Il comico salva la vita o… una risata vi seppellirà?

 

“Non dimentico mai una faccia, ma nel tuo caso farò un’eccezione”. “Naturalmente nella vita ci sono un mucchio di cose più importanti del denaro. Ma costano un mucchio di soldi!

Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille,

mentre il contrario è del tutto impossibile.

(Woody Allen)

 

A Sigmund Freud, nel 1938, in procinto di lasciare Vienna per rifugiarsi a Londra, le autorità naziste pretesero una dichiarazione scritta che non aveva mai subito minacce o violenze. Lui scrisse, da medico e fine umorista, questa ricetta: Raccomando la Gestapo a chicchessia.

Tra la rivista “Il Male” della metà degli anni ’70 e la lezione di Patch Adams, il medico clown del sorriso, il comico rappresenta la linea della sopravvivenza rispetto alla certezza della fine. E solo questo dà da pensare.

Platone racconta un aneddoto riportato da Socrate: “Talete mentre osservava le stelle e guardava in alto cadde in un pozzo e una serva tracia si prese gioco di lui perché si affannava nel conoscere le cose celesti, ma si lasciava sfuggire quelle che si trovavano davanti a lui, tra i piedi”.[1] In realtà la storiella dell’astronomo che precipita è presente anche nelle Favole di Esopo e sta a rappresentare i rischi del pensiero di fronte alla natura del comico che appare come un sentimento misto di piacere e di dolore. Per Platone l’eccesso di riso, come tutti gli altri eccessi sono incompatibili con la città ideale immaginata dai filosofi. Tuttavia, il riso rimane un pharmakon che non si può sottrarre dall’ironia socratica che fa dell’inganno (“io so di non sapere”) una virtù. La retorica della istitutio, cioè del parlare e dello scrivere, definirà l’ironia il tropo che intende fare il contrario di quello che dice, cioè l’antifrasi. Bandito e condannato per secoli dal cristianesimo – la regola di Benedetto da Norcia, padre del monachesimo, oltre alla sintesi Ora et labora, che s’impone in tutto l’Occidente –, contiene anche la triade “silenzio, bocca, riso”, dove il silenzio rappresenta la virtù, la bocca l’organo di controllo da sorvegliare e il riso il peccato, al pari delle parole inutili (verba otiosa) e delle buffonerie (scurrilitates). Kant assegna nell’ambito dell’estetica uno spazio al comico, non uno stato fisiologico o psicologico, ma una distinta percezione del reale, una specie di “ragione del cuore” che coglie qualcosa di incongruo, avvertito d’un tratto al posto di un’altra cosa che poi, si dissolve nel nulla. Lo dimostra anche con una serie di storielle esemplari: “Si racconta di persone che per un grande dolore in una notte hanno visto diventar bianchi i loro capelli. Un altro furbo racconta in modo circostanziato il dolore di un mercante che ritornando in Europa dalle Indie è obbligato da una tempesta a gettare a mare tutta la sua ricca mercanzia e si dispera al punto che nella stessa notte la sua parrucca diventa grigia”. Il meccanismo è dunque “un’affezione che deriva da un’aspettazione tesa ma che poi si risolve in nulla”. Dev’essere qualcosa di assurdo che accade nel corpo e non nell’intelletto. Secondo Nietzsche proprio nel riso, l’Io non si contiene e può morire dal ridere. Ecco perché è necessario un Oltre uomo o un Super-uomo che ha attraversato la pura erranza cieca nel deserto del mondo. Così ridere appare un’attitudine del pensiero che occorre esercitare per comprendere come tutta la filosofia stessa può ridere di sé (o deridersi); “Sempre mi burlai di ogni maestro, che sé stesso burlato non avesse” (La gaia scienza, 1882) e di conseguenza, ecco l’invito di Zarathustra: “Qual è stato fino a oggi sulla terra il peccato più grave? Non è forse stato la parola di colui che disse: guai a coloro che qui ridono! Non trovò dunque motivi per ridere sulla terra? Allora cercò male. Anche un bambino riuscirebbe a trovarne. Egli non amava abbastanza altrimenti avrebbe amato anche noi che ridiamo! Ho proclamato sacro il riso; o uomini superiori, imparatemi dunque a ridere!” (Così parlò Zarathustra, 1883). Con Henri Bergson il riso è parte dell’umanità, poiché “l’uomo è l’unico animale che sa ridere”. Sottolinea quanto l’emozione sia il maggior nemico del comico che si rivolge alla pura intelligenza e gli atteggiamenti, i gesti e i movimenti del corpo umano sono ridicoli quando il corpo assume un aspetto meccanico.

