I. Il nome. La Xª Flottiglia MAS (Motoscafi Armati Siluranti).
II. Le origini. Risalgono alla Prima Guerra Mondiale, quando la Regia Marina iniziò a sviluppare tecniche e tattiche per attacchi con mezzi navali leggeri e agili. MAS 9 e MAS 13 la notte tra il 10-11 febbraio del 1918 attaccarono un naviglio austriaco (senza fare danni o quasi) si trattò di un’azione di propaganda per risollevare il morale dopo la disfatta di Caporetto. D’annunzio, sommo poeta soldato, non vi partecipò se non con un volantino lasciato dentro tre bottiglie adornate col tricolore e abbandonate nei pressi di una boa del porto di Bucari. Coniò però il termine la “Beffa di Bucari”. Ecco cosa aveva scritto di suo pugno: “In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia”. L’esperienza accumulata fu utilizzata negli anni Trenta per creare una forza specializzata nei mezzi d’assalto marittimi, capace di operare con esplosivi non convenzionali.
III. Le imprese durante la Seconda guerra mondiale. La Xª MAS divenne famosa per le sue audaci operazioni contro la Marina britannica nel Mediterraneo. Le sue missioni erano condotte utilizzando mezzi quali i barchini esplosivi (piccole barche imbottite di esplosivo e pilotate verso obiettivi nemici), i “maiali” o Siluri a Lenta Corsa (SLC), progettati per attaccare le navi nemiche nei porti guidati da uno o due uomini. Una delle operazioni più celebri fu l’attacco al porto di Alessandria d’Egitto nel dicembre 1941. Sei operatori, usando SLC, riuscirono a penetrare nel porto e a danneggiare gravemente le corazzate britanniche HMS Queen Elizabeth e HMS Valiant, oltre a una petroliera e un cacciatorpediniere. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia si trovò con la Marina divisa tra le forze che continuavano a combattere al fianco delle forze Naziste e quelle che si schierarono con gli Alleati. Gran parte della Xª MAS abbracciò Repubblica Sociale Italiana guidata dal capitano di fregata Junio Valerio Borghese, che la trasformò in una forza combinata di marina e fanteria, impiegata in prevalenza in operazioni di terra al fianco dei tedeschi, in particolare contro i partigiani italiani. Dall’8 settembre la marina italiana che non si arrese fu colpita dai tedeschi e vide affondare: la corazzata Roma il 9 settembre 1943 con 1393 morti e 622 sopravvissuti; i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, T8, Quintino Sella, Giuseppe Sirtori, Francesco Stocco, Enrico Cosenz; le cannoniere Aurora e Sebastiano Caboto; il sommergibile Topazio, l’incrociatore Piero Foscari, tutti navigli affondati dai tedeschi. Ma senza dimenticare Cefalonia. Sull’isola di Cefalonia gli 11.500 soldati e ufficiali della Divisione Acqui giunti nell’aprile 1941, dopo aver perso un quarto dei propri effettivi contro i greci, si trovano dopo l’8 settembre davanti all’ultimatum tedesco che gli imponeva la resa, ma scelsero di resistere combattendo. Il reparto comandato dal generale Gandin venne esposto a una spietata rappresaglia: i tedeschi stroncarono duramente ogni difesa degli italiani dove ne morirono 3.000. Così il 22 settembre il generale Gandin si arrende. Hitler in persona, ordina che i soldati italiani siano considerati come traditori e perciò fucilati. I rastrellamenti e le fucilazioni si fermano solo il 28 settembre non risparmiando neanche il generale Gandin. La Wehrmacht procede alla fucilazione dei prigionieri, assassinando circa 5.000 militari oltre a più di cento ufficiali. La tragedia della divisione Acqui non finisce: delle prime quattro navi partite dall’isola con i prigionieri italiani, tre vengono affondate, causando più di 1.300 morti. Il resto dei sopravvissuti, circa 6.500, iniziano un viaggio di più di un mese verso i campi di concentramento dell’Europa dell’Est per espresso ordine del generale tedesco Lanz.
