La passione di Anders per l’arte e la letteratura non la si ritrova solo nei suoi saggi di estetica o nella raffinata qualità letteraria della sua prosa filosofica. Per tutta la sua vita egli stesso ha infatti continuato a disegnare, dipingere, suonare il piano e soprattutto a scrivere romanzi, poesie, favole. A differenza della maggior parte dei filosofi, Anders non ha mai voluto rinchiudersi in un unico genere letterario o adoperare un solo linguaggio, ma ha provato incessantemente a comunicare i suoi messaggi e le sue idee attraverso un caleidoscopio di forme letterarie, artistiche e linguaggi molto eterogenei tra loro. Dall’avvento di Hitler in poi, è lui stesso a raccontarlo, Anders si sente come costretto a diventare un filosofo morale ed allora al “posto dell’ampiezza della tematica filosofica subentrò quella dei generi letterari più diversi[1]”. I saggi di estetica che sono stati sopra analizzati danno le coordinate per cogliere le influenze che ebbero su di lui i suoi artisti e le sue opere preferite. Vediamo ora di seguito in breve il contenuto di queste sue opere letterario-filosofiche.
Durante gli anni dell’esilio a Parigi, Anders lavora instancabilmente a due opere di narrativa: Learsi e La marcia della fame[2]. Learsi (titolo che se letto al contrario, da destra a sinistra, diventa Israel) è un romanzo, che potremmo dire kafkiano, il quale fa i conti con la tragica esperienza dell’emigrazione (che Anders in prima persona vive sulla sua pelle mentre lo scrive) e nel contempo con l’essere senza mondo, così come con la condizione di estraneazione, che vivono quotidianamente l’uomo e la donna ebrea nella spasmodica ricerca dell’assimilazione e dell’integrazione. Impersonificazione di questa triste condizione è il protagonista della storia, Learsi, un uomo che proviene da una terra straniera e lontana di nome Bocotia. Giunto in una notte di pioggia scrosciante dinnanzi al grande albergo “La libertà”, in una città dello stato di Topilien (si noti la somiglianza con l’incipit de Il castello di Kafka), egli si ritrova di fronte al fatto che tutte le camere sono occupate ed oltretutto la maggior parte di esse da pensionanti fissi. Learsi tuttavia, attratto dall’insegna dell’albergo e dal mondo di Topilien, si decide per restare lo stesso; si accontenta così di un semplice tetto sopra la testa persuadendosi di non aver alcun bisogno di una camera per dormire. Learsi rimane lì dentro per diverso tempo ed a poco a poco prende possesso di quello che non tarda a definire come il suo albergo; nella sua condizione è come se egli possedesse l’intero albergo, ma nessuna sua parte in particolare e nessuna sua stanza specifica. Egli vaga giorno e notte per i corridoi, le scale, i sotterranei ed i piani alti dell’edificio, sostando a volte di fronte alle porte chiuse delle camere occupate dai viaggiatori. Durante i suoi numerosi giri quotidiani egli riflette sulla condizione di appartenenza, constatando che è estraneo e non appartenente sia chi come lui possiede l’intero ma nessun particolare (l’intero edificio ma nessuna stanza in particolare), sia chi possiede un particolare ma non l’intero (una stanza ma non l’intero albergo). Appartengono e sono nel mondo, infatti, solo coloro i quali possiedono sia l’intero che il particolare. Come K. ne Il castello, Learsi tenta in ogni modo di integrarsi e di entrare a far parte del mondo di Topolien, cancellando la macchia della sua diversità e tentando di farsi accettare. Sembra in verità pian piano riuscirci, conquistandosi strenuamente la fiducia di tutte le persone che stanno nell’albergo (dal direttore, agli ospiti, fino al personale che lavora nei sotterranei), ma la sua intima speranza ed illusione di appartenere a tutte queste differenti classi sociali viene presto spezzata: un incidente banale lo espone infatti improvvisamente alla diffidenza di tutti coloro i quali vivono nell’albergo, che lo accusano di aver rubato l’insegna. Learsi è così cacciato dall’albergo, ma non si demoralizza e continua altrove la sua anonima odissea in cerca della tanto agognata assimilazione. Ma quando infine sembra essere quasi sul punto di raggiungere il suo traguardo, pur tra la totale diffidenza degli abitanti di Topollien, è ingiustamente accusato di un delitto che altri hanno commesso (anche qui il richiamo a Kafka, ed in particolare a Il processo, è evidente). Non rimane dunque a Learsi altra alternativa che fuggire da Topollien e svanire nel nulla, senza che il lettore sappia mai che fine abbia fatto lo sfortunato protagonista della storia.
