La rinnovata importanza della memoria storica

Il recupero/ripristino della memoria storica, soprattutto del dopoguerra, compromesso in maniera importante a seguito della escalation nella disinformazione e nella confusione generale (quest’ultima ricorrendo nella migliore delle ipotesi, quando cioè non si scada nella pura menzogna), pur non risultando sufficiente per l’acquisizione di un’opinione politica profonda, ponderata e quindi ben fondata, ne appare prerequisito importante. E si tratta solamente di prerequisito perché alla base c’è, ovviamente, una questione di valori ispiratori, di morale in senso profondo, in definitiva di “umanità”. Se prescindiamo da questa, siamo in difficoltà e non ne usciamo (o meglio, non ne usciamo da un punto di vista morale). Il problema poi è sempre quello storico della destra: disvalori spacciati per i loro contrari, per fini di convenienza, di comodità spicciola, di discendenza, di egoismo, e quant’altro. Così il “nazionalismo”, il pregiudizio “antislavo”, e così via.

L’argomento è (o meglio, dovrebbe essere) particolarmente sentito sul confine orientale, preda classica del revisionismo di stampo neofascista. Ma tant’è, perché ad esempio, quando si parla di formazioni giovanili di destra degli anni Settanta, poi alla fine “erano ragazzi dalle grandi idealità, e se erano un po’ violenti, faceva parte dell’età…”, ed altre fesserie che abbiamo viste scritte, anche recentemente, in libri-pastone, illustrati e revisionisti, con tendenza, quantomeno, all’evasione. E se poi c’era l’avvocato a difenderli, se erano picchiatori, se la mamma gli bussava a mezzanotte perché erano in commissariato e lui le apriva la porta, com’era bravo, com’era comprensivo… . Ma lo sappiamo quanto era bravo, che poi passava all’incasso e si prendeva i voti!

I recentissimi riferimenti per finalità elettorali a strutture militari repubblichine/fasciste operanti dopo l’otto settembre richiamano alla memoria (o dovrebbero farlo) il sovversivismo di destra, soprattutto negli anni Settanta. A questo proposito, la trattazione evenemenziale e non solo di Gianni Flamini nel suo «Il partito del golpe» (1971/1973, 1973/1974, 1975/1976, Italo Bovolenta editore, 1982) risulta preziosissima per l’accuratezza e la “copertura”. Si tratta di una raccolta importante che, oltre ad essere esauriente, come si è detto, “si lascia leggere”.  Ad essa abbiamo fatto spesso riferimento (io e i miei coautori, Salvatore Gelsi e Roberto Rossetti) nella preparazione di “Febbre dal Passato. Trieste 1972” (Asterios, 2023).

In particolare, ne «Il partito del golpe» compaiono, in qualche modo in risalto, i ruoli svolti dai quotidiani «Il Secolo d’Italia» ed «Il Tempo», soprattutto nell’attenuazione della portata di certi accadimenti. E come non pensare a certi titoli, oggi, degli stessi quotidiani e di loro apparentati? E parlo di titoli soltanto… . Così, il 2 marzo 1972, accanto al nuovo mandato di cattura contro Freda e Ventura, il giudice Giancarlo Stiz di Treviso ordina anche l’arresto di Pino Rauti, dirigente nazionale del Movimento Sociale Italiano e fondatore di Ordine Nuovo. Dopo la dichiarazione d’incompetenza della magistratura di Treviso, l’inchiesta a carico di Pino Rauti sarà trasferita a Milano. In favore di Rauti, interverrà proprio il direttore de “Il Tempo”, Renato Angiolillo, ed alcuni redattori dello stesso giornale (così, Gianni Flamini, «Il partito del golpe», 1971/1973, pagina 217).

Ma ci sono anche il mensile “Lotta Europea”, diretto da Luciano Buonocore, il periodico “La Fenice” di Giancarlo Rognoni, il mensile “Generazione” di Antonio Fante, costituito dalla cooperativa X Giugno (data dell’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale), il mensile “Savoia”, il mensile «L’Assalto» di Avanguardia Nazionale di Brescia, diretto da Franco Frutti e “L’Ultima Crociata”, mensile triestino diretto da Ida De Vecchi, organo dell’ Associazione famiglie caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana.

Nel 1972, ad esempio, anno cruciale nella strategia della tensione, era attiva anche l’agenzia di stampa almirantiana “Destra nazionale”, con il suo mensile “Lotta Europea”, diretto da Guido Giannettini. E poi, i camerati milanesi del gruppo “La Fenice”, che, ci mancherebbe, si schierano a difesa dell’arrestato Pino Rauti.


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Sono gli anni della destra radicale (Fronte Nazionale, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Europa Civiltà, Ordine Nuovo). In particolare, il Fronte Nazionale è quello fondato da Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas e organizzatore del fallito golpe chiamato “notte di Tora Tora” (notte tra 7 e 8 dicembre 1970).

Ancora, ad esempio, il Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, cerca disperatamente di collegare Feltrinelli alla strage di Piazza Fontana, e diffonde, in occasione delle elezioni politiche del maggio 1972, un volantino che recita:

Dicembre 1969 Piazza Fontana, marzo 1972 Feltrinelli. Chi di bombe colpisce di bombe perisce.

Insomma, sembra tristemente che gli anni Settanta siano più vicini di quanto dica il calendario.

Autore: Gianni Bosi, triestino, figlio di profughi istriani, è professore ordinario di Matematica applicata alle scienze economiche presso l’Università degli studi di Trieste. Autore di quasi un centinaio di pubblicazioni scientifiche di rilievo internazionale riguardanti le applicazioni della matematica alla teoria delle decisioni ed alle scienze sociali, è titolare di incarichi presso il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica.  


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