IV. Il reclutamento. La propaganda per l’arruolamento si compie con accattivanti manifesti murali, anche disegnati da Boccasile, con giovani vigorosi dallo sguardo imperioso, ottimamente equipaggiati e armati, animati dal desiderio di battersi per la patria. Si accolgono anche le donne, inquadrate nel Servizio ausiliario femminile. Si promettono lauti ingaggi, ben superiori alla paga corrisposta da Esercito e Guardia Nazionale Repubblicana. Il regolamento prevede promozioni unicamente per merito di guerra e severe punizioni per le infrazioni all’onore militare. In generale l’uniforme era quella dei paracadutisti, a parte qualche eccezione, ed il copricapo quello della Marina nelle sue varie versioni. Le mostrine quelle della fanteria di marina, pentagonali e rosse, col Leone di San Marco della RSI, cioè con il libro chiuso e la scritta “Iterum rudit Leo” e la stelletta fino al marzo 1944, poi sostituita col gladio. Dopo il luglio 1944 il colore delle mostrine di fanteria fu cambiato da rosso a blu per distinguere i fanti della “Decima” da quelli della “San Marco” (3a Divisione Fanteria di Marina della RSI, istituita ufficialmente nel marzo 1944, ufficiosamente il 26/11/1943 e sciolta il 30/4/1945). Il personale dei reparti adibiti a mezzi navali di superficie e subacquei portava mostrine bianche con l’ancora al posto del leone in giallo/arancio o blu, cioè rispettivamente le mostrine dell’artiglieria e quelle di reparti speciali senza una Per quanto riguarda i distintivi da portare sulla giubba, se ne variavano da battaglione a battaglione. Degno di nota il caso del “Barbarigo” che aveva due distintivi: uno con la scritta “Fronte di Nettuno” per i veterani di quella campagna, un altro, privo della scritta per i successivi arruolati. Aveva già un proprio sevizio ausiliario femminile di 300 unità, anticipando il Corpo Femminile Volontario per i Servizi Ausiliari delle Forze Armate Repubblicane, meglio noto come Servizio Ausiliario Femminile (SAF) composto da 6.000 donne: morirono in 25, nei 600 giorni della Repubblica di Salò.
V. La struttura. Comando Divisionale – 1° Reggimento Fanteria, composto da: Battaglione “Lupo”, Battaglione “Barbarigo”, Battaglione “Nuotatori Paracadutisti”.- 2° Reggimento Fanteria, composto da: Battaglione “Fulmine” Battaglione “Sagittario”, Battaglione “Valanga” (Guastatori Alpini). – 3° Reggimento Artiglieria: Gruppo “San Giorgio”, Gruppo “Da Giussano”, Gruppo “Colleoni”, ciascuno formato da un Comando, una batteria da 4 pezzi da 105/28, una batteria da 100/22 ed una da 20 antiaerea. Il battaglione “Freccia” (Genio) era inoltre a disposizione del comando. Fin dalla primavera del 1944 alcuni reparti della Xª MAS furono inviati nella Venezia Giulia: il Battaglione “San Giusto”, a Trieste; la Compagnia poi Battaglione “Gabriele D’Annunzio” a Fiume; la Compagnia “Nazario Sauro”, a Pola. Visto l’aggravarsi della situazione nella Venezia Giulia, fu trasferita quasi interamente nella regione, dove rimase dall’ottobre 1944 al gennaio 1945, con sede a Gorizia. Successivamente il comando ed un reggimento di fanteria furono di stanza a Thiene, mentre il resto della divisione fu trasferito al fronte sud, dove un gruppo di combattimento – tre battaglioni di fanteria, un gruppo di artiglieria e un battaglione del genio – furono impiegati nella zona di Senio-Comacchio. Esistevano altre unità della Xª: il Battaglione “Scirè”, era composto dai sommergibilisti. Il Battaglione “Serenissima”, dislocato a Venezia. Il Battaglione “Risoluti”, a Genova. Il Battaglione “Vega”, a Montorfano, composto da artificieri e sabotatori. Il Battaglione “Castagnacci”, il Gruppo “Ardimento. Il Gruppo “Gamma”, la scuola di sommozzatori. Il Gruppo “Metal uno”, a San Remo, base dei barchini d’assalto. Il Reparto “Moccagatta” e il Reparto “Todaro”, con mezzi d’assalto di superficie. La Base “Est” a Brioni con sommergibili CA e CB. A Portofino in un primo tempo, e poi a Portorose, la sede della Scuola Sommozzatori; a Sesto la Scuola piloti dei mezzi d’assalto; a La Spezia e Venezia le due Scuole per i Siluri Umani; a Lido di Camaiore prima e successivamente a Porto Portese, la Scuola di Ardimento, che consisteva in un corso preparatorio per i giovani volontari dei mezzi d’assalto; a Valdagno la sede la Scuola “Gamma”. Una base operativa fu stabilita a Fiumicino contro i convogli alleati che alimentavano la testa di ponte di Anzio. Mezzi navali di superficie e subacquei operarono nell’Adriatico dalle basi di Venezia e dell’isola di Brioni. La forza si aggirava sui diecimila uomini, per i quattro quinti di età inferiore ai 25 anni.