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La marcia della fame (Der Hungermarsch, che vincerà il premio Narrativa dell’emigrazione ad Amsterdam nel 1936) è una novella filosofica che affronta il problema del fallimento degli intellettuali a capo della rivoluzione. La novella è ambientata in Messico all’indomani dello scoppio di una rivolta; il protagonista è un certo Om, descritto come il sacerdote e comandante della rivoluzione e nel contempo come un ciarlatano della verità. Om è la classica figura del rivoluzionario, che una volta scoppiata la rivolta e portata a termine la rivoluzione fa di tutto per mantenersi al potere e piegare la realtà alle sue dottrine ed alla sua propaganda, fino a rimanere intrappolato nelle sue stesse dottrine rivoluzionarie. Om è così respinto da tutti, sia dai lavoratori delle piantagioni di tabacco della città di Baraño, che si sentono traditi dai propositi della rivoluzione da lui capeggiata, sia dagli stessi latifondisti, che si sentono da lui derubati.
Negli anni quaranta, durante l’esilio americano, Anders lavora invece ad una swiftiade cinica dal titolo Hesternien[3]. In quest’opera Anders torna a trattare il problema del pluralismo e del politeismo culturale che caratterizzano l’essere senza mondo dell’uomo moderno. Tale politeismo culturale è descritto sotto forma di una guida al museo della città di Hesternien, attraverso l’universo dei valori culturali equivalenti. In questo museo, chiamato “Mumeum” (perché costituito da una collezione di “mummie culturali” di ieri, da cui il nome della città Hesternien, che rimanda alla parola tedesca gestern che significa appunto ieri) sono conservati migliaia di oggetti, provenienti dai luoghi e dai tempi più disparati e conservati in modo artificioso. Ogni oggetto conservato ha secondo i dettami del pluralismo lo stesso identico valore di un altro; ed ognuno di questi oggetti è cosparso di glassa, così che i visitatori possano (anzi debbano, previo inserimento di una moneta) assaggiare, leccandoli, i vari oggetti culturali. Gli hesterniani sono davvero fieri che sia ammesso chiunque, e molte volte gratuitamente, a questa “fase orale” di Hesternien: “questo oralismo definiva proprio l’orgoglio culturale degli hesterniani, i quali non si stancavano di elogiare questa generale validità del diritto a leccare, a riprova della loro democrazia[4]”.
