La democrazia sostituisce l’elezione da parte di molti incompetenti alla nomina di pochi corrotti. (George Bernard Shaw)

Io rispetto troppo la democrazia per rischiare di rovinarla votando. (Roland Topor)

La propaganda è in democrazia quello che il randello è in uno stato totalitario. (Noam Chomsky)

Una candidatura per far scarcerare una persona è qualcosa che non appartiene alla democrazia. (Ignazio La Russa, Presidente del Senato)

 

 

 

«Cuoco! Che bella parola» esclama Totò (Miseria e nobiltà, 1954, M. Mattoli), parafrasando potremmo ripetere: «Democrazia! Che bella parola», anch’essa nata dalla miseria dei popoli mostrata alla nobiltà di chi se la può permettere imponendola. Travisamento, commedia auto-referenziale fino alla sua etimologia: il demos. Riferirsi a Pericle o al mondo antico, oggi fa ridere come la battuta di Totò. Anche la sua origine illuminista di Jean-Jacques Rousseau: “La democrazia esiste laddove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi”, oggi rappresenta un anacoluto rispetto alla distribuzione della ricchezza nel mondo, una parola morta e sepolta da tempo. Allora ha forse ragione Sandro Pertini quando in una sua esternazione disse che Quando parliamo di democrazia siamo tutti in malafede. Democrazia significa governo del popolo, ma se governasse il popolo non governeremmo noi. Lo facciamo perché il governo è più facile dell’autogestione, più comodo. Oppure Luigi Pintor: Totalitarismo e democrazia sono due parole senza qualità. Avrebbero bisogno di molti aggettivi per l’appunto qualificativi. Un dispotismo può essere illuminato e una democrazia putrefatta e non è semplice districarsi tra queste antinomie.

Nel 2004 uscì per Marsilio il libro di Massimo Fini “Sudditi. Manifesto contro la democrazia”, sembrava estremamente provocatorio rispetto a quanto la politologia andava sostenendo, cioè la necessità dell’esportazione della democrazia nel sud-est del mondo, dividendo il pianeta tra stati democratici e stati autoritari. Eppure, in sintesi anticipava lo stato delle cose forse di oggi in modo efficace: Nessuna democrazia rappresentativa è una democrazia, ma un sistema di minoranze organizzate che prevalgono sulla maggioranza dei cittadini singolarmente presi, soffocandoli, limitandone gravemente la libertà e tenendoli in condizione di minorità.

Viene in mente la fiaba liberal, di cui Winston Churchill è forse il narratore più citato, “La peggior forma di governo possibile a eccezione di tutte le altre” (detto con un sospiro, tra il compiaciuto e l’afflitto, sostenendo che “Il miglior argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio”), a cui viene aggiunta spesso la giustificazione che si tratta di “accettare una dose sopportabile di ingiustizia per evitare ingiustizie maggiori”…

Così, fra i rischi congeniti dell’ordinamento democratico, si segnalano:

  1. a) il timore della “dittatura della maggioranza”;
  2. b) l’opposto paradosso del “governo della minoranza”;
  3. c) il respiro temporale corto;
  4. d) la corruzione.

Ne consegue la necessità di “limiti alla democrazia”, come a tutte le forme di potere con pretese di sovranità in nome o nel nome del popolo, una categoria astratta. Ora i maggiori rischi che la democrazia corre sono:

  1. a) il paternalismo (eccesso di difesa dai suoi nemici);
  2. b) il populismo (la manipolazione del consenso);
  3. c) la mera apparenza di istituzioni democratiche (per la prevalenza dei poteri forti economico-finanziari, e informativi, internazionali).

Tutti elementi evidenti oggi in quasi tutti i paesi democratici: dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Germania all’Italia ecc.

Per Jason Brennan (“Contro la democrazia”, Luiss 2016), la Brexit, la crisi di cultura e competenza, gli estremisti ai vertici dei governi, gli assalti ai palazzi del potere potrebbero non essere storture, bensì i sintomi inevitabili della vera natura della democrazia che somiglia, non tanto al luogo di un civile e ragionato dibattito, quanto al regno di dell’irrazionalità e dell’ignoranza: molti elettori compiono le loro scelte sulla base dell’emozione o del pregiudizio, non conoscendo, neanche in numerosi casi documentati, la forma di governo vigente o addirittura i nomi dei leader in carica. Talvolta la partecipazione politica tende a rendere le persone peggiori: più irrazionali, arrabbiate e cariche di pregiudizi.

Pierre Rosanvallon (“Controdemocrazia: la politica nell’età della sfiducia”, Castelvecchi 2012) evidenzia come l’erosione della fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni democratiche sia il grande problema politico del nostro tempo. Alla diffusa litania sul disamore democratico, lo studioso francese contrappone una concezione e una funzione positiva della sfiducia: la controdemocrazia, una modalità di partecipazione che non è il contrario ma piuttosto il completamento della democrazia, attraverso la quale la società civile sorveglia e stimola le istituzioni. Una democrazia della sfiducia organizzata che si confronta con quella della legittimità elettorale. La controdemocrazia diventa parte integrante delle istituzioni e, attraverso una continua sorveglianza e correzione, ne prolunga ed estende l’efficacia, ma siamo in regno vicino all’Utopia o a quelli immaginati da Swift nei viaggi di Gulliver.

Così ho interrogato chat GPT 4.0 A. I. “sui difetti della democrazia”, ecco cosa mi ha scritto:

La democrazia, pur essendo un sistema di governo molto apprezzato per i suoi principi di partecipazione e rappresentanza del popolo, non è esente da difetti e critiche. Ecco alcuni dei difetti principali della democrazia:

  1. Tirannia della maggioranza: In una democrazia la decisione della maggioranza regna sovrana, il che potrebbe portare a una tirannia della maggioranza in cui le minoranze vengono ignorate o oppresse
  2. Populismo e demagogia: L’uso scorretto della retorica e la manipolazione delle emozioni possono portare a decisioni politiche basate sull’applauso momentaneo anziché sulla razionalità e sul bene comune.
  3. Inefficienza e lentezza: I processi democratici possono essere lenti e complessi, rendendo difficile l’adozione tempestiva di decisioni importanti, specialmente in situazioni di emergenza.
  4. Corruzione e clientelismo: In molti sistemi democratici, vi è il rischio di corruzione e clientelismo, con alcuni politici che agiscono per il proprio interesse anziché per il bene pubblico.
  5. Iniquità e disuguaglianze: Nonostante il principio di uguaglianza, la democrazia potrebbe non essere in grado di ridurre efficacemente le disuguaglianze economiche e sociali, lasciando spazio a disparità e ingiustizie.
  6. Manipolazione mediatica: I media possono influenzare pesantemente l’opinione pubblica e le elezioni, portando a una distorsione della realtà e a decisioni politiche non informate.
  7. Decisioni short sighted: Gli interessi a breve termine potrebbero prevalere su quelli a lungo termine, con politici che puntano alla rielezione anziché a decisioni che garantiscano il benessere delle future generazioni.
  8. Scarsa partecipazione e apatia: In molte democrazie vi è una bassa partecipazione politica e un diffuso disinteresse per la politica, minando il principio fondamentale della partecipazione popolare.

Se ci arriva una macchina, peggio, una app sul cellulare, possibile che non lo capiscano “il demos” cioè gli elettori? Allora chi rappresenta chi? Si sono già affacciati nell’oligarchia del mondo… i nuovi Pisistrato. Possibile non accorgesene?


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