VI. Il battesimo del fuoco e gli ufficiali. il Battaglione «Barbarigo» si posiziona nel marzo 1944 sul fronte di Anzio, lasciando sul terreno circa mezzo migliaio di uomini, pari alla metà degli organici. Il Battaglione «Lupo» si trincera a metà dicembre 1944 per tre mesi sul fiume Senio, in difesa del Ravennate. Eugenio Wolk che nel giugno del 1940 aveva creata la Scuola sommozzatori, fu messo al comando del Gruppo Gamma. Finirà nel campo di prigionia di Venezia Lido, ma nel giugno del 1945 Lionel Crabb ufficiale dei sommozzatori della Royal Navy gli propone con i suoi uomini rana allo sminamento del porto di Venezia e al recupero dei navigli affondati. Accetta e nel 1946 partì per l’Argentina con la famiglia dove istituì una scuola per palombari-sommozzatori. Luigi Ferraro, vicecomandante del Gruppo Gamma, condusse quattro azioni di sabotaggio contro i mercantili nemici, nei porti di Alessandretta e di Mersina. Inizialmente decorato di quattro medaglie d’argento al valore militare, convertite nel dopoguerra in una medaglia d’oro. «La causa della Repubblica Sociale per me rappresentava l’impegno d’onore alla parola data. Battersi per essa significava difendere la Patria dal nemico angloamericano e dallo stesso alleato germanico, che dopo l’8 settembre aveva troppi pretesti per non comportarsi più come tale. Battersi per gli angloamericani voleva dire scegliere il campo del più forte. Infatti, ormai sconfitto, attese l’arrivo degli anglo-americani in caserma che però non arrivarono. Il 26 aprile 1945 fu contattato dal locale CLN affinché il Gruppo Gamma collaborasse per impedire che una colonna tedesca in ritirata facesse saltare Il Lanificio Marzotto. L’ufficiale tedesco si dichiarò disposto a rinunciare alla rappresaglia in cambio del libero passaggio, così Ferraro si recò “in divisa della “Decima” a trattare con i partigiani l’accordo preso con i tedeschi. Nel dopoguerra si occupò di recupero di relitti e di istituire una scuola sommozzatori all’Isola d’Elba. Il 13 agosto, a Borgo Ticino (Novara), un ufficiale germanico ordina al tenente di vascello della Xª Ongarillo Ungarelli – stretto collaboratore di Borghese – di fucilare tre civili per ognuno dei quattro tedeschi feriti in un’imboscata: vengono così passati per le armi 12 ostaggi, con un tredicesimo aggiunto dall’ufficiale. Vengono pure incendiate una cinquantina di abitazioni. Ancora in provincia di Treviso, nel comune di Cordignano, il 14 febbraio 1945 sono fucilati sei ostaggi per vendicare la cattura del sergente Guido Marini (mai più ritrovato). Pressato dal vescovo di Vittorio Veneto per evitare ritorsioni, il capitano Nino Buttazzoni, comandante del Battaglione «NP» (nuotatori e paracadutisti), pronuncia davanti al segretario del vescovo un’imprecazione rivelatrice del suo stato d’animo: «Li ucciderò tutti! Poi uccideranno anche me, così andremo tutti all’inferno!» (arrestato dopo un biennio di latitanza, nel luglio 1949 Buttazzoni verrà condannato dalla Corte d’assise di Treviso a 21 anni; prosciolto il 20 settembre 1950 dalla Corte d’assise di Ascoli Piceno, scriverà memoriali autobiografici: al suo decesso, nel 2009, sarà celebrato dai neofascisti come eroe. Umberto Bertozzi capo del Servizio informazioni dell’Ufficio “I”della Xª MAS, con un organico di 20-30 uomini