Mariechen[5] è invece un racconto filosofico in versi che esprime, in una forma artistica sublime, una delle idee fondamentali che percorre tutta la produzione filosofica di Anders: la vita, seppur senza senso e contingente ovvero senza alcuna giustificazione trascendente o teologica, è nonostante tutto eternamente giustificata, sacra e meravigliosa. Un’idea questa che ha certamente molto in comune con l’innocenza del divenire e l’amor fati di Nietzsche che avversa tutte le concezioni ottimistiche (della volgare teologia o della più astrusa metafisica), sempre alla ricerca di un Creatore e di un senso trascendenti, così come del più pessimistico nichilismo, che vede in questo non-senso e non-giustificazione dell’esistenza un motivo sufficiente per rivoltarsi contro la vita stessa. In questo poema una voce fuoricampo racconta all’amica, la piccola Mariechen, la storia di una balena che curiosamente porta il suo stesso nome (ai bambini si raccontano spesso fiabe di personaggi inventati con il loro nome, per favorirne il coinvolgimento e la possibile identificazione con la storia ed i protagonisti). Questa balena nuota solitaria nello stretto di Bering, ma un giorno viene messa incinta dal suo compagno Eduard. Mariechen partorisce così, dopo alcuni mesi, il suo piccolo Eduard Jr., per poi proseguire indisturbata e solitaria il suo cammino senza meta negli oceani. Dietro l’apparente semplicità della trama si trova in realtà condensata tutta l’antropologia filosofica di Anders: la contingenza dell’essere, la sua casualità, la sua individualità ed i suoi continui tentativi di identificazione con se stesso. Esserci significa sempre essere mancante, poiché ciò che è, è sempre se stesso, ciò che è se stesso, è uno, e ciò che è uno, ha pareti, cioè è escluso dal tutto[6]. La domanda sul perché qualcosa o qualcuno esista è una domanda a cui non è e non sarà mai possibile dare una risposta. Ogni risposta, anche quella più filosoficamente o teologicamente raffinata, rischia infatti di “essere un luogo comune, se paragonata alla bellezza del problema[7]”.
Der Blick von Turm (Lo sguardo dalla torre) è una raccolta di brevi favole che Anders scrive tra il 1931 ed il 1968. Queste favole filosofiche di Anders, per il loro stile, per il loro linguaggio e soprattutto per il chiaro intento critico e pedagogico che hanno, richiamano da vicino le Storie del signor Keuner di Brecht (molto apprezzate dallo stesso Anders) e le brevi storie del buddismo Zen. I metodi attraverso i quali queste favole producono nel lettore un effetto scioccante ed educativo allo stesso tempo, sono i metodi letterari utilizzati dagli scrittori preferiti da Anders ed ampiamente analizzati nei suoi saggi di estetica: lo straniamento, l’inversione e la deformazione. Queste favole diventano così un tentativo di veicolare le proprie idee al di là della stretta cerchia elitaria dell’ambiente accademico e del suo linguaggio specialistico ed astruso (aspramente criticato da Anders in più occasioni), costituendo un fulgido tentativo di filosofia popolare che si rifiuta di essere mero esercizio di stile all’interno delle università per riprendere prepotentemente il ruolo della filosofia classico e socratico di esercizio nella pubblica piazza e nella società intera. In Lo sguardo dalla torre, che si compone di un centinaio di favole di lunghezza variabile, troviamo condensate in pillole un po’ tutte le riflessioni ed i problemi che hanno tenuto occupato Anders nell’arco della sua esistenza: lo choc del contingente, l’indeterminatezza dell’uomo e la sua non centralità nel cosmo, l’essere senza mondo dell’uomo moderno, il problema dell’impegno politico nell’arte, la critica al pluralismo culturale, al conformismo ed al capitalismo, la stroncatura della filosofia accademica, la messa in guardia dalla propaganda politica dei regimi dittatoriali, le riflessioni antimilitariste e pacifiste, la messa in discussione feroce dell’idea positivista di progresso, le considerazioni critiche sui media e sulla tecnica, ecc. Non staremo certo qui a spiegare le favole di Anders o a volerne fare l’esegesi; è lo stesso Anders che ci ammonisce a non cadere nell’errore di voler spiegare razionalmente ciò che è mito, favola, proverbio:
E’ penoso spiegare le fiabe o i proverbi[…]. Essi stessi sono delle spiegazioni e di un genere migliore di tutti gli altri: perché sono al contempo degli ammonimenti. Se devono essere tradotti, significa che sono di bassa qualità. E quando vengono tradotti suonano grossolani e inefficaci. […]Perché la favola è un microscopio[…]che trasforma e distorce la dimensione di ogni cosa. […]chi ha detto che a occhio nudo si vedono le cose nella dimensione giusta? Vedi forse i bacilli nella dimensione giusta a occhio nudo? Nella dimensione, cioè, commisurata alla loro importanza? Però attraverso il microscopio li vedi correttamente. […]il microscopio non altera e non deforma la realtà[…]. E’ l’occhio nudo che altera e deforma in primo luogo[…]. Travisa la reale pericolosità dei bacilli e ostacola la vera lotta contro di loro. Il mezzo tecnico modifica questa condizione: rettifica e rende chiaramente visibile ciò che vogliamo curare e combattere. Anche questa è una favola? E’ la definizione di favola[…]. Perché le favole non sono rappresentazioni bensì mezzi[8].
