Immagine tratta da ’Nova Cronica’ di Giovanni Villani, XIV secolo, che mostra i ribelli siciliani che decimano i soldati francesi.
Mentre il cinema e l’editoria producono beni di consumo culturale influenzati dall’area politica di sinistra, la televisione risponde alle aspettative di controllo sociale da parte dello schieramento politico al governo, in particolare cerca di mediare il delicato rapporto tra la cultura di massa prodotta dalla industrializzazione con la cultura della tradizione rurale profondamente legata alla fede religiosa e sospettosa di fronte a ogni modernità. La televisione inizialmente conquista pubblico soprattutto tra la piccola borghesia cittadina, la più attenta ad accogliere nuovi stili di vita tra l’indifferenza delle classi medio-alte e degli intellettuali. In regime di monopolio, separata dagli altri apparati del tempo libero, quali il cinema e il teatro funziona come un’impresa orientata a produrre su scala industriale rovesciando la tradizionale logica capitalistica dove è il mercato a condizionare la produzione, poiché opera contemporaneamente su entrambi i fronti: produzione e consumo. La televisione nasce e cresce per divertire-informare-educare, ciò che da sempre aveva tentato di fare il cinema dei regimi autoritari in forma ideologica, elevato da mero prodotto fino a forma d’arte. Ci riuscirà la televisione perché i primi due obiettivi (divertire e informare) sono in realtà solo gli strumenti essenziali per il fine l’ultimo dove educare diventa produrre modelli di comportamento di tipo normativo mascherati con quelli di consumo, spacciati per popolari e di moda. Che cosa hanno visto in tutti questi anni gli spettatori italiani? Impegnata alla conquista di popolarità, la televisione non ha mai ritenuto di fare i conti con uno “specifico televisivo”, accontentandosi di trasmettere film, telefilm, commedie, riviste musicali, documentari, dibattiti, concerti. Negli anni Ottanta con le televisioni “libere” e commerciali la strategia è stata analoga: prima ha divertito (intrattenimento leggero, spettacoli notturni di spogliarelli, tanti film) poi ha informato con i telegiornali e gli spot pubblicitari chiamati perfino “informazioni per i consumatori” con lo stesso fine di educare alla popolarità il brand e la figura del proprietario del gruppo privato, che grazie a quanto aveva ottenuto in un decennio era pronto a prendersi il governo del Paese. Far credere che cultura in Tv significhi mostrare opere d’arte e d’intelletto è un’operazione di manipolazione intellettuale: consiste nel far credere al pubblico che guardare in televisione un quadro, un film o una rappresentazione teatrale possa sostituire la loro visione nei contesti originari. Significa svilire l’importanza dei contesti e delle situazioni originarie (il museo) o peggio ancora delle forme stesse di comunicazione (il cinema, il teatro) sfruttate e strozzate. Questa contrapposizione era già annunciata, a pochi anni dalla nascita della televisione pubblica, da Umberto Eco che scriveva:
“Per lo spettatore televisivo medio, il problema di una formazione culturale non sarà̀ affatto quello di mettersi al corrente di tutti i dati dell’erudizione ufficiale; e il problema della tv come fattore culturale non sarà̀ dunque quello di renderla veicolo passivo di informazione erudita (…). Tipico mezzo per una comunicazione alla massa, la tv dovrà̀ trovare la propria misura di cultura nel proprio ambito: il massimo di gusto realizzabile nei limiti di uno spettacolo di varietà̀ costituisce un fatto di cultura, là dove una brutta visita al museo etrusco, realizzata riprendendo passivamente la passeggiata di un erudito che illustra via via i pezzi esposti, rappresenta un fatto anticulturale per eccellenza.” [1]
Pier Paolo Pasolini, già nel 1963 era ancora più provocatorio quando sosteneva che “ La televisione non esiste”,[2] e che era morta nella culla, sostituita da un surrogato maneggevole che si potrebbe chiamare Audiovisione: un sistema di diffusione di audiovisivi (film, varietà̀, intrattenimento, musical, commedie, documentari, dibattiti, notiziari ) per essere occhio aperto “in diretta” sul mondo e su tutto quello che vi succede (guarda caso è oggi il fascino maggiore di Internet) ma non può̀ piacere al potere che vuole formare e mantenere una massa docile di elettori-consumatori.
[1] U. Eco, Sulla televisione. Scritti 1956-2025, a cura di G. Marrone, La nave di Teseo, Milano, 2018.
[2] P. P. Pasolini, La televisione non esiste, in Per il cinema, Mondadori, Milano 2001.
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