichilista sta nell’armonioso amalgama tra un romanzo socio-politico e un romanzo psicologico. Il primo, che incornicia il secondo, rievoca in qualche frase o episodio – con l’uso di una leggera ironia, più efficace dell’invettiva, nel mettere a nudo le debolezze umane o la corruzione del sistema – tutto lo sfondo sociale e politico degli anni Sessanta e Settanta (lo straordinario avvenimento che fu la lettura nelle chiese del proclama di emancipazione del 1861, il potere dei nobili che si sgretolava, l’“andata al popolo” del 1873-1874, l’impatto dei processi politici degli anni 1877-1878, ecc.). In modo migliore rispetto a più pesanti opere didattiche, il romanzo dimostra le cause dell’inesorabile marcia della Russia verso una rivoluzione che, partendo da una sete di giustizia e sacrificio, divorerà i suoi figli. Pertanto, facendo dell’utilità alla “causa” il criterio etico supremo, sovvertendo il Cristianesimo, ridotto al suo aspetto temporale, si comprende come il nichilismo, senza sospettarlo, aprisse la strada al dogmatismo omicida. Una ragazza nichilista è l’infanzia, ancora colma d’ideali e illusioni, del movimento democratico russo, con quel suo caratteristico miscuglio di rivolta anarchica, femminismo ed eroismo, quell’aspirazione all’unità, all’integrità di pensiero e azione che sembra essere stata, oltre all’avventura di Vera, l’ideale di Sof’ja.

Il romanzo d’amore che occupa i capitoli centrali è prova di una sensibilità psicologica che non può che esser stata vissuta e che traduce uno “stile femminile” legato a trascrivere le più sottili manifestazioni fisiche legate alle differenti fasi del sentimento amoroso e della passione. Il concomitante sbocciare della primavera, descritto in termini erotici e darwiniani, conferisce alla natura una dimensione simbolica che si ritrova in vari dettagli, come il ruscello che Vera aiuta Vassil’ev a superare.

La costruzione del romanzo, infine (il romanzo di formazione inserito nel presente della narrazione, la conclusione inattesa), i frequenti cambiamenti di punti di vista (Vera, la narratrice), il gioco del discorso (diretto, indiretto) e dei tempi verbali, un leggero humour e ironia: tutto ciò fa di Una ragazza nichilista una grande opera, che racchiude in un ragguardevole scorcio una parte di storia della Russia e allo stesso tempo di un’anima.

 

In una delle sue Poesie in prosa (1878), Turgenev metteva in scena una “giovane fanciulla russa” prestata al sacrificio (il modello era Vera Zasulic), decisa ad affrontare “freddo, fame, odio, derisione, disprezzo, offese, la prigione, la malattia e la morte stessa”.

“Stupida!” digrignò qualcuno da dietro. “Santa!” si udì da qualche parte in risposta(37).

Michel Niquex

Note

1. Boris Pasternak, “Il grano” (1956), in: Autobiografia e nuovi versi, Feltrinelli, Milano 1958, p. 163.

2. S. Kovalevskaja si ispira al “processo dei 193” che si svolse dall’ottobre 1877 al gennaio 1878 e al quale aveva assistito: gli accusati erano per la maggior parte studenti, che desiderosi di passare dalla teoria alla pratica, nel 1874 erano “andati al popolo” per meglio conoscerlo e annunciargli la “buona novella”, ossia metterlo al corrente della sua condizione di sfruttamento e incitarlo alla rivolta (vedi il romanzo di Turgenev Terre vergini, 1877). Da due a tremila furono arrestati, di cui 770 trascinati in tribunale. Cfr. F. Venturi, Il populismo russo, 3 voll., Einaudi, Torino 1972.

3. Cfr. S. Bulgakov, “L’eroe laico e l’asceta”, in :La svolta. Vechi: l’“intelligencija” russa tra il 1905 e il ’17, 2a ed., Jaca Book, Milano 1990, pp. 33-72; G. Nivat, “Aspects religieux de l’athée russe”, in: Cahiers du monde russe et sovietique, xxix (3-4), 1988.

4. Vera Figner, Mémoires d’une révolutionnaire, Denoël Gonthier, Paris 1973, p. 237.

5. Sul nichilismo russo degli anni Sessanta dell’Ottocento si veda: A. Coquart, Dmitri Pisarev (1840-1868) et l’idéologie du nihilisme russe, Institut d’Études slaves, Paris 1946; N. Berdjaev, L’idea russa : i problemi fondamentali del pensiero russo (19° e 20° secolo), Mursia, Milano 1992; W. Bannour, Les Nihilistes russes: N. Tchernychevski, N. Dobroljubov, D. Pisarev, Aubier Montaigne, Paris 1974 ; id., Les Nihilistes russes, Anthropos, Paris 1978 ; M. Confino, “Révolte juvénile et contre-culture : les nihilistes russes des ‘années 60’”, in: Cahiers du monde russe et soviétique, xxxi (4), 1990.