Notate bene, ammonisce Anders per bocca del protagonista Esopo in Il capovolgimento di: “non tradurre un concetto in immagine – sarebbe un fare allegorico – bensì tradurre un’immagine in un concetto. Quelle che voi chiamate <favole>, sono allegorie capovolte[9]”. Il procedimento del favolista non è quindi, come pensano in molti, quello di tradurre in linguaggio figurato un concetto che si ha in testa; questo è il procedimento che usa l’allegorista e che è alla base della costruzione delle parabole (come ad esempio quelle evangeliche). Nelle parabole l’immagine aiuta e facilita la comprensione esatta del messaggio da parte dell’ascoltatore, ma tali immagini necessitano sempre un’esegesi attenta e sono vincolate ad un particolare dogma, o perlomeno ad una ben precisa tradizione. Il favolista da parte sua (e quindi anche Anders stesso) non parte da un concetto per costruire la sua favola ma da un’immagine che riveli di possedere un significato univoco (a volte non completamente chiaro dall’inizio neppure all’autore stesso della favola), al di là della tradizione culturale, dei dogmi e delle religioni.
Kosmologische Humoreske (Ironie cosmologiche) è un racconto del 1954 e a detta dello stesso Anders costituirebbe il suo testo filosofico più originale[10]. Anders utilizza qui la farsa e il mito per raccontarci la sua personale cosmogonia, affrontando le questioni metafisiche ed ontologiche più importanti (perché c’è l’essere e non invece il nulla, per quale motivo l’essere si è poi diviso nella pluralità dei vari enti, che senso ha la vita umana, chi ha creato il mondo, ecc.) e lo fa in modo ironico, in polemica con i teologi e i filosofi di professione e con la loro terribile serietà. Anders ammette che nello scrivere questo racconto è stato innegabilmente influenzato dal pensiero e dall’ontologia di Heidegger, ma aggiunge di aver “modificato la sua insopportabile serietà in una «gaia scienza»[11]”. Questa leggenda molussica narra di Frau Nu, la signora del nulla e del vuoto, che conosce soltanto “la pace paradisiaca del nulla, disturbato da niente[12]”. Ma un giorno, la pace solitaria nel nulla di Frau Nu è disturbata dal dio Bamba, creatore di se stesso e principio dell’essere. L’inaspettata e repentina comparsa del dio Bamba provoca in Frau Nu non stupore o paura, ma semplicemente una fragorosa risata: Frau Nu trova estremamente comico, infatti, che un essere se ne freghi dell’indubitabile principio dell’ex nihilo nihil fit (che nulla viene dal nulla) e che esso, senza considerare l’irrefutabile principio di ragione sufficiente (secondo il quale nulla si verifica senza che sia possibile, per colui che conosca a sufficienza le cose, dare una ragione che basti a spiegare perché un qualcosa è così e non altrimenti), abbia avuto la sfrontatezza e l’insolenza di cominciare ad essere. La pretesa di esserci è infatti in sé anormale, contraddittoria e soprattutto comica come qualsiasi cosa che è contingente, la quale è, sebbene possa benissimo anche non essere. Temendo tuttavia di poter perdere il suo dominio assoluto sul tutto (o meglio sul nulla), di essere mandata in esilio o ancora di essere relegata in un angolino dell’universo, Frau Nu decide di dichiarare guerra al dio Bamba. Attrezzata di tutto punto, decide di fare pulizia spazzando via, ovunque sorga ed appena nasca, la volontà di essere al modo del dio Bamba e di distruggere ogni insetto divino. Da parte sua il dio Bamba:
per sfuggire all’insopportabile solitudine della sua esistenza, prese la decisione di creare un mondo, ed entrò in trattative con Frau Nu, la signora del nulla e del vuoto. Infatti soltanto Frau Nu possedeva quella nullità senza la quale la creazione degli esseri e delle cose mortali, in breve del mondo, non sarebbe stata possibile. Ma poiché Frau Nu, che era scaltra negli affari, intuì che Bamba aveva bisogno di lei, pretese come compenso per la sua collaborazione, il diritto in futuro a tutte le cose create. Per questo motivo il giorno in cui Bamba accettò questa condizione è considerato in Molussia non solo come il giorno di nascita del mondo, ma anche come quello della morte[13].
