Le ultime elezioni europee hanno visto la vittoria del Rassemblement National (RN) in Francia, dell’Alternativa per la Germania (AfD) in Germania, del Partito della Libertà dell’Austria (FPÖ) e persino di Fratelli d’Italia (FdI), il partito di Giorgia Meloni, che ha superato di quasi tre punti il punteggio ottenuto alle elezioni legislative del settembre 2022. I voti che sono stati espressi non possono essere visti come semplici incidenti di percorso, ma come indicativi di una profonda trasformazione del paesaggio e dell’immaginario politico e culturale europeo, in un contesto di crisi sociale, emergenza ambientale, guerra e disperazione.
In mezzo a tutto questo, con Emmanuel Macron che ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale francese, tutti gli occhi sono puntati sull’Italia di Giorgia Meloni che, secondo lei, è ora l’unico Paese politicamente stabile tra le principali potenze europee; Il partito della Meloni ha perso quasi il 10% dei voti dalle elezioni generali del 2022, scendendo da 7,4 milioni a 6,7 milioni in un contesto di alti tassi di astensione, ed è il primo partito leader nelle elezioni europee da quasi 30 anni a scendere sotto la soglia del 30% (il Partito Democratico (PD) di Matteo Renzi ha ottenuto oltre il 40% dei voti nel 2014 e la Lega di Matteo Salvini ha ottenuto oltre il 34% nel 2019).
L’Italia della Meloni viene sempre più spesso additata come esempio da seguire da un’ampia fetta della stampa francese di destra, che chiede una ‘melonizzazione’ del Rassemblement national. Dopotutto, la ‘Regina Meloni’, come l’ha soprannominata il Corriere della Sera, non è forse l’unica a sfoggiare un ampio sorriso in occasione di una riunione del G7 di leader indeboliti, cogliendo l’occasione per chiedere che “il peso dell’Italia sia finalmente riconosciuto”? E tanto peggio se l’aborto libero e i diritti delle persone LGBTIQ+ scomparissero dalla risoluzione finale del G7. L’Italia della Meloni, a cui aspira una parte della destra padronale in Francia, è una fusione tra un blocco borghese in decomposizione e un blocco nazionalista con radici neofasciste.
Tuttavia, da quando è stato inventato da Silvio Berlusconi nel 1994, il rapporto tra le sue componenti si è invertito a vantaggio di queste ultime. Il loro cemento ideologico: il rifiuto dell’uguaglianza in tutte le sue forme e la lotta contro una sinistra popolare e coerente, definita come il nemico principale. Questo ‘nuovo’ volto dell’Europa, che potrebbe concretizzarsi a livello europeo in un’alleanza strutturale tra i due gruppi parlamentari che riuniscono l’estrema destra, non potrebbe essere compreso senza la sua pretesa di egemonia culturale e politica, che tende a imporre la sua narrativa e la sua grammatica su un campo di rovina. La sua ultima vittima in Italia non è altro che Giacomo Matteotti, icona e martire dell’antifascismo italiano.
“Abbasso il governo degli assassini”
Il 30 maggio, il Parlamento italiano ha commemorato il centenario dell’ultimo discorso pronunciato nella sua aula dal leader del Partito di Unità Socialista (PSU), Giacomo Matteotti, nel 1924. Dieci giorni dopo, fu rapito a Roma e brutalmente assassinato dal regime fascista. Ironia della sorte, la memoria di questo coraggioso socialista, questo instancabile attivista antifascista, doveva essere lasciata nelle mani del governo di coloro che oggi sono più legati alla storia dei suoi assassini. Un affronto insopportabile a ciò per cui ha lottato, un odioso rovesciamento di ciò per cui è morto.
Le immagini dell’evento fanno sollevare qualche sopracciglio alla vista di Ignazio La Russa, fiero collezionista di busti del Duce, o di Lorenzo Fontana, portavoce del fondamentalismo cristiano omofobo e razzista, che nel 2016 ha salutato i suoi amici di Alba Dorata. Come ciliegina sulla torta, il ruolo di cerimoniere è stato affidato a Bruno Vespa, responsabile del programma RAI Porta a Porta ed ex tirapiedi di Silvio Berlusconi e delle sue operazioni politiche. Per quanto riguarda Giorgia Meloni, ha rilasciato una breve dichiarazione concordata in cui, come spesso accade, ciò che non è stato detto ha parlato molto.
Ha annunciato di voler commemorare “un uomo libero e coraggioso”, dimenticando che era un socialista e antifascista che era stato “ucciso da squadristi fascisti per le sue idee”, sottintendendo che Matteotti era stato ucciso da alcune teste calde che facevano parte dei gruppi di combattimento, per cui non aveva nulla a che fare con l’ideologia fascista, Mussolini o il suo regime. In realtà, le sue posizioni non sono molto lontane dalla lettura della storiografia neofascista, che è stata sottolineata durante la stessa cerimonia dallo storico Emilio Gentile, invitato come esperto per l’occasione: “A cento anni di distanza, sappiamo chi fu il responsabile dell’omicidio di Giacomo Matteotti, chi lo ordinò e perché. Alcuni dubitano ancora che sia stato Mussolini a volere la morte del deputato socialista. Ma non c’è dubbio che lo stesso Mussolini, in questa stessa stanza, il 3 gennaio 1925, si assunse con orgoglio la responsabilità di tutti i crimini e i misfatti commessi dal fascismo”. Un discorso che Giorgia Meloni e Ignazio La Russa hanno ascoltato distrattamente.
