La luna da sempre e per sempre ha affascinato e affascinerà il genere umano. Metterci i piedi sopra è comunque un altro discorso. Sugli schermi in questi giorni dopo l’allunaggio di 55 anni fa, il film Le due facce della luna (Fly me To the Moon, 2024) di Greg Barlanti, attraverso la commedia e l’ironia fa da spartiacque – salvando capre e cavoli – tra le teorie negazioniste e quelle della NASA. In grado, comunque, di rievocare il clima politico dell’entourage del presidente Nixon (era stato eletto il 5 novembre del 1968), determinato a mostrare al mondo – con ogni mezzo a disposizione, oltre l’etica o la verità si sarebbe dimostrato con Watergate – che l’America vinceva la gara spaziale con l’Unione Sovietica, oltremodo necessaria, poiché la guerra nel Vietnam stava provocando un’ondata di antiamericanismo in tutto il mondo. Nel film viene chiamata un avvenente manager a preparare all’evento che dovrà dare prestigio all’intera umanità. Così viene previsto di girare un filmato del finto allunaggio. Una finzione voluta dai vertici politici per rendere “credibile l’incredibile” e trasmetterlo al mondo e all’elettorato americano, qualora fosse nella realtà fosse fallita la missione. La battuta, mentre si gira con un regista isterico e attori così così “Dovevamo chiamare Stanley Kubrick”, già ci porta nella leggenda che sia stato realizzato proprio da lui ciò che ci hanno fatto vedere nel luglio del 1969. Aveva avuto la collaborazione-consulenza della Nasa – nel segreto dei media – durante i due anni precedenti alla preparazione di 2001 Odissea nello spazio, uscito nel 1968.
Il cinema aveva già dato ampia prova di come la finzione superasse ogni limite della realtà già all’alba del XX° secolo con Viaggio nella luna (1902) di Georges Méliès capace di raccogliere le fantasie di poeti e scrittori del secolo precedente.
Prima di Apollo 11 – con i piedi sulla luna del 21 luglio 1969 – la quarta missione con equipaggio era stata Apollo 10, definita poi la “prova generale” dello sbarco, sebbene era stata presa in considerazione l’idea di tentare in quella missione segretissima denominata F (gli astronauti avevano un codice di riconoscimento, il primo allunaggio, ma alcuni inconvenienti riscontrati nella fase di ascesa del modulo lunare e nel controllo fecero desistere: vennero scattate soltanto alcune fotografie del sito di atterraggio: il Mare della Tranquillità. Meno di sei mesi dopo, il 12 novembre del 1969, ecco sbarcare Apollo 12. Seguiranno Apollo 13, missione fallita l’11 aprile del 1970, a cui faranno seguito nel 1971 Apollo 14 e Apollo 15, mentre nel 1972 con Apollo 16 ad aprile e Apollo 17 dicembre, tutto si chiude. Come dire: “pratica archiviata”.
Possiamo definire “stellare” l’entusiasmo del telegiornale e l’enfasi dei titoli cubitali sui giornali italiani: “Scesi!” (il Messaggero), “L’uomo è sulla luna” (Corriere della sera), “I due astronauti camminano” (la Stampa), “I piedi sulla luna” (l’Unità), “Verso una nuova frontiera” (Avvenire), “Esplorata la luna” (il Tempo), “Addio fantascienza” (il Giorno) ecc.
La ricaduta della conquista sulla popolazione nell’arco di pochi anni non fu granché: orologi al quarzo con display a cristalli liquidi, il cibo liofilizzato, il velcro nell’abbigliamento, batterie ricaricabili, calcolatrici elettroniche e poco altro. Verranno poi molto più avanti le cellule solari, i microchips e i microprocessori ecc. L’analisi della scarsa documentazione fotografica e dei reperti tenuti segretissimi, fece nascere i primi dubbi sul successo della missione Apollo 11, è su questa – non tanto sulle successive del 1971-1972 – che si è concentrato il “complotto” dei negazionisti. Quattro mesi dopo esce sugli schermi “Abbandonati nello spazio” (1969) di John Sturges, qui la missione va malissimo: in attesa dell’arrivo di una navicella di soccorso, quando non c’è più ossigeno, uno si sacrifica e vola nello spazio, gli altri due moribondi vengono salvati da una capsula russa. Arriva anche l’agente segreto 007 (Sean Connery) in “007 – una cascata di diamanti” (1971) di Guy Hamilton, in sella a un rover lunare attraversare un set cinematografico dove alcuni astronauti camminano su un falso suolo lunare.
Nel 1976 esce il libro “Non siamo andati sulla luna” di Bill Kaysing con Rendy Reid che argomenta la teoria del complotto: a) negli anni Sessanta non esisteva una tecnologia a permettere l’allunaggio (i chip erano più meno quelli di una lavastoviglie); b) la Nasa navigava in cattive acque economiche per mancanza di finanziamenti; c) le immagini mostrano ambiguità (la bandiera nel vento o le ombre in assenza di luce); d) sarebbe stata una mossa politica perché i Russi, già più avanti, avrebbero abbandonato la corsa nello spazio; e) le riprese sarebbero state girate da Kubrick in una base militare a San Bernardino; f) avrebbe dimostrato la superiorità militare e tecnologica, distraendo dalla guerra del Vietnam.