6. Nel romanzo il mentore di Vera, Vasil’cev, le fa leggere Spencer. Herbert Spencer (1820-1903), sociologo e filologo inglese, è stato un apologista dell’individualismo e della concorrenza sociale e un precursore della pedagogia moderna. Sof’ja Kovalevskaja l’aveva incontrato a Londra nel 1869 assieme a George Eliot e dinanzi a lui aveva difeso con ardore le sue idee femministe.

7. P.A. Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario, 3a ed., Feltrinelli, Milano 1976, pp. 218-222.

8. Dopo aver ucciso il 4 agosto 1878 il capo della polizia politica di San Pietroburgo, S. Stepnjak Kravčinskij emigrò a Londra. Qui, nel 1889, scrisse un romanzo sugli anni Sessanta intitolato Career of a Nihilist (pubblicato in russo a Ginevra nel 1898 con il titolo André Kojoukhov) e tradusse con W. Westfall Una ragazza nichilista della Kovalevskaja in inglese, con il titolo Vera Barantzova (Ward & Downey, London 1895).

9. Ethel Lilian Voynich (1864-1960), scrittrice inglese, autrice di un romanzo ispirato a Giuseppe Mazzini celebre in Russia (The Gadfly, 1912). Conosceva bene Stepnjak Kravcinskij e scrisse nel 1904 un romanzo, Olive Latham (1904), il cui soggetto assomiglia a quello di Una ragazza nichilista.

10. Leggerà in francese Non c’è via d’uscita (tit. orig. Nekuda) di N. Leskov (1864); Il burrone (1869) di I. Gončarov; I demoni (1872) di Dostoevskij, Marina (1873) di B. Markevič, adattato in francese nel 1910 da E. Jaubert. Cfr. C. Moser, Antinihilism in the Russian Novel of the 1860s, Mouton & Co., London-The Hague 1964.

11. Stepniak [S. Stepnjak Kravcinskij], La Russia sotterranea, F.lli Treves, Milano 1882, pp. 28-29.

12. Cfr. B. Savinkov, Diario di un terrorista, Kami, Roma 2004.

13. Numerosi studi premonitori erano apparsi negli anni 1879-1880: Principe Josef Lubomirski, Le Nihilisme in Russie, E. Dentu, Paris 1879; P. Fréde, La Russie et le nihilisme, A. Quantin, Paris 1880; E. Lavigne, Introduction à l’histoire du nihilisme russe, G. Charpentier, Paris 1880; A. Leroy-Beaulieu, “Le parti révolutionnaire et le nihilisme”, in: Revue des Deux Mondes, 15 febbraio 1880. Sulle donne “nichiliste” vedi Quatre femmes terroristes contre le tsar, testi riuniti e presentati da C. Fauré e tradotti da H. Châtelain, François Maspero, Paris 1978; Marie-Claude Burnet-Vigniel, Femmes russes dans le combat révolutionnaire, Institut d’Études slaves, Paris 1990.

14. Termine usato da alcuni giornalisti dell’epoca per indicare le immaginarie volontarie che durante la “settimana di sangue” della Comune avrebbero avuto il compito di incendiare le case borghesi con bottiglie di petrolio e spesso utilizzato come scusa per giustificare le fucilazioni sommarie dei governativi. (Cfr. A. Horne, L’assedio e la Comune di Parigi, Mondatori, Milano 1971, p. 466: “Ma la leggenda che moltissima gente prese per buona fu quella delle pétroleuses, paurose menadi sorte da qualche regione infernale che strisciando furtivamente per la città, a volte accompagnate dai figli, gettavano palle di fuoco o bottiglie di petrolio nelle finestre delle cantine della borghesia”) [N.d.T.].