con compiti investigativi per la raccolta informazioni indirizzata all’identificazioni dei partigiani, si dimostrò particolarmente spietato. il 17 marzo 1944 a Valmozzola in provincia di Parma fa fucilare per rappresaglia 7 partigiani catturati in uno scontro con i nazifascisti e due disertori russi che si erano uniti alle forze partigiane. Il 13 giugno del 1944 a Forno, in Versilia, i tedeschi, supportati dai reparti della Xª MAS, occuparono il paese. Bertozzi e i suoi uomini si distinsero per crudeltà e accanimento unitamente a reparti della 135ª Festung Brigade tedesca, con l’uccisione di 68 persone, in maggioranza i civili del paese. 51 civili scelti da Bertozzi furono avviati nei campi di concentramento in Germania, 10 morirono bruciati nella locale caserma dei carabinieri, 8 rimasero uccisi durante l’operazione di assalto al paese, 54 i fucilati. A Luglio assunse il comando della neocostituita Compagnia “O” (Compagnia operativa) con un organico di 120 uomini attuò numerosi rastrellamenti, arresti, esecuzioni e eccidi e stragi presso la popolazione civile; specializzato in tortura strappando unghie e incidendo la X della Decima, sui petti e sulle schiene di donne e uomini catturati prima di farli fucilare. Nel dicembre 1944 il comando della Xª MAS venne trasferito a Milano, anche l’Ufficio “I”. A Milano le azioni di Bertozzi risultarono ancora più violente e crudeli e tristemente famose per i suoi metodi di investigazione, interrogatori e repressione sempre più brutali, tanto da essere definiti anche dai commilitoni “scatti di furore”.. Nella seconda metà di marzo 1945, perfino lo stesso comandante Borghese fu costretto a intervenire perché la brutalità di Bertozzi si rivolgeva anche contro i suoi uomini. Fu arrestato alla fine di marzo del 1945 per volere di Benito Mussolini. Nel primo dopoguerra Bertozzi venne processato dalla Corte d’Assise di Vicenza assieme ai suoi collaboratori Franco Banchieri e Ranunzio Benedetti, condannato con sentenza del 4 giugno 1947 alla pena di morte con fucilazione alla schiena per collaborazionismo e omicidio volontario continuato aggravato dalla crudeltà. La condanna verrà poi commutata in ergastolo nel 1948, pena ridotta a 30 anni nel 1950 e nel 1952 la cassazione decise la revisione del processo con la scarcerazione del condannato in attesa del nuovo processo. Al nuovo processo Bertozzi, presente all’udienza, chiese l’applicazione del beneficio dell’amnistia impropria, che gli fu accordata. Con sentenza del 25/02/1963 la corte di Venezia dichiarò estinti i reati. Ferruccio Buonaprole, ex ufficiale del battaglione “Freccia” della Xª MAS, dichiarò non aver mai capito perché i partigiani che lo prelevarono dal carcere a Liberazione avvenuta non lo avessero fucilato nei giorni della “resa dei conti”. Morì a 59 anni, di cancro al cervello nel milanese. Il comandante del battaglione Tenente di vascello Orrù Giuseppe, a fine conflitto, condannato a morte in contumacia – vivrà clandestino sino all’amnistia, di cui beneficerà il 21 ottobre 1947. Luigi Caracciolo Ufficiale della Xª MAS, imputato di partecipazione ad atti di violenza contro partigiani e civili. Umberto Bardelli, ufficiale, coinvolto in operazioni repressive e violente contro i partigiani. Mario Bordogna ufficiale, tutti saranno amnistiati.