Il risultato di questa collaborazione tra il Dio Bamba e Frau Nu è il mondo, un che di ibrido e di ontologicamente ambiguo che si situa tra l’essere e il non essere. In una favola, contenuta in Lo sguardo dalla torre, Anders ritorna sulla creazione di Bamba:
che sia impossibile creare qualcosa dal nulla è vero oggi non meno che nel giorno della creazione. Eppure è incontestabile che, ciò nonostante, l’impossibile sia riuscito al dio Bamba. Oggi non meno di allora egli merita perciò la nostra ammirazione. Ma…
Ma vi è un’infinità di ma.
Infatti perché mai il dio ha creato in una volta sola questa gran massa? Perché questa sovrapproduzione? Perché ad esempio oceani sconfinati? Non sarebbe egualmente bastata una goccia, sovranamente sfolgorante nell’universo del nulla, a dimostrare che a lui l’impossibile era comunque possibile? Perché vi chiedo? Che sia stato – non si dica in giro!- così irragionevole da non capire che si trattava di un principio? Oppure così ingenuo da vedere nella creazione di due gocce un rendimento maggiore che in quella di un’unica goccia? Oppure così impotente che, dopo aver iniziato, sia stato incapace di smettere nuovamente? O che l’abbia fatto addirittura – per dispetto? Per spaventare l’Universo del nulla? Ah! Il numero delle domande che ci pone non è più modesto del numero delle cose che ha creato. E nemmeno lui stesso, temo, sarebbe in grado di darci le risposte. Perché dove sta scritto che gli dei conoscano tutto, e perfino se stessi[14]?
Comunque sia, questa sorta di colonia divina che è il nostro mondo è sì abbastanza indipendente per essere se stessa, ma allo stesso tempo è dipendente da Bamba, che detiene il monopolio dell’essere. Il dio Bamba è troppo geloso ed egocentrico, infatti, per creare qualcosa che abbia il suo stesso valore ontologico. Il mondo e tutte le cose, tutti gli essenti e l’uomo, i quali appena creati si ritrovano schiavi del pregiudizio ontologico di essere sempre stati e di non poter che essere, sono il frutto del compromesso tra la volontà del dio Bamba, desideroso di compagnia ma troppo vanitoso e troppo attaccato alla sua prerogativa ontologica, e la volontà nichilista di Frau Nu. Quando però il dio Bamba afferma l’apriorità dell’essere (non quella degli essenti) sul nulla, Frau Nu si decide per intervenire nuovamente, dichiarando guerra a Bamba ed affermando a gran voce la contingenza dell’essere e degli essenti da lui creati. Frau Nu, rivolgendosi a Bamba, urla a gran voce:
Per la prima e ultima volta. A priori sono soltanto io. Certo, io, il nulla! E niente altro. Ogni altro a priori è solo una sciocchezza. Ogni altro principio è senza senso[…]. Perché ciò che vale per ogni singolo, e per il tuo “dolce empirico”, vale naturalmente del mondo come tutto! E ciò che vale per il mondo come tutto, vale anche naturalmente per il suo essere! E ciò che vale per l’essere in generale, vale naturalmente anche per te! Contingenti! Contingenti siete voi tutti; contingenti tutti quanti e a posteriori, e nessuno è meglio dell’altro[15].