15. Queste Memorie vennero innanzitutto pubblicate in svedese nel 1889, in terza persona (Le sorelle Raevskij), poi in russo (in prima persona) nel 1890 in Il Messaggero d’Europa. La biografia di Sof’ja Kovalevskaja, di Anne-Charlotte Leffler, pubblicata in russo nel 1893 [e prima a Stoccolma, in svedese, nel 1892. N.d.R.] ne costituisce il completamento. Questi due testi vennero tradotti in francese dalla casa editrice Hachette nel 1895 e nel 1907 [con il titolo Souvenirs d’enfance de Sophie Kovalewsky, a cura di Anna Carlotta Leffler Edgren duchessa di Cajanello; in inglese nel 1895 come The Sisters Rajevsky e in tedesco nel 1897 come Jugenderrinnerungen. N.d.T.] e sono stati ripubblicati nel 1993 con un’introduzione di Jacqueline Détraz incentrata sul percorso matematico della Kovalevskaja (J. Détraz, Kovalevskaïa: l’aventure d’une mathématicien, Belin, Paris 1993; di qui in avanti, il riferimento Souvenirs … o Leffler rimanda a quest’edizione). Esistono altre biografie di Sof’ja Kovalevskaja, sia in russo che in inglese (D. Polubarinova-Kočina, S. Straikh, Don H. Kennedy). La migliore è quella di Ann Hibner Koblitz, A Convergence of Lives: Sofia Kovalevskaja, Scientist, Writer, Revolutionary, Rutgers University Press, New Brunswick 1993. Si veda inoltre della stessa autrice Science, Women and Revolution in Russia, Harvard Academic Publishers, Cambridge ma 2000. [Per una traduzione italiana di Memorie d’infanzia v. nota 19. N.d.T.].

16. “Non è per caso che i giovani seminaristi, i figli dei preti cresciuti alla scuola ortodossa, abbiano rappresentato una parte preponderante nella storia del nichilismo. Dobroliubov e Cernysevskij erano figli d’arcipreti e avevano studiato in seminario. I ranghi dell’‘intellighentzia’ di sinistra furono popolati di transfughi delle classi ecclesiatiche. C’è una doppia spiegazione di tale fenomeno. La formazione che avevano ricevuto li preparava a questa negazione ascetica del mondo. D’altra parte, essi sentivano attorno ad essi, nel mezzo di questo secolo, rumoreggiare una rivolta indignata contro la decadenza dell’ortodossia, la dispersione della spiritualità, l’oscurantismo ove ristagnava l’insegnamento religioso. […] La loro sete di giustizia sociale, attinta alle fonti del cristianesimo, è un bisogno irresistibile”. (N. Berdjaev, Le fonti e il spirito del Comunismo russo, Corticelli, Milano 1945, pp. 54-55).

17. Cfr. J. Frank, Dostoevsky: The Miraculous Years, 1865-1871, Chichester University Press, Princeton nj 1995; J. Catteau, La Creation littéraire chez Dostoïevski, Institut d’Études slaves, Paris 1978. I ricordi di Sof’ja Kovalevskaja su Dostoevskij si trovano in Dostoïevski vivant, Gallimard, Paris 1972. Aglaja, nell’Idiota, presenta dei tratti di Anna Korvina.

18. N. Cerniševskij, Che fare?, 2 voll., Editori Riuniti, Roma 1977. Cfr. anche le lettere di M. Sečenova a V.O. Kovaleskij, in: Zven’ja, 3-4, 1934; I. Paperno, Chernychevsky and the Age of Realism: A Study in Semiotics of Behavior, Stanford University Press, Stanford 1988. R. Stites, The Women’s Liberation Movement in Russia. Feminism, Nihilism, and Bolshevism, Princeton University Press, Princeton 1978; C. de Maedg-Soëp, The Emancipation of Women in Russian Literature and Society: A Contribution to the Knowledge of the Russian Society during the 1860’s, Ghent State University, Ghent 1978.

19. Vedi P.C. Pozefsky, “Love, Science, and Politics of Shestidesiatnitsy N.P. Suslova and S.V. Kovalevskaia”, in: The Russian Review 58, 1999.

20. S. Kovalevskaja, Memorie d’infanzia, Pendragon, Bologna 2000, p. 116 [N.d.T.].

21. Il carteggio Kovalevskaja-Weierstrass (1871-1891) è stato pubblicato a Mosca nel 1973 e a Berlino nel 1999: Briefwechesel zwischen Karl Weierstrass und Sof’ja Kowalevskaja, a cura di R. Bölling, Akademie Verlag, Berlin 1999 [N.d.T.].

22. Gli studi di Sof’ja Kovalevskaja riguardavano le equazioni alle derivate parziali (teorema di Cauchy-Kovalevskaja), gli integrali abeliani e le forme degli anelli di Saturno (cfr. R. Cooke, The Mathematics of Sofya Kovalevskaya, Springer Verlag, New York 1984).

23. M. Ergot e J. Maitron, Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier, vol. vi, Éditions ouvrières, Paris 1969.

24. Cfr. S. Braibant, Elisabeth Dmitrieff, aristocrate et pétrouleuse, Belfond, Paris 1993.

25. A. Barine, “La rancon de la gloire. Sophie Kovalevsky”, in: Revue des Deux Mondes, 15 maggio 1894, p. 375.

26. Le sue opere complete (in francese, tedesco e inlgese) sono state pubblicate a New York nel 1980. Vladimir Kovalevskij è il fondatore della paleontologia evolutiva, mentre suo figlio maggiore, Aleksandr (1840-1901) è il fondatore dell’embriologia evolutiva. Vedi le voci in: P. Tort (a cura di), Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution, puf, Paris 1996.