VII. Il capo e fondatore: Junio Valerio Borghese. Il 13 gennaio 1944, quando il comandante della Xª, Junio Valerio Borghese è convocato dal duce, viene disarmato e arrestato nell’anticamera. Gli si rinfacciano propositi d’ammutinamento (un complotto per catturare Mussolini), contatti segreti col nemico ecc. Dopo una dozzina di giorni di reclusione a Brescia, le pressioni di marò e tedeschi gli valgono la liberazione. La vicenda costa il posto a Ferrini, responsabile del teorema accusatorio; il suo sottosegretariato è offerto a Borghese, che però lo rifiuta (verrà assegnato il 14 febbraio al contrammiraglio Giuseppe Sparzani, vicino alla Decima).Riacquistata la libertà, Borghese – previa approvazione dei Comandi germanici – stabilisce il quartier generale in provincia di Brescia, tra Lago d’Iseo e Franciacorta, prendendo il controllo della fabbrica di aerei Caproni. La sua famiglia vive nell’incantevole isoletta lacustre di San Paolo, di proprietà degli industriali Beretta, che riforniscono di armi la Xª. L’8 settembre 1944 – ricorrenza del «tradimento» badogliano – su incarico di Hitler il generale Wolff gli conferisce la Croce di Ferro di I classe, a riconoscimento di un anno di fedele fiancheggiamento. Nel giugno 1944 la Xª viene assoggettata al generale Gustav-Adolf von Zangen. Tessere di riconoscimento bilingui portano un’eloquente avvertenza: «Il titolare appartiene alla Divisione ‘Decima’, alleata alle FF.AA. Germaniche, ed è autorizzato a circolare armato. Tutte le autorità militari e civili italiane e tedesche sono pregate di dargli assistenza in caso di necessità». Tessere di riconoscimento della Decima in italiano e in tedesco. L’antiguerriglia viene condotta secondo le direttive del feldmaresciallo Kesselring e del generale Wolff, con particolare intensità nel Piemonte e contro il partigianato slavo. Misura di carattere preventivo è il prelievo di ostaggi civili; manifesti murali, precisano che «ad essi non sarà fatto alcun male se nessun atto di sabotaggio, attentato alla vita, o delitti in genere saranno compiuti nella zona a carico di uomini o cose appartenenti alla Xª». In caso di sabotaggio, i prigionieri saranno considerati conniventi con i partigiani e fucilati.
Valerio Borghese aveva presentato il 6 ottobre 1943 a Mussolini il progetto di riorganizzazione della Xª Mas, è incoraggiato al riarmo di questa formazione, per puntare a successi campali che consoliderebbero la neocostituita Repubblica Sociale Italiana, quantomeno a livello d’immagine, poiché essa non dispone ancora di forze armate. Ex volontario nel 1937 in Spagna, durante la Seconda guerra mondiale aveva effettuato incursioni di sommergibili nei porti nemici: in tre anni di guerra affondò circa 200 mila tonnellate di naviglio nemico. Colto dall’armistizio nella base di La Spezia, rimase a fianco del Reich, mentre la maggioranza dei suoi marò si congedò e gli altri seguirono il comandante nell’opzione collaborazionista. La flottiglia, riconosciuta dai tedeschi quale unità combattente autonoma nel quadro della strategia operativa della Marina germanica, confluirà formalmente negli organici della Marina repubblicana, per trasformarsi nel maggio 1944 in Divisione Fanteria di Marina Decima, strutturata sui reggimenti «San Marco», «San Giorgio» e «Littorio».