Tutti gli esseri del mondo, nonostante lo sforzo di Bamba che infonde loro la vita col suo soffio, sono ineluttabilmente condannati alla mortalità ed alla contingenza; essi spariscono come piccole nuvole così velocemente come sono apparsi. La storia narrata da Anders si conclude con la constatazione che questo gioco di Bamba (Anders fa qui il verso all’interpretazione di Nietzsche di alcuni aforismi di Eraclito[16]) dio dell’essere, e di Frau Nu, signora del niente e del vuoto, va avanti ancora oggi come una sorta di meccanismo che distrugge e crea ininterrottamente. Alla fine però Anders avanza anche un’ipotesi ardita: non è che i due eterni giocatori, siano soltanto impiegati ciechi di un movimento meccanico e sempre uguale a se stesso, che si è messo in moto una volta per caso e che continua a mettersi in moto da sé? Naturalmente, come è giusto che sia in questi casi, Anders ci lascia con quest’interrogativo senza provare neppure a rispondere, essendo questi problemi irrisolvibili per le deboli forze intellettuali dell’essere contingente uomo.
Pronta definitivamente per la pubblicazione nello stesso anno in cui fu dato alle stampe Il mondo nuovo, di Aldous Huxley, e ben sedici anni prima di 1984, di George Orwell (a onor del vero anche dieci anni dopo quella di Noi, di Evgenij Ivanovič Zamjatin), La catacomba molussica sarebbe diventata con ogni probabilità famosa ed influente quanto le opere sopra citate, divenute ben presto paradigmatiche del genere distopico-totalitario del novecento, se non fosse che la storia della sua stesura e della sua pubblicazione è stata una vera e propria odissea[17]. La prima versione di questo romanzo di Anders, che è andata con ogni probabilità perduta, era già stata ultimata nel 1932, prima dell’avvento al potere di Hitler; Anders consegnò il manoscritto all’amico Brecht, pregando quest’ultimo di recapitarlo al suo editore Kiepenheuer, per far sì che venisse pubblicato in brevissimo tempo e potesse in questo modo servire alla causa antifascista per cui era stato scritto. Ma Kiepenheuer, visti i tempi bui ed i rischi legati alla pubblicazione di opere che si opponevano al nascente regime nazista, decise di tenere nascosto il manoscritto avvolgendolo in una carta geografica dell’Indonesia, sulla quale fece segnare un’isola inventata di nome Molussia. La sua prudenza apparve ben presto giustificata: pochi giorni dopo, infatti, la Gestapo fece irruzione presso i suoi uffici e gli requisì tutti i libri; ma i censori caddero fortunatamente nella trappola tesa loro dall’editore, e dopo aver esaminato in maniera molto superficiale l’opera di Anders, la rispedirono in fretta a Kiepenheuer perché reputata un’innocua raccolta di favole dei mari del sud. L’editore comunque, impaurito dall’accaduto, decise di restituirla a Brecht, il quale a sua volta la diede indietro ad Anders nei giorni immediatamente precedenti la fuga di quest’ultimo in Francia. Ma Anders, anch’egli spaventato per quanto stava succedendo, non ebbe il coraggio di portare con sé il manoscritto durante il viaggio e lo consegnò così ad Anne Mendelssohn, una cara amica di infanzia di Hannah Arendt. Costei per nasconderlo, dopo averlo avvolto con carta pergamena, lo appese nell’affumicatoio accanto ai salumi dove rimase per diversi mesi a stagionare, prendendo lo stesso buon odore dei vicini prosciutti e salami. Ma quando la Arendt raggiunge qualche mese più tardi suo marito in esilio, a Parigi nel quartiere latino, decide di portare con sé l’opera nei suoi bagagli. In quegli anni di totale indigenza, in cui ci si può permettere a pranzo solo del pane, il manoscritto viene utilizzato dai due coniugi per fini non propriamente riconducibili alla lotta antifascista, ovvero come salsa odorosa: Anders racconta, infatti, che annusava le sue pagine quotidianamente