27. “L’esperienza più interessante fatta a Pietroburgo [al Congresso] è stato rincontrare S. Kovalevskaja. È una donna affascinante. È bella e, quando parla, il suo viso è illuminato da un’espressione di femminilità, di dolcezza e di un’intelligenza rara. Le sue maniere sono semplici e naturali, senza la minima traccia di pretesa o pedanteria. È una “donna di mondo” compiuta, sotto ogni aspetto. Come studiosa, si distingue per la chiarezza e la straordinaria precisione con la quale si esprime […]. Capisco perfettamente il motivo per il quale Weierstrass la consideri il suo allievo più dotato (J. Détraz, op. cit., pp. 14-15).

28. “Si dovette attendere il 1908 perché un’altra donna, Marie Curie, fosse nominata professore in un’università, il 1933 affinché Emmy Noether divenisse professore di matematica negli Stati Uniti e il 1938 per assistere alla nomina di una donna come professore di matematica in un’università francese” (ibid., p. 23).

29. Mémoire sur un cas particulier du problème de la rotation d’une corps pesant autour d’un point fixe, où l’intégration s’effectue à l’aide de fonctions ultra-elliptiques du temps, par Mme Sophie de Kowalevsky, Impr. Nazionale, Paris 1890 [N.d.T.].

30. Nell’estate 2001 è stato bandito il premio “Sof’ia Kovalevskaja” dalla Fondazione Alexander von Humboldt. Consistente in 21,5 milioni di euro, è stato assegnato a 29 giovani scienziati.

31. Maksim Maksimovic Kovalevskij (1851-1916) discendeva da un ramo familiare di cosacchi dell’Ucraina che aveva dato alla Russia numerosi studiosi e uomini di stato. È l’autore di parecchie opere in francese edite a Parigi, fra cui: Le Régime économique de la Russie (1898), Institutions politiques de la Russie (1903), La Crise russe. Notes et impressions d’un temoin (1906), La Russie sociale (1914) [tutte edite dalla casa editrice V. Giard & E. Brière. N.d.T.]. A Parigi, nel xx secolo, i Kovalevskij si distinsero come musicisti, astronomi, storici, sacerdoti, professori.

32. Claude-Edmonde Magny, “Sophie Kovalewsky”, in: Les Femmes célebres, Éditions L. Mazenod, vol. ii, Paris 1961, p. 19 (con un grande ritratto della Kovalevskaja). Arvède Barine conclude la sua biografia della Kovalevskaja con questa frase di Madame de Staël: “La gloria, per una donna, non è mai che il radioso lutto della felicità” (op. cit., p. 382).

33. Cit. in J. Détraz, op. cit., p. 23.

34. Une Nihiliste [Nigilistka], M. Elpidine, Carouge-Genève 1899 [N.d.T.].

35. Il censore trovò che “il romanzo dipinge in molte occasioni a tinte spaventose la sorte dei criminali politici e la crudeltà del nostro governo nei loro confronti, e mostra soprattutto simpatia per il movimento nichilista degli anni Sessanta e Settanta (S.V. Kovalevskaja, Vospominanija. Povesti [Memorie. Romanzi], Nauka, Mosca 1974, p. 20.

 36. È indubbiamente questo fatto ad aver condotto molti ricercatori a segnalare che il romanzo era stato tradotto in francese (cfr. S.V. Kovalevskaja, Vospominanija i pis’ma [Memorie e lettere], 1951, ma noi non abbiamo trovato alcuna traccia di tale traduzione. Una traduzione americana è invece apparsa recentemente: S. Kovalevskaya, Nihilist Girl, con traduzione e prefazione di Natasha Kolchevska e Mary Zirin, mla, New York 2001.

37. I. Turgenev, “La soglia”, in: Senilia. Poesie in prosa 1878-1882, Marsilio, Venezia 1996, pp. 117, 119 [N.d.T.].

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Michel Niqueux è stato un lettore francese a Leningrado e Mosca (1970-1972) e poi ha insegnato letteratura e civiltà russa presso l’Università di Caen dal 1973 al 2012, essendo due volte professore in visita presso l’Università di Losanna per un semestre. Ora è professore emerito di questa Università. Nel 1989, ha creato un “Centre de Recherche sur l’Evolution de l’URSS” presso l’Università di Caen (chiuso nel 1992), che ha pubblicato due opere collettive (Vocabulaire de la perestroika. Prefazione di Michel Tatu. Editions Universitaires, Parigi, 1990, 242 p. ; La questione russa. La Question russe. Saggi sul nazionalismo russo. Parigi, Editions Universitaires, 1992, 216 p.).