Ne “L’utopia dei miliardari”, edito da Edizioni Tlon, la giornalista Irene Doda ci racconta degli «autoproclamati creatori del futuro»: professori di Oxford, miliardari della Silicon Valley, ideologi e guru ultra-ricchi. Tutti uniti da un’unica filosofia: quella del lungotermismo. Ma di cosa parliamo quando diciamo “lungotermismo”? Lo abbiamo chiesto direttamente a Irene Doda.
Irene Doda è nata nel 1994, è cresciuta in Brianza e vive in Romagna. Ha scritto per l’edizione italiana di «Wired», per «L’Indiscreto», per la rivista anarchica «Emma» e per altre testate online e cartacee. Si occupa di temi legati al lavoro e alla tecnologia.
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Irene Doda, che cos’è il lungotermismo?
Il lungotermismo è una filosofia, un’ideologia, un culto, una parareligione. In poche parole, è un modo di pensare alle cose. È nata nei circoli legati ai miliardari tech e ai filosofi dell’università di Oxford. Parliamo quindi di contesti molto elitari, molto bianchi e molto maschili. I principali pilastri del lungotermismo sono tre. Per prima cosa, la priorità morale non è fare del bene per il presente, o per il futuro dei nostri figli. L’impatto di ciò che facciamo deve essere a lungo termine, lunghissimo, in termini di milioni di anni. Agisco oggi su ciò che avrà un impatto sui miei discendenti. Una falla logica che però fa parlare molto di colonizzazione dello spazio e di diritti delle generazioni future, con implicazioni anche politiche.
Il secondo aspetto riguarda il numero di persone: più l’umanità è prospera e più si sta bene. È un’equazione che di fatto non trova nessun riscontro nella realtà. Non perché siamo malthusiani e dobbiamo ridurre drasticamente la popolazione mondiale, ma perché semplicemente non abbiamo un sistema economico che permette il benessere a tutti. Il sistema andrebbe prima cambiato, altrimenti l’attuale assetto geopolitico mondiale continuerà a privilegiare enormemente sempre una piccola parte della popolazione.
Il terzo pilastro del lungotermismo è l’idea che noi, persone vive oggi, abbiamo gli stessi diritti e lo stesso valore degli esseri umani che saranno vivi tra un milione di anni e che pertanto vanno tutelati.
Se qualcuno mi dicesse che i diritti delle persone del futuro sono gli stessi diritti delle persone del presente, tendenzialmente non mi verrebbe da smentirlo. Se penso ai cambiamenti climatici, per esempio, si dice spesso che ciò che facciamo non lo stiamo facendo solo per l’attuale generazione, ma per quelle che verranno. Qualcuno non potrebbe obiettare che anche questo è lungotermismo?
Il problema è la scala che applico alle soluzioni che voglio adottare. Mi spiego: quando parlo di cambiamenti climatici, le domande che mi pongo riguardano il tipo di società che voglio lasciare alle persone che verranno dopo di me. Quindi mi farò delle domande su quali tipi di comportamenti ambientali voglio adottare e su come questi ridurranno la mia impronta di CO2, come redistribuisco le risorse per avere una società più equa, come riduco il consumo di suolo per creare una società più sana, come creo dei beni pubblici accessibili a tutti, eccetera.
Sono tutte domande molto concrete, che mettono in discussione il nostro attuale modo di vivere e il nostro sistema politico-economico-geopolitico. Insomma, che mettono in discussione il nostro modo di agire. Il lungotermismo, invece, non si pone affatto queste domande pratiche. Il suo modo di agire è talmente ipotetico e riguarda un futuro talmente lontano che il sistema dominante non viene messo in discussione.
Una chiara distinzione. Tra l’altro hai accennato a implicazioni politiche: a cosa ti riferivi?
Per esempio: chi decide i diritti soggettivi dell’umanità “in potenza”, cioè dell’umanità del futuro? Le idee del lungotermismo sono facilmente mutuabili da frange conservatrici. Pensiamo al caso dell’aborto: se un embrione è una vita in potenza, va tutelato in ogni modo, anche a spese della vita e dell’autodeterminazione delle donne. Questo è quello che si intende quando si dice che l’essere umano di oggi ha gli stessi diritti di quello che verrà. È molto problematico a livello politico.