La Presidente del Consiglio ha concluso la sua nota con una polemica contro la Sinistra, che ha accusato di arrogarsi il diritto “di stabilire ciò che è lecito dire e pensare e ciò che non lo è”, usando la memoria di Matteotti contro gli stessi valori che difendeva. Una polemica che sembra essere sostenuta dalle posizioni assunte dal leader del PSU nei confronti dei comunisti italiani all’inizio degli anni Venti, citate da Emilio Gentile, fuori da ogni contesto sulle controversie all’interno della configurazione antifascista e sulle alleanze da creare per combattere il fascismo quando questo sarebbe salito al potere.
Quanto all’ex Presidente della Camera Luciano Violante, deputato del Partito Democratico che, quasi 30 anni fa, aveva invocato la “riconciliazione nazionale”, nella stessa cerimonia ha evocato i parallelismi tra Mussolini e Lenin, il fascismo e il bolscevismo e le “violenze commesse anche dagli antifascisti”, sotto lo sguardo soddisfatto di Giorgia Meloni. In effetti, mettendo sullo stesso piano carnefici e vittime, oppressi e oppressori, fascisti e antifascisti. Eppure fu Antonio Gramsci, che fu presto arrestato dal regime fascista e morì a causa della sua lunga prigionia, a identificare più chiaramente i colpevoli dell’omicidio di Matteotti: “Abbasso il governo degli assassini”, scrisse su L’Unità il 21 giugno 1924.
Il sangue di Matteotti
Per chiudere i conti, Lorenzo Fontana annunciò, tra gli applausi scroscianti di tutti i presenti (compreso l’ex leader di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, invitato in qualità di ex Presidente della Camera), la decisione che “a perenne ricordo del suo sacrificio, il seggio parlamentare che Matteotti occupava non sarebbe più stato assegnato a nessuno”. Un modo simbolico per affermare che non c’è più bisogno di uccidere Giacomo Matteotti, perché il suo seggio è ora vuoto e la voce di un antifascista non si sentirà più da questo spazio.
Alla commemorazione del 30 maggio, l’attore Alessandro Preziosi è stato l’ultimo a parlare da questo seggio, interpretando estratti dell’ultimo discorso di Matteotti; un discorso che era stato interrotto da un passaggio essenziale: “C’è una milizia armata… (Interruzioni da destra) che ha questo obiettivo fondamentale e dichiarato: sostenere un determinato capo di governo […]. (Interruzioni e rumori da destra) C’è una milizia armata, composta da cittadini di un unico partito, la cui missione dichiarata è quella di sostenere con la forza un determinato governo, anche in assenza di consenso (Commenti)”[1] Il sangue di Matteotti, che la socialdemocrazia avrebbe dovuto custodire, come sottolineò Leon Trotsky dopo il delitto, non sembra più irrigarla; accetta la riconciliazione memoriale e il ricordo consensuale. L’omicidio di Giacomo Matteotti è un ‘caso chiuso’ una volta per tutte.
Dodici giorni dopo, tuttavia, i deputati di Lega e Fratelli d’Italia hanno preso a calci e pugni Leonardo Donno, deputato del Movimento 5 Stelle (M5S), che stava per consegnare al Ministro Roberto Calderoli la bandiera italiana per protestare contro la sua legge sull’autonomia differenziata (la famosa secessione dei ricchi). Protagonisti in questo caso: Igor Iezzi (Lega) vicino al gruppo neonazista Lealtà Azione; Federico Mollicone (FdI), ex deputato del Movimento Sociale Italiano (MSI), omofobo che si è distinto per aver chiesto la censura del cartone animato Peppa Pig che mostrava una coppia omosessuale con un bambino, negatore della matrice neofascista dell’attentato terroristico alla stazione di Bologna nel 1980; Vincenzo Amich (FdI), ex paracadutista della Folgore con una maglietta e un tatuaggio che invocano la 10ª Mas (truppe fasciste della Repubblica di Salò, responsabili di torture, massacri e deportazioni durante la Seconda Guerra Mondiale); Gerolamo Cangiano (FdI), che ha utilizzato lo slogan fascista “Me ne frego” (“Me ne frego”) nella sua campagna per le elezioni del 2022.