Alla diffusione della popolare teoria del complotto, ci pensò il film “Capricorn One” (1978) di Peter Hyams, ispirato al libro di Kaysing, con una missione su Marte. Quando la NASA scopre di non essere in grado di rispettare i tempi della partenza, per evitare di non perdere finanziamenti, decide di inscenare una messa in scena: il razzo viene lanciato vuoto, l’equipaggio portato in uno studio a registrare le immagini. Poi l’imponderabile, la navicella esplode nell’atmosfera al suo ritorno, adesso si tratta di eliminare gli astronauti per non rischiare che l’inganno sia scoperto. Inizia la caccia all’uomo nel deserto del Nevada, mentre anche un giornalista indaga. Nel finale sarà scongiurata la congiura del silenzio.
Nel 1995 esce “Apollo 13” di Ron Howard, con Tom Hanks a gridare una frase diventata comune e famosa: “Houston abbiamo un problema!”. Filologicamente è la fallita missione del 1970 che rese difficile anche il rientro sulla terra mettendo a rischio la vita degli astronauti. Contribuirà anch’esso a diffondere lo scetticismo, che con l’arrivo di Internet sarà destinato ad aumentare (va detto che negli USA, a quel tempo si cerca di negare perfino la teoria dell’evoluzione di Darwin con il Creazionismo). Nel 2001 la Fox fece entrare i deliri dei luna-complottisti nelle case degli americani con “Conspiracy Theory: Did We Land on the Moon?” (disponibile su Netflix). La formula, ora molto familiare anche da noi, era quella di far decidere allo spettatore a cosa credere, ma in questo caso non c’era nemmeno un contrappeso a bilanciare le tesi dei complottisti. Questo prodotto, spacciato per documentario, diede origine a innumerevoli tentativi di imitazione. Infatti, i mass media sono sempre portati a catapultare sull’opinione pubblica delle mezze-verità, in una specie di zona ai confini della realtà dove le speculazioni stesse appaiono quali verità, come nel caso di “ Dark Side of The Moon – Operazione Luna” (2001, 52’) uno pseudo documentario del francese William Karel, con il ruolo esplicito del regista Stanley Kubrick.
A questo punto si muove la NASA commissionando con 15.000 dollari a James Oberg un libro che smontasse punto per punto le teorie del complotto, contemporaneamente si muovono le Università con ricerche, convegni scientifici. Ma si può fermare il cinema? In “Moon” (2009) di Duncan Jones, l’astronauta dopo essere stato due settimane sul satellite, al rientro alla base scopre e incontra un suo clone, creato a sua insaputa. Così “Apollo 18” (2011) di Gonzalo Lòpez-Gallego, girato alla stregua di un documentario, punta sull’horror, vengono ritrovati i videonastri delle precedenti missioni che documentano l’incontro con forme di vita aliene e pericolose: ecco spiegato perché la NASA ha abbandonato le missioni sulla luna. Ancora più esagerato “Iron Sky” (2012) di Timo Vuorensuola, dove un gruppo di nazisti scampati alla sconfitta sono riusciti per primi ad approdare sulla luna e ora sono pronti a minacciare la terra.
Secondo il semiologo Umberto Eco (la bustina di Minerva, l’Espresso del 2009) “la prova scientificamente inoppugnabile è una sola: gli unici che potevano controllare se lo sbarco era avvenuto (perché avevano già inviato lassù satelliti e avevano altre sofisticate possibilità di monitoraggio), e gli unici che avevano tutto l’interesse a sbugiardare gli americani, erano i russi. Se i russi sono stati zitti significa che lo sbarco sulla Luna era vero. Fine del dibattito”. Ma in “Interstellar” (2014) di Christopher Nolan, qui siamo nel 2067, nelle scuole durante le ore di storia si insegna come l’allunaggio del 1969 non fu reale, ma una geniale ricostruzione cinematografica che fece vincere la gara contro l’Unione Sovietica; Moonwalkers (2015) di Antoine Bardot-Jacquet, riprende l’accordo segreto con Kubrick con un filmato da diffondere nel caso che il vero allunaggio fosse fallito. “Operazione Avalanche” (2016) di Matt Johnson, si basa sulle tesi del complotto lunare riportando quelli che appaiono in dettaglio il complotto realizzato dalla CIA, montato come un inside-story, si tinge di thriller.
Con “First Man-il primo uomo” (2018) di Damien Chazelle si ritorna sullo sbarco lunare dell’Apollo 11, mettendo al centro la figura del “primo uomo” Neil Armstrong, per arrivare al cuore della sua complicata esistenza.
https://www.asterios.it/catalogo/particelle-di-rivolta-1968