È un po’ il dilemma del carrello applicato su scala mondiale: se lascio morire migliaia di persone per salvare un ipotetico milione di nuovi nati che domani prospererà su un altro pianeta, ecco, il lungotermismo mi dice di fare di tutto per salvare l’umanità che verrà, non quella del presente. E quel che è peggio è che un paradosso morale così pericoloso e utilitaristico viene propugnato da un manipolo di persone che oggi hanno un sacco di potere nelle proprie mani.
Forse l’esempio più lampante del lungotermismo è Elon Musk, ma non è il solo che citi, giusto?
Nel libro cito diversi personaggi: alcuni più conosciuti, come Elon Musk, e altri meno, come Vitalik Buterin, il fondatore della criptovaluta Ethereum. Poi ci sono Dustin Moskovitz, cofondatore di Facebook, e William MacAskill, tra i creatori del movimento dell’altruismo efficace, una filosofia “parente” del lungotermismo. E Nick Bostrom, uno dei padri del lungotermismo, che parla della colonizzazione del superammasso della Vergine, l’insieme delle galassie che contiene la nostra. Sono tutti personaggi che non sentirai mai mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo perché sono loro a condurlo. Sono miliardari che approfittano dei benefici di questo sistema e, in sostanza, fanno quello che gli pare.
Qual è il rapporto del lungotermismo con la tecnologia e con i cambiamenti climatici?
Questa filosofia ritiene che i cambiamenti climatici siano un rischio esistenziale e quindi cerca il più possibile di rendere l’umanità resiliente a essi. Fin qui tutto bene, ma come lo fa? Ad esempio colonizzando lo spazio o lasciandosi indietro la Terra e cercando risorse sugli asteroidi. Anche in questo caso non c’è nessuna analisi sociale dei cambiamenti climatici che tra le loro cause, e non solo tra gli effetti, hanno le disuguaglianze. Infatti, chi è maggiormente colpito dagli eventi climatici estremi non vive nei nostri appartamenti riscaldati nel Nord del mondo e non fa parte della cricca del lungotermismo.
L’industria tecnologica, in questo, ha un enorme impatto ambientale. Prendiamo ad esempio i data center per l’intelligenza artificiale. Ma la visione di questi guru tecnologici non è improntata a risolvere questi problemi pratici, ma è molto più catastrofica: l’IA diventerà autocosciente e causerà l’estinzione della specie umana. Quindi, il miliardario di turno à la Elon Musk viene investito di un’aura messianica come il solo capace di domare questa forza sovrannaturale. Ma è tutta una strategia di marketing per non condividere la loro tecnologia con il resto del mondo, ma mantenerla una scoperta elitaria, per pochi.
È il marketing della catastrofe, come dice il giornalista Andrea Signorelli: timori che distraggono dal vero dibattito sull’intelligenza artificiale che riguarda chi la produce, come viene prodotta, cosa c’è dietro, per cosa si usa. E qui ci ricolleghiamo con quello che dicevamo all’inizio: tutte queste domande interrogano il presente, ma il presente non è l’orizzonte del lungotermismo.
Per chiudere ti chiedo: nel tuo libro parli anche di un lungotermismo buono. Esiste?
C’è bisogno di pensare nel lungo termine, d’accordo, però c’è bisogno di pensarlo in altri modi. E gli altri modi che io propongo sono ad esempio quello di un’azione ovviamente molto più critica e radicale del sistema in cui viviamo, un approccio “dal basso” e poi un’analisi del beneficio: da chi è creato il “bene”? Oppure: il mio “bene” è lo stesso che intendono i lungotermisti? Evidentemente no.
L’idea di un’umanità che sta tutta sulla stessa barca di fronte a grandi rischi esistenziali è poco accurata. Ci sono sì dei rischi che riguardano tutta l’umanità, ad esempio i cambiamenti climatici, ma non riguarderanno tutti allo stesso modo. Perché ci saranno i miliardari che andranno a rifugiarsi nei bunker e quindi hanno sicuramente più opportunità di noi e del Sud del mondo di sfuggire alla catastrofe. Ora, non sappiamo se il lungotermismo dominerà il mondo come ha fatto il neoliberismo, però è sicuramente interessante parlarne perché, se hai tanti soldi e molta influenza, anche le idee più pazzoidi possono affermarsi su larga scala.
Fonte: valori.it