Sebbene fin dalle origini fosse necessario distinguere un comico nella retorica, cioè come logica argomentativa che tende alla persuasione, da un comico della retorica, cioè nel linguaggio stesso e nei suoi modelli e schemi comunicativi. Ma questo non significa che essi siano indipendenti l’uno dall’altro e non possano intersecarsi. Una buona sintesi è quella di Dostoevskij: “Per conoscere un uomo bisogna studiare non il suo silenzio né il suo modo di parlare o di piangere o di infiammarsi alle idee più nobili, ma il suo riso. Se, per lungo tempo voi non avete potuto decifrare un carattere, e ad un tratto ci riuscite è perché quell’uomo ride molto francamente. Allora tutta la sua anima vi si presenta come su una mano. Quell’uomo ride bene? Vuol dire che è un buon uomo. Ma se egli mostra il minimo tratto di stupidità nel riso, deve essere di intelligenza limitata, anche se applicata a cose intellettuali”.

Ci tengo molto al mio orologio. Me l’ha venduto mio padre sul letto di morte! (Woody Allen)

Ecco un mini-dizionario:

Antifrasi. Attribuendo a un’espressione il significato opposto a quello proprio per ottenere un effetto divertente. In una situazione tragica o difficile: “Adesso viene il bello!”, oppure “Finirà di perseguitarmi questa benedetta jella!”, dopo aver perso ancora una volta al gioco.

Arguzia. Prontezza e sottigliezza d’ingegno, spesso usata per esprimere critica nei confronti delle norme sociali o delle autorità. Serve a dissacrare tabù di natura sessuale. Ad esempio:

“Un orso attacca un cacciatore nella foresta. L’uomo spara e lo manca, l’orso gli spacca in due il fucile e lo sodomizza. Il giorno dopo il cacciatore ritorna con un fucile nuovo. L’orso l’attacca e lo sodomizza di nuovo. L’uomo è fuori di sé, si compra un fucile da combattimento, un Ak-47 e ritorna a cercare l’orso. Quando lo incontra lo manca di nuovo, l’orso gli sottrae il fucile e con la zampa con delicatezza lo cinge dicendogli: dai su confessa la verità, non è la caccia che ti piace…”. O ancora, “Un vecchio s’imbatte in una ranocchia che gli dice: questo è il tuo giorno fortunato, sono una rana parlante, ma in realtà sono una principessa bellissima, basta che dica una parola e mi trasformerò. Il vecchio se la mette in tasca e riprende il cammino, ad un certo punto la rana fa: ehi ma non hai capito cosa ti ho detto? L’uomo risponde ho capito benissimo ma alla mia età, più che una donna giovane e bella, preferisco una ranocchia che parla e mi fa compagnia”.

Barzelletta. Una storiella orale per intrattenere per il piacere di chi la racconta e di chi l’ascolta. Il fine sarebbe quello di produrre riso o sorriso. Impossibile datarne l’origine, declinata in tutte le lingue del mondo e nei dialetti, il repertorio è pressoché infinito in ogni realtà geografica e condizione sociale. Il primo testo scritto ci arriva da un libello greco di oltre millecinquecento anni, il Philogelos, che ne contiene 265. Una di queste: “Donna, cosa facciamo, mangiamo o facciamo l’amore? Come vuoi risponde lei: non c’è niente da mangiare”.

Beffa. Burla o scherzo ai danni di qualcuno al fine di rivelarne l’ingenuità o la stupidità, che si conclude comunque con una risata. Boccaccio nel Decameron e nella letteratura cavalleresca fino al Don Chisciotte di Cervantes ne danno ampia testimonianza, ne sono vittime gli ingenui come Calandrino o i mariti. Nel 1984, anno del centenario di Modigliani, la beffa di quattro studenti che fecero trovare nel fosso Mediceo di Livorno, tre sculture subito attribuite dai maggiori storici italiani all’artista, in seguito mostrarono la documentazione della beffa di cui erano stati gli autori.

Esagerazione: attraverso un’iperbole, spesso di natura sessuale o volgare.

Eufemismo: Attenuando un’espressione cruda, un insulto per giungere comunque al significato opposto. Il classico “passare a miglior vita” oppure quando per evitare il turpiloquio esplicito, cazzo diventa: “cacchio, cavolo, caspita, cappero”; Vaffanculo diventa: “Ma va là, vaffanbagno, vaffanbrodo” ecc. Assai usato nelle bestemmie.

Commedia: “È l’imitazione di persone che valgono di meno, ma non per un vizio qualsiasi, giacché il ridicolo è una parte del brutto. Il ridicolo, infatti è un errore o una bruttura che non reca né sofferenza né danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e stravolto, ma senza sofferenza”. Parole della Poetica di Aristotele, che paiono prese alla lettera al cinema dalla commedia all’italiana di Risi, Monicelli, Scola e altri, interpretata dai quattro moschettieri: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.