VIII. Il principe nero. Il principe Junio Valerio Borghese era nato nel 1906, da nobile famiglia romana di lontane origini senesi (ultimo ramo Borghese-Torlonia). Nell’album di famiglia, tre cardinali, un Papa e la sorella di Napoleone (Paolina) fra i suoi avi. Il giovane rampollo avviato – come tradizione voleva alla carriera militare – e divenne ufficiale nella Regia Marina. Capitano di corvetta, specialista in armi subacquee, brevetto da palombaro per grandi profondità. Già una significativa esperienza di comando di sommergibili nella guerra civile spagnola. Come Comandante dei sommergibili ottenne, per alcune ardimentose missioni, una medaglia d’oro al Valor Militare quale comandante della Decima Flottiglia M.A.S. (che di medaglie d’oro ne prese ventisei – di cui dieci alla memoria di “eroici italiani” – con l’apprezzamento del “nemico” inglese della Royal Navy. Al fatidico 25 aprile di Milano. Borghese non fugge, non abbandona i suoi 700 uomini nella caserma di piazzale Fiume. Con il Duce e Pavolini con altri gerarchi che stanno mettendosi in viaggio verso Como e il confine, è perfino sprezzante: “Io non scappo, io mi arrendo, ma alla mia maniera” e se ne ritorna in caserma. Alle 15 del pomeriggio del giorno dopo riunisce tutti i suoi uomini, ufficiali e marinai, ed è di poche parole. “La Decima non si arrende, né scappa; smobilita solo”. Fa suonare tre squilli di tromba per onorare i camerati caduti, fa consegnare ai suoi uomini sei mesi di paga, li scioglie dal giuramento e dà il rompete le righe. Dopo si consegna volontariamente. Viene affidato ai comandanti partigiani Sandro Faini (vicecomandante del CLN Alta Italia) e Corrado Bonfantini, comandante della Brigata Matteotti che lo nascondono a Milano fino al 11 maggio come era stato concordato con i servizi segreti USA. Sottratto alla giustizia milanese è scortato a Roma dal capitano Carlo Resio e da James Angleton dei servizi segreti e dall’ammiraglio Wheeler Stone, governatore militare in Italia. Viene ospitato nel campo di concentramento di Cinecittà, poi trasferito al penitenziario di Procida in attesa di giudizio. Dopo essere stato degradato e imprigionato, il processo intentato a Borghese, si concluse il 17 febbraio 1949 con una condanna a dodici anni per “collaborazionismo” senza nessuna colpa grave. Gli fu riconosciuto il suo valoroso passato, le attività svolte per salvaguardare le industrie e i porti del Nord, per la difesa della Venezia Giulia che era stata concordata (questo in pochi lo sapevano) con il Governo del Sud. Gli furono così condonati nove anni. Scarcerato dopo la sentenza per i tre anni trascorsi in carcere, Borghese aderisce al MSI e ne diventa persino presidente onorario nel 1951.
IX. Una guerra si può perdere, “Ma con dignità e lealtà; e allora l’evento storico non incide che materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento hanno invece incidenze morali incalcolabili che possono gravare per secoli sul prestigio di un popolo, per il disprezzo degli alleati traditi, e per l’eguale disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente di accordarsi. Non mi sembra che tali ideali e convincimenti abbiano un’impronta fascista. Appartengono al patrimonio morale di chiunque”. Parole sue, ma ci può essere una rivincita: un colpo di stato grazie al Fronte Nazionale, a insoddisfatti appartenenti all’MSI e ai militari. D’altra parte, lo tentò anche il Generale De Lorenzo nel 1964, per impedire lo spostamento troppo a sinistra della Democrazia Cristiana.
X. TORA TORA in X mosse.
I) Il tentativo di colpo di stato è avvenuto tra il 7 e l’8 dicembre 1970 (in ricordo di Pearl Harbor) organizzato da Junio Valerio Borghese con la collaborazione di Avanguardia Nazionale, di alcuni generali dell’esercito, della P2, e di misteriosi appoggi internazionali, ma poi fu annullato. Venne reso pubblico solo nel 1971 dal quotidiano Paese Sera.
II) Per evitare l’arresto Borghese si rifugia in Spagna dove muore il 26 agosto 1974, senza più rientrare in Italia, benché l’ordine di cattura venisse revocato nel 1973. I processi per il tentato golpe si svolsero nel 1978 (condanna in primo grado), in appello nel 1984 (tutti assolti) in Cassazione nel 1986 che confermò l’assoluzione.
III) L’inchiesta giudiziaria promossa dal SID nel 1971, infatti, giunse ai magistrati depurata di importanti informazioni da parte del ministro della Difesa Giulio Andreotti, così la Commissione Parlamentare d’inchiesta scrisse che «è estremamente probabile che anche gli esiti giudiziari della vicenda sarebbero stati diversi se intense e molteplici non fossero state le condotte di occultamento della verità anche da parte degli apparati».
IV) Il proclama che Borghese aveva scritto di suo pugno e che avrebbe dovuto essere letto a Radio e Televisione dopo il golpe:
Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un’Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell’aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso TRICOLORE, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all’amore: ITALIA, ITALIA, VIVA L’ITALIA!»
