La strage dell’Italicus e la disinformazione di destra

 

Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e quando ci pare. La bandiera nazista non è morta a Berlino nel lontano 1945.

Sono passati cinquant’anni esatti dalla strage del treno “Italicus”: poco dopo l’una di mattina del 4 agosto 1974, l’esplosione di un micidiale ordigno incendiario, all’ingresso della piccola stazione di San Benedetto Val di Sambro, causò la morte di 12 passeggeri, morti carbonizzati. Altri 40 passeggeri rimasero feriti. Anche in questo caso, come negli altri attentati di chiara matrice fascista che insanguinano gli anni Settanta, la disinformazione di destra (disinformazione è termine buonista) si attiva in maniera importante, attraverso esponenti politici e giornali. Alcuni di questi quotidiani esistono ancora con gli stessi nomi e con analoghi toni, come si riscontra tristemente ma senza alcuno stupore in questi giorni.

Sono trascorsi appena 69 giorni dalla strage di piazza della Loggia a Brescia. Appena qualche ora dopo il massacro dell’Italicus, Enrico Mattei (il giornalista), sul quotidiano “Il Tempo”, scrive che l’Italia “… ha molte probabilità di veder crollare la democrazia per finire in braccio ai comunisti”.
Si tratta dello stesso Enrico Mattei che, sempre su “Il Tempo” del 4 marzo 1972, appena dopo il mandato di cattura per Franco Freda, Giovanni Ventura e Pino Rauti (quest’ultimo dirigente nazionale del Movimento Sociale Italiano e fondatore di Ordine Nuovo) ad opera del giudice trevigiano Giancarlo Stiz, scrive, pateticamente, a scomposta difesa del camerata Rauti:

Di tutti i miei nuovi colleghi il Rauti mi divenne subito uno dei più cari per la finezza dei modi, per la intelligenza, per la cultura. Deplorava la violenza anche se giustificava la reazione di tanti giovani della sua parte alla violenza e alle sopraffazioni altrui. Non faceva mistero di essere stato tra i fondatori di Ordine Nuovo ma raccontava di essersene ritirato da anni. Ma vedo ora che gli sì attribuiscono attentati e stragi: sono cose che crederò quando Rauti le avrà confessate. Per ora sono peggio di San Tommaso: non credo!

Le imputazioni a Rauti riguardavano gli attentati del 25 aprile 1969 a Milano e quelli dell’agosto sui treni e si basavano su intercettazioni telefoniche e testimonianze (si veda, ad esempio, “La maledizione di piazza Fontana”, di Guido Salvini (Autore) e Andrea Sceresini, chiarelettere, 2019).

Tornando all’Italicus e quindi ad una strage che doveva servire a scatenare la guerra civile, Giorgio Almirante, il giorno 8 agosto 1974, fa scrivere sul “Secolo d’Italia” che

“Anonimi esuli russi hanno diffuso un messaggio, il quale attribuisce ai servizi segreti dell’URSS la responsabilità dell’eccidio”.

All’indomani dell’attentato, il depistaggio impera: il sostituto procuratore Romano Ricciotti, davanti ai cadaveri allineati accanto ai binari, dice: “A provocare l’esplosione potrebbe essere stata anche la bombola di gas del fornello di un campeggiatore” (Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella).

Epperò no, non è così. “Ordine Nero” rivendica l’attentato con un volantino:

Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e quando ci pare. La bandiera nazista non è morta a Berlino nel lontano 1945.

Le indagini, svoltesi ufficialmente a Bologna, porteranno in carcere, il 30 agosto, sulla base delle “rivelazioni” del supertestimone Francesco Sgrò, l’avvocato Aldo Basile del MSI ed una mezza dozzina di camerati. Le chiarissime dichiarazioni di Sgrò contro Basile porteranno, il 14 agosto, a scomposti tentativi di delegittimazione sul “Secolo d’Italia” (si veda “Il partito del golpe: le strategie della tensione e del terrore dal primo centrosinistra organico al sequestro Moro: 1973-1974”,
Gianni Flamini Ferrara : Bovolenta, 1983):

“Se Sgrò ha inventato tutto, perché lo ha fatto?”.

Gli sviluppi delle indagini faranno perdere la pazienza al povero Giorgio Almirante, che sul “Secolo d’Italia”, scriverà a proposito dei giornalisti, il 14 settembre 1974:

“Non debbo tentare di trarli in giudizio quali bugiardi e calunniatori e vili e gaglioffi e figli di male femmine quali indubbiamente sono, perché se fossi tanto imprudente da citarli dinanzi a un tribunale di questa Repubblica potrebbe accadermi di finire in carcere”.

Molto più tardi, Maria Agnese Moro, una delle figlie di Aldo Moro, affermerà, di suo padre (Atti Corte d’Assise di Roma, 198):

“Aveva avuto inviti pressanti, minacce, perché lasciasse perdere la sua attività politica e si ritirasse, sollecitazioni che gli venivano da Paesi stranieri, in particolare dagli Stati Uniti … L’unico episodio in cui mi parlò in maniera precisa del terrorismo non fu relativo alle Brigate Rosse ma alla strage dell’Italicus”.

Il 19 giugno 1975, quando sarà arrestato a Roma l’anarchico Roberto Mander, il “Secolo d’Italia” ci si butterà sopra, con il suo inconfondibile stile sopraffino:

“Nel fascicolo di Mander, l’anarco-comunista arrestato: piazza Fontana, «Italicus», NAP, rapimenti”.

Il 25 giugno 1975, a Bologna, ci sarà la scarcerazione del testimone Francesco Sgrò, e il giudice Angelo Vella si ritroverà a mani vuote.

Negli atti della COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL TERRORISMO IN ITALIA E SULLE CAUSE DELLA MANCATA INDIVIDUAZIONE DEI RESPONSABILI DELLE STRAGI (Doc. XXIII n. 64 VOLUME PRIMO Tomo III, 26 aprile 2001) si parla espressamente di “falsa pista” a proposito delle dichiarazioni rese dall’onorevole Almirante in merito a presunte responsabilità di un iscritto al PCI. Almirante non si fermava davanti a niente pur di far confusione (nella migliore delle ipotesi).

Espressamente, negli atti suddetti:

“Il 31 luglio 1980 (due giorni prima della nuova strage della stazione di Bologna), il giudice istruttore di Bologna Vella rinvierà a giudizio per la strage dell’Italicus Mario Tuti, Piero Malentacchi e Luciano Franci. Il 20 luglio 1983 saranno assolti in primo grado per insufficienza di prove. Tuti e Franci saranno invece condannati in appello all’ergastolo il 18 dicembre 1986. Il 16 dicembre 1987 la Cassazione (Presidente Carnevale) annullerà con rinvio. Il 4 aprile 1991 saranno nuovamente assolti per non aver commesso il fatto, sentenza confermata in Cassazione (Presidente Guasco) il 24 marzo 1992.”


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