Giochi di parole: Ne esistono una varietà infinita: a ribaltare un enunciato (“Ho vomitato tutto il giorno. Allora vedi di rimetterti!”/Era un fuoriclasse, aveva un fuoristrada, un fuoribordo e una villa fuori città. Lo misero dentro.”) nel rispondere a una domanda (“Cos’è un melodramma? Una rappresentazione eseguita in un frutteto”. / “Cosa faceva uno sputo su una scala? Saliva”. /“Sai cosa fa un pomodoro di prima mattina? Salsa”. “Cosa fanno cento galli sottoterra? Una galleria”.  Nello stabilire un colmo (Per un giudice. Chiamarsi Grazia / Per il capo della polizia. Chiamarsi Manganelli / Per una forchetta. Essere molto posata. / Per un prof di matematica. Abitare in una frazione. /Comunque, “Pannocchie innamorate promettono: non ci lasceremo mais”.

Humour: Breton esalta l’humour, dice che la circolazione del piacere umoristico è l’unico mercato intellettuale che ha ancora ragione di esistere, e che nessun discorso, sia esso scientifico, filosofico o artistico, può sopravvivere se privo del marchio di fabbrica dell’humour, e tuttavia egli aborre la corposità, la materialità del riso. La sensibilità di cui si fa interprete predilige un riso sottile, esangue, che resta invisibile e privo di qualsiasi manifestazione. L’elogio dell’umorismo si unisce a un disprezzo conclamato per l’invadenza, per lo stridore, per la smorfia stessa della risata. Nella sua definizione “Una macchina per gare il vuoto”, una specie di grottesco da camera. Humor nero: “Un bambino: mamma posso ancora giocare con la nonna? Adesso basta! Non ho intenzione di svitare il coperchio della bara per la terza volta”.

Ironia: termine che viene dal greco e sta per dissimulazione. Si ha in mente qualcosa di diverso da quel che si dice: ribaltamento di una situazione, di un valore socioculturale indirizzata a demolirne il concetto, il personaggio o la condizione.

L’ironia ha un effetto benefico, quasi rilassante, dissipa le tensioni, stimola pensieri nuovi e anche se volta ad esprimere un disappunto, essa viene espressa all’altro con un animo benevolo, quindi non ferisce. L’ironia presuppone creatività e, ben dosata, è positiva perché consente di uscire da uno stato d’animo avverso e ne ridimensiona la portata, relativizzando i fatti. L’ironia alleggerisce.

Metafora: traslare attraverso una qualità in un rapporto di somiglianza. Ne è stato vittima pure il riso: crepare dal ridere, come se la pancia stesse scoppiando; ridere da tutti i pori, come se l’effluvio si aprisse in ogni superficie corporea; ridere sotto i baffi, dove il nascondere diventa quasi vano: e perché non sotto la barba? Ridere tra i denti, fino a sganasciarsi? Cioè, a mettere in pericolo l’alimentazione stessa; ridere di cuore, ovvero sorridere in senso bonario, così interno che non trapela in superficie; ridere di gusto, per alimentare il corpo di cibo e come il vino fa buon sangue; pisciarsi addosso o farsela addosso dal ridere, quando diventa perfino impossibile controllare il corpo stesso.

Nonsense: accostamento incongruo di rima o di contenuto (Perù-ragù. Sud-crud, Naso-parnaso); oppure semanticamente insensati: “piove ma non ci credo”. Nella cultura moderna il nonsenso appare più confinato come forma di umorismo nella letteratura per bambini, la zuppa di parole o i Limerick di Gianni Rodari (cinque versi schema AABBA, ad esempio “Una nobile dama vicentina/andò a comprare sei uova in Cina/Laggiù costano un soldo di meno/esclamava salendo sul treno/quella risparmievole dama vicentina”.) Al cinema i fratelli Marx o la supercazzola di Ugo Tognazzi.

Paradosso. Amato dagli stoici, è un’affermazione in apparente contraddizione con l’esperienza comune e contro i principi elementari della logica, ma che a un esame critico si dimostra valida. Eccone alcuni esempi: secondo Zenone, una freccia scagliata contro un bersaglio risulterebbe immobile se osservata all’interno di ognuno degli istanti che compongono il suo spostamento – si pensi ad una serie di fotogrammi della stessa scena accostati l’uno all’altro. Dunque, il movimento della freccia è apparente, poiché essa è ferma nei singoli istanti ed appare in moto solo a causa dell’accostamento. Oppure: “Un uomo riesce a mettere a punto una macchina del tempo e torna indietro di alcuni decenni, uccidendo suo nonno. La situazione è quindi: ho viaggiato indietro nel tempo, ho ucciso mio nonno, se ho ucciso mio nonno, non esiste mio padre, e quindi non esisto io; ma se io non esisto, come ho potuto uccidere mio nonno?”

