La scarsità d’acqua sta cambiando l’equilibrio del pianeta. L’acqua è una posta in gioco geopolitica fondamentale

 

Chi controlla l’acqua controlla il mondo.

η-λειψυδρία-αλλάζει-τις-ισορροπίες-στ-563130262

Il professore svedese di idrologia Leonard W. Lehns Lundqvist è stato il primo a proporre il termine ‘idrocidio’ nel 1998 per descrivere la rapida distruzione degli ecosistemi acquatici. Nel 2006, il Rapporto sullo Sviluppo Umano delle Nazioni Unite, intitolato ‘Oltre la scarsità d’acqua: potere, povertà e crisi idrica globale’, ha sottolineato quanto la scarsità d’acqua sia strettamente legata alla povertà e ai disordini sociali. E nel 2019, uno studio dell’Institute for World Resources ha sostenuto che 17 Paesi, che rappresentano un quarto della popolazione mondiale, si trovano in uno stato di “stress idrico estremo” e quindi a rischio di crisi idrica. Dato che il 40% della produzione agricola mondiale proviene da colture irrigue, una crisi di questo tipo avrebbe anche gravi ripercussioni sulla nostra sicurezza alimentare.

Solo cinque anni dopo, le fosche previsioni cominciano ad essere confermate. Quasi 3,3 miliardi di persone vivono oggi in aree aride o ad alto stress idrico. Entro il 2050, secondo gli scienziati, si prevede che la domanda di acqua sarà raddoppiata o addirittura triplicata, quindi il numero aumenterà di un miliardo. Nel nostro vicino Mediterraneo, lunghi periodi di temperature superiori alla media, ondate di calore prolungate e precipitazioni insufficienti stanno causando condizioni di siccità in Italia, Spagna, Malta, Grecia, Marocco, Algeria e Tunisia, con un effetto a catena sulla produzione, sul turismo, ma anche sulla salute e sulla qualità della vita degli abitanti.

Bras de fer tra Stati

Nel contesto sempre più soffocante creato dalla crisi climatica, si sono moltiplicati i bras de fer tra Stati per il controllo dell’acqua, in particolare nei periodi di grave siccità: Egitto ed Etiopia, Yemen e Arabia Saudita, Siria e Iraq, Kirghizistan e Tagikistan, tra gli altri. Anche nel Vecchio Continente; non è un caso che dallo scoppio della guerra in Ucraina ad oggi, Kiev e Mosca si siano spesso accusate a vicenda di attacchi alle strutture idriche, come la distruzione della diga di Nova Kakhovka sul fiume Dnieper nel giugno 2023.
L’acqua è indubbiamente diventata una posta in gioco geopolitica chiave: viene strumentalizzata per la pressione geopolitica, diventa una base per costruire relazioni transnazionali. La Giordania, ad esempio, da trent’anni è costretta ad acquistare grandi quantità di acqua da Israele, che possiede impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare. Alla fine dello scorso mese di maggio, il contratto è stato rinnovato per altri sei mesi, nonostante le relazioni bilaterali tese e influenzate da Gaza. Ma potremmo anche vedere la mancanza d’acqua causare guerre generalizzate? Ismail Serageldin, ex presidente della Banca Mondiale, che nel 1995 disse che ‘le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, le guerre del prossimo secolo saranno per l’acqua’, sarà confermato?

“Negli ultimi anni, l’incubo della scarsità d’acqua sta diventando una realtà per un numero sempre maggiore di Paesi, a causa dell’aumento della frequenza e della durata degli episodi di siccità e di inondazione. Ci si aspetterebbe che la consapevolezza di un problema così grave, questo nostro destino comune, porti immediatamente a una stretta collaborazione tra gli Stati per risolverlo. Dopotutto, se si guarda alla storia, l’acqua è spesso uno strumento efficace di convergenza, non una causa di conflitto. Ma, purtroppo, le tensioni geopolitiche in molte regioni del mondo sono così forti da ingarbugliare tutto”, dice a K il francese David Blanchon, professore di geografia presso l’Università di Nander a Parigi e partner del centro interdisciplinare iGlobes a Tucson, Arizona. Nel suo studio “Geopolitica dell’acqua”, recentemente pubblicato in greco dalla University Press di Creta, analizza non solo la possibilità che una crisi idrica diffusa possa addirittura scatenare delle guerre, ma anche come l’anidride, conseguenza del cambiamento climatico, sia aggravata da politiche di gestione idrica inadeguate e dall’incapacità della maggior parte dei governi di garantire la sicurezza idrica.

Forze idrogeomagnetiche

Non si tratta solo di acqua, quindi. Insieme ad essa, nello stesso… solco, si trovano equilibri geopolitici e sfere di influenza, potenti e impotenti, disuguaglianze e interessi enormi. “La forza di un Paese nel settore idrico”, spiega Blanchon, “si basa su tre pilastri: il progresso tecnologico e il know-how per costruire progetti idrologici efficienti, la capacità economica e la volontà politica di sfruttare i primi due. Il possesso di risorse naturali, in altre parole, è di secondaria importanza per la creazione di un potere idrogeomorfico”. L’esempio del Sudafrica, che merita questo titolo, anche a livello regionale, è un caso emblematico: sebbene le sue risorse idriche siano piuttosto scarse, ha un eccellente potenziale di gestione.
“Se si guarda alla storia, l’acqua agisce spesso come un efficace strumento di convergenza, non come una causa di conflitto. Ma, purtroppo, le tensioni geopolitiche in molte regioni del mondo sono così forti che trascinano tutto”, dice David Blanchon, professore di geografia presso l’Università di Nanterre a Parigi.