V) Nel futuro programma di governo si confermava la lealtà Atlantica agli Stati Uniti, e un “patto mediterraneo” con Spagna, Portogallo e Grecia (governati all’epoca da fascisti), l’apertura di relazioni diplomatiche con gli stati dell’apartheid (Rhodesia e Sudafrica) la richiesta di ingenti prestiti dal Presidente Nixon per far fronte alla crisi economica, in cambio si offriva l’invio di truppe italiane nella guerra del Vietnam.
VI) L’azione: i militanti di Avanguardia Nazionale, guidati da Stefano delle Chiaie, con la complicità dei funzionari, entrarono nel Palazzo del Ministero degli Interno per la distribuzione di armi e munizioni sottratte all’armeria del ministero. Un secondo gruppo di militanti attendeva la consegna delle armi dal tenente dei paracadutisti Sandro Saccucci (che avrebbe dovuto, in seguito, assumere il comando del SID) e dal generale Ugo Ricci. Tra le persone radunate, in parte già in armi, c’erano anche ufficiali dei carabinieri; il loro compito era quello di arrestare gli uomini politici di sinistra. Il generale Casero (Aeronautica militare) e il colonnello Lo Vecchio appostati al ministero della Difesa, mentre il maggiore Berti del corpo forestale con 187 uomini doveva occupare la sede della RAI. Licio Gelli che aveva libero accesso al Quirinale avrebbe avuto il compito di consegnare il Presidente della Repubblica Saragat agli insorti. Altre mobilitazioni di uomini in armi dovevano avere luogo a Venezia, a Verona, in Toscana, in Umbria e a Reggio Calabria.
VII. Tutto si ferma. Alle ore 01:49, Borghese stesso ne ordinò l’immediato annullamento, con le stesse modalità dell’ordine, ne sono tuttora ignote le ragioni, perché Borghese rifiutò di spiegarle perfino ai suoi più fidati collaboratori.
VIII. Perché era troppo velleitario e senza possibilità di successo, se le solidarietà a parole promessa o sperata fosse venute meno all’ultimo momento? O abbandonato a scopo dimostrativo, soltanto come messaggio ammonitore inviato ad amici e nemici, all’interno e all’esterno, con finalità stabilizzanti? E se il contrordine fosse stato causato da Licio Gelli che aveva promesso l’appoggio dell’Arma dei Carabinieri e la disponibilità dell’Ambasciata americana che ne era stata informata e si oppose? O da parte dell’Onorevole Andreotti che inizialmente si era dichiarato disponibile alla carica di Presidente del Consiglio, ma si era ritirato all’ultimo momento, forse perché non avrebbe avuto l’appoggio degli Stati Uniti?
IX. È stata suggerita una diretta connessione tra il golpe Borghese e l’attività (mai completamente chiarita) della rete Gladio che ricordiamo era la sezione della più articolata di Stay Behind. È un mistero se il fallito golpe dell’8 dicembre fosse in realtà solo una specie di prova generale per l’azione effettiva, quello che sembra certo è che Borghese rappresentasse una pedina di un gioco più grande di lui, che il ”giocattolo” gli sarebbe stato tolto di mano al momento previsto, consentendo l’attuazione di una serie di misure analoghe a quelle del più volte citato Piano Solo, anch’esso ritirato all’ultimo momento.
X. Il chirurgo e ginecologo Adriano Monti nel suo libro Il golpe Borghese – nel racconto di un protagonista (2020), dice di essersi arruolato appena quindicenne nelle SS, di aver operato alla fine della guerra nell’ambito dell’operazione Odessa come agente segreto con falsa identità. Monti avrebbe partecipato al golpe Borghese in collegamento con l’ambasciata americana attraverso Hugh Hammond Fenwick. Nei primi mesi del 1970, su istruzioni di Borghese e Orlandini, Monti sarebbe volato a Madrid dove aveva conferito con Otto Skorzeny, famoso per aver organizzato e condotto alla “liberazione” il Duce da Campo imperatore fino in Germania. Forse una giunta militare non sarebbe piaciuta alla CIA e al Congresso Americano, che avrebbero preferito Andreotti. Ma è anche un bel libro di spionaggio con la presenza del KGB e del Mossad. Insomma, la verità non c’è. Per chi vuole chattare con i camerati di oggi dell’ex Xª MAS, lo può fare sulla piattaforma o Network www.decima-mas.net.
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