2 agosto 1944-2 agosto 2024: dopo ottant’anni dolore per la ferocia nazista, dolore e rabbia per la discriminazione di oggi dei zingari d’Europa

 

Nella notte del 2 agosto 1944 circa 4.300 donne, bambini e anziani rom e sinti venivano bruciati nei forni di Auschwitz-Birkenau. Erano gli ultimi dei circa 7.000 che il 16 maggio si erano rivoltati contro le SS che dovevano liquidare il campo degli zingari (lo Zigenuerlager) per far posto a un trasporto di 4.000 ebrei ungheresi inviati da Adolf Eichmann. Dopo la rivolta le persone ancora in forze vennero inviate in altri Lager e le 4.300 rimaste liquidate in una notte sola.

Per questo la mia preghiera stanotte non sarà rivolta a Dio per quei morti, sarà rivolta a rom e sinti d’Europa per i nostri vivi. Sarà per liberare chi verrà dopo di noi di questo peso senza nome. Sarà per spezzare la catena del silenzio e ottenere giustizia.


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Se ne sono andati in silenzio, come l’altro mezzo milione di fratelli e sorelle, bambini e bambine. Chi è sopravvissuto ci ha lasciato poche parole e un peso schiacciante di morti non riconosciuti, non ricordati, non vendicati…

Il nostro dolore e il nostro peso senza nome, noi, zingari d’Europa, lo abbiamo digerito e assimilato dentro i nostri corpi, l’abbiamo fatto diventare la parte della nostra carne, lo abbiamo assunto come un destino. In ogni comunità, in ogni quartiere rom in Europa vivono i discendenti di che è stato mandato a morte nei campi di concentramento, e nonostante questo, in ogni città, ogni giorno qualcuno di noi subisce violenze razziste, ingiustizie e discriminazioni. I nostri bambini sono costretti a vivere in povertà estrema, solo 1 su 3 in Europa ha l’accesso all’acqua potabile e il bagno in casa, segregati nelle scuole o esclusi dal sistema di istruzione. Sempre in silenzio!

Per questo la mia preghiera stanotte non sarà rivolta a Dio per quei morti, sarà rivolta a rom e sinti d’Europa per i nostri vivi. Sarà per liberare chi verrà dopo di noi di questo peso senza nome. Sarà per spezzare la catena del silenzio e ottenere giustizia.

Nella notte del 2 agosto 1944 circa 4.300 donne, bambini e anziani rom e sinti venivano bruciati nei forni di Auschwitz-Birkenau. Erano gli ultimi dei circa 7.000 che il 16 maggio si erano rivoltati contro le SS che dovevano liquidare il campo degli zingari (lo Zigenuerlager) per far posto a un trasporto di 4.000 ebrei ungheresi inviati da Adolf Eichmann. Dopo la rivolta le persone ancora in forze vennero inviate in altri Lager e le 4.300 rimaste liquidate in una notte sola.

Ottant’anni dopo cosa vuol dire ricordare il Baro Porrajmos (il grande divoramento, come lo ha definito Jan Hankok), il tentativo di genocidio di tutti i sinti e rom d’Europa? Ricordare un giorno di lutto, non un giorno di liberazione da commemorare perché non c’è stato per rom e sinti il dovuto riconoscimento dello sterminio subito, restituendo l’onore a un popolo che aveva come unica colpa di essere nato “zingaro”. Per rom e sinti non c’è stata una Norimberga che ha prodotto una cesura definitiva nella persecuzione come per gli ebrei, non c’è stato il senso di responsabilità collettiva per quello che è successo dietro i cancelli degli infiniti Lager nazifascisti. Oggi ricordare vuol dire denunciare che il 27 gennaio, data simbolo in Europa e nel mondo tra le vittime della persecuzione nazifascista e nella legge che lo riconosce, manca il Porrajmos, che, esattamente come la Shoah, è stato un genocidio su base razziale. Ricordare vuol dire che in forza di quella mancata cesura, di questo mancato riconoscimento rom e sinti sono ancora il popolo variopinto ed estraneo che ha popolato le nostre terre e i nostri incubi negli ultimi sette secoli, buoni per le infinite miserabili campagne politico-mediatiche degli strumentalizzatori della paura.

Ricordare vuol dire quindi inserire a pieno titolo il Porrajmos nella legge che istituisce la Giornata della Memoria senza ricorrere a scorciatoie come fare del 2 agosto la giornata dello sterminio di rom e sinti, perché questo vorrebbe dare al Porrajmos il carattere di una tragedia laterale, di serie B, indegna di essere messa allo stesso livello di quella ebrea, mantenendo quella distinzione, quell’emarginazione che è iniziata con il processo di Norimberga e che vediamo riflessa tutti i giorni nella vita delle nostre comunità.