Mentre una parte della stampa francese rassicura l’opinione pubblica sul governo di Giorgia Meloni, lodandone il “pragmatismo”, sembra che gli eletti dell’estrema destra italiana non abbiano rotto con le loro radici neofasciste. La stessa Giorgia Meloni non ha forse giustificato quanto accaduto alla Camera facendo riferimento a una “provocazione” del deputato Leonardo Donno? Matteotti non era stato definito un provocatore anche da Mussolini, dopo quello che sarebbe stato il suo ultimo discorso al Parlamento il 30 maggio 1924? Dopo questo discorso, si dice che il leader del PSU abbia detto a uno dei suoi compagni di partito: “Ho fatto il mio discorso, ora prepara il mio discorso funebre.”
Leggere Stéfanie Prezioso in acro-polis.it
Una lotta per il futuro
Il filosofo Daniel Bensaïd ha scritto in La Discordance des temps che il ruolo dello storico è quello di “scagliare la freccia del presente nel cuore dell’evento per liberare i suoi possibili prigionieri”[2]. È questo ruolo che l’estrema destra, alleata con la destra, ha attaccato con maggior vigore. Da oltre 40 anni, la memoria e la storia, soprattutto quelle cariche di valori da investire nel presente, sono state costruite come ingombranti e fuorvianti. Finora, la distruzione di ciò che ci lega alle lotte delle generazioni precedenti e ai loro significati è stata sostenuta da una serie di dispositivi mediatici che hanno contribuito e continuano a contribuire alla formazione di memorie collettive. Ma riflette anche l’incertezza e la precarietà del nostro rapporto con il mondo e il disordine politico e culturale delle classi lavoratrici. Eppure, il timore che rievocare la memoria dei vinti diventi una forza con cui fare i conti rimane molto presente nella mente di coloro che si sono prefissati di conquistare l’egemonia politica e culturale.
Come comprendere altrimenti la censura del monologo dello scrittore italiano Antonio Scurati, autore di M., che doveva essere trasmesso dalla RAI il 25 aprile (anniversario dell’insurrezione generale indetta dal Comitato di Liberazione Nazionale nel 1945): “Erano in cinque ad attenderlo, tutti squadristi di Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo parlamentare ancora apertamente contrario alla dittatura fascista, fu rapito nel centro di Roma, in pieno giorno. Ha lottato fino alla fine, come aveva fatto per tutta la vita. Lo accoltellarono a morte, poi smembrarono il suo corpo. Lo hanno piegato e gettato in una fossa mal scavata con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre al crimine, era colpevole dell’infamia di aver giurato alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del Fascismo teneva le carte insanguinate della vittima nel cassetto della sua scrivania”, ha iniziato il discorso censurato di Scurati.
E ha proseguito parlando delle attuali responsabilità del Governo di Giorgia Meloni: “Dopo aver evitato l’argomento durante la campagna elettorale, il Presidente del Consiglio, quando è stato costretto ad affrontarlo in occasione di anniversari storici, si è ostinato a mantenere la linea ideologica delle sue radici neofasciste: ha preso le distanze dagli indifendibili atti di crudeltà perpetrati dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare l’esperienza fascista nel suo complesso, ha attribuito la colpa dei massacri compiuti con la complicità dei fascisti della Repubblica di Salò unicamente ai nazisti, e infine ha negato il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (al punto di non pronunciare mai la parola ‘antifascismo’ in occasione del 25 aprile 2023). ”
Senza pensare al passato, è impossibile concepire il futuro. In Italia, l’elezione al Parlamento europeo di Ilaria Salis, precedentemente detenuta nelle carceri ungheresi di Viktor Orban per le sue attività antifasciste, e di Mimmo Luccano, sindaco di Riace, soprannominato il ‘sindaco accogliente’ e per questo perseguitato dall’estrema destra italiana, è un raggio di speranza. La guerra della memoria non è persa e la memoria degli oppressi può ancora essere investita nel presente. Il recente appello alla formazione di un Nuovo Fronte Popolare in Francia, e l’urgenza con cui questa proposta è stata accolta, lo dimostrano. Fa parte di ciò che l’immaginario collettivo ha conservato del Fronte Popolare del 1936: un movimento popolare che chiede l’unità contro il fascismo. Ricordare gli sconfitti e lottare attivamente contro il nemico comune è stato il primo passo che centinaia di migliaia di persone in tutta la Francia hanno compiuto il 15 giugno.
Note
[1] “Tornata di venerdì 30 maggio 1924”, Atti parlamentari. Legislatura XXVII, 1 sessione, Discussioni, Camera dei deputati , p. 58.
[2] Daniel Bensaïd, La discordanza dei tempi. Saggio sulle crisi, le classi, la storia , Les Éditions de la Passion, 1995, p. 273.
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Autrice: Stéfanie Prezioso ha un dottorato in letteratura (indirizzo storia). È professoressa presso la Facoltà di scienze sociali e politiche dell’Università di Losanna. Il suo lavoro si concentra principalmente sul fascismo e l’antifascismo, sulla generazione del 1914, sulla questione dell’esilio politico, sull’immigrazione italiana e sui problemi storiografici relativi all’appropriazione della memoria storica (uso pubblico del racconto).
Fonte: AOCMedia
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