Alla più banale: “Più studi, più sai; più sai più dimentichi; più dimentichi meno sai. Studiare allora non serve a nulla”. Resa celebre da un film: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. (Comma 22 di Joseph Heller). Quelle battute paradossali di Groucho Marx in vari film: “All’infuori del cane il libro è il miglior amico dell’uomo. Dentro il cane è troppo buio per leggere”. “La commedia non mi è piaciuta, però l’ho vista in condizioni sfavorevoli: il sipario era alzato”. “Il matrimonio è la causa principale del divorzio”. “Eravamo in tre e lavoravamo come un sol uomo. Cioè due di noi poltrivano sempre”. “Non dimentico mai una faccia, ma nel tuo caso farò un’eccezione”. “Naturalmente nella vita ci sono un mucchio di cose più importanti del denaro. Ma costano un mucchio di soldi!

Parodia (letteralmente, ‘controcanto’) si ride solo se si conosce il testo di riferimento: ad es., Maurizio Crozza che fa il verso ad Angelo Branduardi (Alla fiera dell’Est) cantando Alla fiera dell’Expo / quanti soldi / il cittadino italiano buttò.

Paronomasia (o bisticcio di parole) – Accostamento tra parole foneticamente simili (non necessariamente isosillabiche e identiche nei fonemi sia iniziali sia finali, come vuole la perfetta paronomasia): ad es., “La sveglia del killer suona alle cinque del mattino per ricordargli la sua luttuosa missione… Si alza il sicario”.

Sarcasmo: ironia elevata alla massima potenza, deriva dal greco sarkasmòs che si riferisce al dilaniare, al lacerare carni, all’addentare, dove appare immediatamente l’aggressività ma indiretta e mascherata da falsa giocosità con l’obbiettivo di pungere, far sentire in colpa, provocare reazioni negative nell’altro. Per esempio, un padre dice alla figlia: “Carino il tuo nuovo fidanzato, con la terza media andrà molto lontano… Scherzo eh!”, in realtà, sta esprimendo un giudizio pesantemente negativo sul ragazzo e sulle scelte della figlia tentando di condizionarla. Beppe Grillo su eBay aveva messo in vendita una pietra pomice per “smerigliare le menti” a soli 1.000 euro, il sito di E-commerce… lo ha espulso, la razionalità è incompatibile col sarcasmo.

Satira. Deliberato uso dell’umorismo con finalità aggressive. Un’interpretazione comune del termine sarebbe fatta derivare dai satiri, esseri metà umani e metà ferini, presenti nella mitologia dionisiaca. Una seconda, derivata dal latino satura, si riferisce a piatto ricolmo di pietanze miste.

C’è pure quella della Corte di Cassazione emessa nel 2006: “manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si addossata il compito di correggere i costumi (castigare ridendo mores) indicando alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito di carattere etico…” I corsivi di Fortebraccio sul quotidiano comunista “l’Unità” erano stati un esempio di satira politica rivolta alla Democrazia Cristiana, proseguiti poi da Michele Serra su “Cuore” o di Stefano Benni su “il Manifesto”, negli anni Settanta compaiono in forma visiva attraverso vignette (Altan) e fumetti come “Il Male” o “Frigidaire” ancor più corrosivi. Al cinema o in Tv come non menzionare i Monty Python (1963-1983), nell’epoca della rete “Lercio”. Ma in edicola ancora si trova dal 1982 il “Vernacoliere”, quello più feroce e trasgressivo.

Solletico. Induzione al riso attraverso una manovra di contatto sull’epidermide, in genere, alle ascelle o ai piedi. Intorno ai quattro mesi i bambini ridono quando gli si fa il solletico, verso gli otto mesi ridono del gioco del cucù, intorno a un anno dei comportamenti impropri degli adulti, verso i due anni con giochi di finzione insieme ai pari, si produrranno il riso da soli.

Umorismo. Illuminante il saggio di Luigi Pirandello del 1908, dove distingue il comico dall’umorismo, il primo è l’avvertimento del contrario, mentre il secondo è il sentimento del contrario. Ecco il celebre esempio:

“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico”.

[1] Platone, Teeteto, o sulla scienza, Feltrinelli, Milano, 1994.


Una novità di Asterios!https://www.asterios.it/catalogo/particelle-di-rivolta-1968