Ignoranti di storia

 

La guerra mediatica, oggi in diretta per 20 ore al giorno, ferisce la mente proprio come un proiettile o una bomba. Dio ci salvi da entrambe.

Qualcuno si offese quando un giornalista disse “che il giornale serviva per incartare il pesce”, cioè, che durava un giorno e il successivo si poteva benissimo cambiare fatti e opinioni. Fu un giornalista il 13 dicembre del 1969 a indicare Valpreda come “Il mostro”, peccato che fosse al servizio dei “servizi”, ma intanto la linea era stata data. Non diversamente nel 1964 durante il “Piano Solo” si cincischiò per anni prima dell’inchiesta Jannuzzi-Scalfari dell’Espresso, a spiegare ciò che non si poteva spiegare, ma si ritrattò e si finì a giudizio. Stessa cosa per la Cederna nel caso “Antilope” che costrinse alle dimissioni il presidente Leone.

E si potrebbe continuare fino alla stagione delle manette facili di Tangentopoli con il paradosso che i giudici – sempre tempo dopo – finirono dall’altra parte, sotto un processo mediatico: da accusatori a colpevoli. Con l’arrivo di Berlusconi le cose cambiarono, non che prima editori e direttori non
volessero dettare la linea del governo o inclini, l’adottassero supinamente, ma ora “Striscia la notizia”, il “Gabibbo” e “Le iene” sarebbero arrivati a modificare o a mistificare l’etica del giornalista per rendere verosimile quello stupido luogo comune e popolare che riassumeva, in sintesi con un dialogo: “Ho un figliolo che non vuole più studiare… e non sa che fare; Beh, rispondeva l’altro con una domanda: non conosci nessuno? Può fare il giornalista”. Sarebbe bastato l’aggressività, la sicumera e lo scoop, vero o falso che fosse. Una bella faccia, un bell’abito e un microfono in mano e via scattanti. Quando ci fu l’attacco alle Torri Gemelle nessuno sapeva chi poteva essere stato, qualcuno tirò fuori le immagini di Bin Laden che sparava, erano vecchie, ma si diffusero su tutto il pianeta. Era stato lui. Ma non sapremo mai se ci avessero e per caso azzeccato, o lui in disarmo e ormai ignorato, ebbe così il modo di ritornare un leader e il primo terrorista islamico del mondo.

Vent’anni dopo lo scenario era già cambiato, erano nati i blog dove ogni opinione era possibile, prodromo dei social che abbandonate le dispute sportive al bar Messico del paese, ora raggiungevano il mondo attraverso i social. Lo scenario si ampliava al mondo, non più beghe di paese, ma scenari intercontinentali, malattie e guerre presenti e a venire. Le congetture erano le più varie, chi stava in assoluto silenzio (Putin, ad esempio, viene ora solo interpretato). Adesso le notizie si vivono in rete in un intreccio demoniaco tra stampa e TV, dove l’esistenza dell’uno è data quasi dall’altra, dove le ospitate vengono scelte, domandando prima “Ma chi c’è?” per decidere se intervenire, seguendo la regola delle vittime dell’idiozia milanista-berlusconiana… cioè la “par condicio”, ovvero ognuno è libero di battersi indossando una maglia contro l’altra.

Leggere Salvatore Gelsi in acro-polis.it:

Manipolazione/Disinformazione nei Mass-Media

Ora quanto vale la classifica 1922 del “Word Press Freedom” su 180 stati? l’Italia si trova al 58° posto (sei anni fa al 77°) battute di poco Niger, Ghana e Kosovo dove evidentemente passano poco tempo su Telegram, Facebook, Twitter o Instagram; al 16° Germania, al 24° Regno Unito, al 26° la Francia. Dove stanno gli Stati Uniti, da cui in prevalenza sul desktop attenzioniamo le notizie? Al 42°, sigh. Soddisfatti, che la Russia sia al 155° e la Cina al 148°, ma l’Ucraina? Aimè solo al 106°. Luogo dove le centinaia di inviati sul campo traggono le notizie della guerra in corso. E poi, da febbraio la novità assoluta: una specie di gioco da tavolo (nell’infanzia che si chiamava “Chi è l’assassino?”), adottato insieme al Risiko obbligatoriamente da tutti, il gioco di “Chi è l’invasore?”, con imposta asserzione (segnalata da un algoritmo sulla carta di identità?) prima di prendere la parola in un talk show.

Peccato, nella storia militare del passato, dalle guerre del Peloponneso a quelle Sannitiche, dalla Grande Guerra alla seconda, dalla Corea al Vietnam, non era mai fregato a nessuno chi aveva iniziato una guerra, ma adesso perché? Forse, si chiama giornalismo con l’elmetto, in campo e schierato anche se le “ideologie” sarebbero finite da tempo. Una suggestione che nulla ha da vedere con Libertà, Democrazia, Nazionalismo o concetti simili, sempre adattati con la plastilina o il pongo ad hoc e quasi sempre a casaccio.

Se ne sentono alcune da far accapponare la pelle. Viene il sospetto che “ignoranti di storia” (ricordiamo che è la disciplina più odiata e vilipesa nelle scuole e si sono preparate le ultime due generazioni di studenti) si possa procedere prive di conoscenze verso una dettatura emotiva ed empatica, ciò per servire a tenere davanti al video o sui giornali i pochi spettatorilettori. (Osservando le dirette di Mentana e i suoi dati auditel, meno di 300.000, e sono in calando…). Il modo di procedere è quindi adattato e analogo a quanto era stato il format per il Covid: inquietudine, certezze ansiogene e spazio al negazionismo più bovino. Lo script sembra sceneggiato da Dario Argento, quando uno si prende una coltellata, il conduttore dice, “pubblicità”. Amleticamente “Believe or not believe?”, fino a staccare e a dedicarsi ad altro.
La guerra mediatica, oggi in diretta per 20 ore al giorno, ferisce la mente proprio come un proiettile o una bomba. Dio ci salvi da entrambe.


https://www.asterios.it/catalogo/un-mondo-senza-storia