“A livello internazionale, le principali potenze idriche sono quelle che partecipano alla gestione dell’acqua in diverse parti del mondo. Dal periodo tra le due guerre fino agli anni ’90, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono stati in testa, e la Guerra Fredda è stata, in una certa misura, anche una competizione idro-politica, che ha raggiunto il suo apice con la costruzione della grande diga di Assuan in Egitto, in cui inizialmente era prevista l’assistenza tecnica degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, ma che alla fine è stata realizzata sotto la guida di oltre mille consulenti tecnici sovietici”, sottolinea il professore francese.

Il modello cinese

Oggi, gli americani e i sovietici sembrano essere stati sostituiti dai cinesi. Da un lato, perché grazie alla sua dominazione degli altipiani tibetani, la Cina ha il controllo completo delle risorse idriche che sono vitali per i suoi principali centri economici, ossia è completamente autosufficiente, a differenza dei suoi vicini. E in secondo luogo, perché è in grado di esportare il suo know-how in questo campo in quasi ottanta Paesi, soprattutto in Africa, ma anche in America Latina. “In Sudan è coinvolta nel finanziamento di dighe idroelettriche in cambio dell’accesso al petrolio. Ha anche assunto il finanziamento della costruzione della diga Gibe III sul fiume Omo in Etiopia, sostituendo la Banca Mondiale, che aveva delle riserve a causa dell’impatto ambientale del progetto sul lago Turkana e delle questioni geopolitiche irrisolte con il Kenya. In generale, si può comprendere la portata di questa influenza se si considera che Sinohydro, una filiale di Powerchina e ‘braccio destro’ del Governo cinese, è coinvolta nella costruzione di oltre 800 progetti idrologici in tutto il mondo. Il ‘modello cinese’ si basa su diversi elementi: capitale sostanziale, velocità di esecuzione, subappalto a società occidentali caso per caso, scarsa attenzione alle questioni ambientali o alle popolazioni mobili…”.

Necessità di una nuova cultura

Al di là dei fragili equilibri geopolitici dell’acqua, abbiamo chiesto a David Blanchon cosa si potrebbe fare per porre fine alla scarsità d’acqua nel bacino del Mediterraneo, dove la situazione sta peggiorando anno dopo anno. “Ci sono due soluzioni. La prima è assicurare nuove fonti d’acqua non convenzionali, come la desalinizzazione dell’acqua di mare o il riutilizzo delle acque reflue, soprattutto per l’agricoltura, dato che il 70% delle riserve di acqua dolce viene consumato per l’irrigazione delle colture agricole”, risponde. “Il secondo è ridurre drasticamente i consumi. Perché per quanto si possano implementare soluzioni innovative, non saranno mai sufficienti senza la collaborazione e la partecipazione degli stessi utenti, a tutte le scale. Affinché ciò accada, tuttavia, è necessaria una nuova cultura dell’acqua, che comprenda la comprensione dei fiumi come corpi viventi, complessi e dinamici e non come semplici raccoglitori d’acqua; la consapevolezza che avere acqua di qualità significa rispettare e preservare la vita e la funzionalità degli ecosistemi; e, infine, un cambiamento nel modo in cui trattiamo l’acqua: non come un’altra risorsa naturale da sfruttare economicamente…”.

Il denominatore comune di tutto questo, secondo il signor Blanchon, deve essere la solidarietà. “L’acqua è certamente un bene economico, ma nella maggior parte delle società ha anche un forte valore simbolico. Non possiamo appropriarcene, ma solo usarla con saggezza. E, naturalmente, non possiamo lasciare che il nostro vicino muoia di sete. Questa solidarietà, se estesa a livello globale, può rendere l’acqua un potente fattore di pace.”

Quanto è ottimista sul fatto che tutto questo venga messo in pratica finché c’è ancora tempo? L’obiettivo della sicurezza idrica è raggiungibile? “A livello tecnico, certamente. La tecnologia è dalla nostra parte. I problemi sono economici, politici e, in molti Paesi, riguardano quella che chiamiamo ‘giustizia ambientale’ – la mancanza di essa, in realtà, poiché la sicurezza idrica deve essere garantita a tutte le persone. Tuttavia, gli sviluppi internazionali e le rapide conseguenze della crisi climatica lasciano poco spazio all’ottimismo.

Autrice: Tasoula Eptakili. Si è laureata presso il Dipartimento di Scienze Classiche dell’Università di Atene. È giornalista presso Kathimerini dal 2001.

Fonte: Kathimerini.gr


https://www.asterios.it/catalogo/lacqua