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Il modello di soluzione di fronte a qualsiasi problema è trovare qualcosa da controllare: mettere in quarantena, tracciare, imprigionare, murare, dominare o uccidere.
Se il controllo fallisce, ulteriore controllo risolverà il problema.
Per raggiungere il paradiso sociale e materiale, bisogna controllare tutto, seguire ogni movimento, monitorare ogni parola, registrare ogni transazione.
Charles Eisenstein (2022, 96).
Canto I
E fu una luce immensa che stordisce
A vincermi sul campo di battaglia
Il buio subentrò. Come finisce
L’agone? Al risveglio mi attanaglia
Il dubbio, in mezzo ai moribondi e ai morti.
Non so se abbiam sconfitto la canaglia
Menzognera: i trucchi, i detti contorti,
Le falsità e gli inganni, volti al soldo
E al potere di uomini distorti
Da nostra umanità per manigoldo
Desiderio di dominare tutto:
Dal DNA alle stelle, in soprassoldo!
Chi avrà patito il più grande lutto?
Quale armata si sciolse in gran disfatta?
Mi alzo, illesa, dal campo distrutto
E abbandonato. Sono esterrefatta:
Per quanti giorni son rimasta immobile?
E chi fece magia di tale fatta?
O fu quella gran luce un altro ignobile
Abuso di una scienza distruttiva
Lanciato da un vigliacco aeromobile
Che morte seminava e poi fuggiva
A Nagasaki come ad Hiroshima
Senza lasciare alcuna cosa viva?
Il culmine di scienza, la sua cima
A questo è servito, a scatenare
Violenza e distruzione. Quale stima
Si può all’umano sforzo accordare
Di illuminare i meccanismi oscuri
Con cui Madre Natura fa girare
Materia ed energia tra imperituri
Poli di espansione e contrazione?
Possiamo rompere gli atomi duri
Causando di energia un’esplosione.
L’arma totale è nelle nostre mani,
Di quelli che hanno militar visione
Per cui sopraffazione degli umani
D’altra lingua, d’altra pelle o etnia
È scopo della vita. Come cani
Consideran chi vien d’altra genia.
Son machi, in un esercito inquadrati,
Dell’uniforme fanno vanteria:
Sfoggiano i loro abiti più ornati
Quando vanno in guerra come a una festa
Col sangue altrui si son pavoneggiati.
Riusciremo ancora a tenergli testa?
A frenare sia loro che i mercanti
E produttori d’armi che tempesta
Fomentano, che destabilizzanti
Conflitti agognano per farsi ricchi
E a tutti gli altri risultar davanti?
Ma è un obbligo: se solo guadagnicchi
Da traffici e negozi ed invenzioni
Non solo tu non spicchi tra i cacicchi
Ma presto in bancarotta le tue azioni
Finiranno. Questa è la dura legge
Del mercato: soltanto Paperoni
O falliti! Quieto viver non regge
Alla pressione che tutto fa evolvere,
Che niuno da necessità protegge
Di dovere il grande enigma risolvere:
Trovare più denaro che in partenza
E trasformare tutto il resto in polvere.
Energia e materia, ogni esistenza
Di animali e piante viene piegata
Inventando persino una semenza
Geneticamente modificata
Per snaturarla e renderle impossibile
Creare la progenie. Così artata
La vita stessa diventa coercibile
Per dare più profitto ai monopoli.
Aumenta la ricchezza disponibile
E la natura muore per i doli
Umani nel moltiplicar denaro
E se non piangi, di che pianger suoli?
Se non ti è caro il mondo, che ti è caro?
Il supremo peccato vien commesso
Di minare la vita, mentre è chiaro
Che essa non è dell’uomo un possesso
Né sua creazione, piuttosto è creato
Dalla Natura, a cui è sottomesso,
A cui deve rispetto ed esser grato,
A cui deve cessare ogni offesa
Ritirandosi dove ha esagerato,
Cessando di profitto ogni pretesa.
Mi prende a questo punto un gran sconforto:
È questa società che abbiam difesa,
È questo mondo, crudele e contorto?
Come poteva essere peggiore
Il Grande Resettaggio? Ciò che è morto
Non può patire alcun male maggiore.
Che abbia vinto la nostra o l’altra schiera
Mi è indifferente. Oh, fosse quel bagliore
L’esplosione che annienta la biosfera,
Lo spasmo di quel nucleo radioattivo
Che fa finire l’atomica era!
Ma se così fosse, perché ancor vivo?
Di carne mortale son, peritura,
Non ho di Orlando lo sbalorditivo
Potere di non soffrir squarciatura –
Potere, invero, mai contrapposto
Alla novella atomica scissura
Che neanche pensar poteva l’Ariosto.
…E se fossi invece proprio immortale?
Se non dovessi mai lasciare il posto
Ad altri, fuor dal ciclo naturale,
Eterna mia coscienza e corpo eterno?
Se mai mi schiaccerà pietra tombale?
Se mai dovessi scender nell’Averno?
Se a me la morte non fosse sorella
Risparmiandomi Nirvana ed Inferno?
Ah, come sarebbe la vita bella
Senza quel fastidioso appuntamento
Con la tragedia che poi la suggella!
Confortata in cotal vagheggiamento
Scavalco i corpi di chi tal fortuna
Sicuro non ha avuta, e nel cimento
Ha perso lo spirito, importuna
La Parca il suo filo ha reciso,
Sorte che tutti gli altri qui accomuna.
Voglio andarmene dal di sangue intriso
Campo, dall’orrore che non risponde
Alle domande, sull’agone assiso.
Voglio raggiunger di un fiume le sponde
Per scacciare dall’occhio e dalla mente
Nuotando nel suo flusso o tra le onde
Del mare la visione sconvolgente
Di squarciati, mutilati, caduti
A mucchi, in file, in atto combattente,
Con volti sconosciuti e conosciuti.
Nessun di loro ha appreso, poverino,
L’esito per cui sono deceduti.
Con l’alma grave, mi metto in cammino
Scegliendo una direzione a caso,
Sperando che lontano o vicino
Io trovi la risposta. All’occaso
Mi volgo, ove la fine si rinnova
E prego che le Muse e il Parnaso
Mi assistano in questa impresa nuova.
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