mentre divorava una baguette, per sentire almeno l’odore di quel companatico che non poteva acquistare. Visto però che nel frattempo le sue più pessimistiche previsioni sull’avvento al potere di Hitler si sono purtroppo avverate, e dato che egli, a differenza di molti altri intellettuali, crede inverosimile una caduta di lì a breve del regime dittatoriale instauratosi in Germania, Anders sente ancora più impellente la necessità di pubblicare il suo romanzo distopico-antifascista. Egli lavora febbrilmente così ad una nuova stesura ampliata del manoscritto originale, nello stesso periodo in cui la Arendt scrive Le origini del totalitarismo (che avrà, a differenza de La catacomba molussica, un enorme successo internazionale); i due coniugi trascorrono le sere leggendosi alcune parti delle opere che scrivono di giorno e discutendo delle stesse, ma mentre Anders è entusiasta del lavoro di sua moglie, lo stesso non si può dire di Hannah nei confronti del lavoro del marito. Fatto sta che alla fine, dopo mesi di duro lavoro, Anders riscrive praticamente daccapo il suo romanzo; questa nuova versione, che ha il triplo delle pagine di quella precedente, viene ultimata nel 1938 e subito consegnata a Manès Sperber, un editore di lingua tedesca a Parigi, allineato col marxismo. Assieme al manoscritto, Anders vi allegata pure una breve introduzione in cui viene presentata l’opera come un libro antifascista ma non dogmatico, un’analisi del fascismo e nello stesso tempo della nostra sconfitta. L’opera di Anders sì marxista, ma di un marxismo totalmente eterodosso e non di partito, non piace al dogmatico editore che difatti la scarta per un’eventuale pubblicazione, rivolgendo ad Anders le seguenti parole: “«E questo secondo lei vuol dire essere fedele alla linea?» Al che replicai[…] «E lei crede che tale concetto di fedeltà sia in tutto degno di un filosofo?»[18]”. Dopo anni di oblio, l’odissea di tale opera si conclude con la sua pubblicazione nel 1992 (l’anno della morte di Anders), a più di mezzo secolo di distanza dalla data della sua ultimazione. Qualche anno prima Anders, rispondendo ad una domanda sul suo romanzo giovanile, ha affermato forse con troppa modestia, che ormai questo scritto “ha perso completamente la sua funzione, che per altro non ebbe mai l’occasione di adempiere[19]”. La catacomba molussica è invece ancora un’opera estremamente attuale: essa è una messa in guardia verso tutti i totalitarismi e le striscianti derive dittatoriali che purtroppo ancora oggi, nel nostro mondo contemporaneo, continuano imperterrite a farsi vive. L’intento delle storie molussiche è infatti quello di svelare i fatti, i processi e le menzogne che rendono possibile l’affermazione di un regime a scapito di una popolazione totalmente ignara: “Parlo[…]di quelli che Burru ha sedotto e raggirato; degli ingannati, che considerano la menzogna verità. E che sono pronti a sacrificarsi per lei – non solo a parole, ma con fiducia e sincerità, con tutta l’anima e tutto il cuore[20]”. Non si può d’altra parte essere così ciechi od ottimisti da sentirsi immuni dalla seduzione della propaganda politica e mediatica, da cui si è tutti incessantemente bombardati in ogni luogo in cui ci si trovi ed in ogni momento della propria esistenza. Ancora oggi, come è sempre stato, il potere si cela infatti dietro la menzogna e la menzogna si regge sempre sul potere: entrambi sono sempre accoppiati e si rinforzano a vicenda. E se è innegabile che le singole menzogne hanno vita breve, è altrettanto innegabile, ci ricorda Anders, che la Menzogna in senso assoluto “ha una forza generatrice[…]. Non appena una menzogna verrà smentita, ne arriverà subito un’altra. E noi, noi non siamo altro che la sua scorta: le corriamo accanto, ci teniamo al corrente e la rettifichiamo[21]”. Nel nostro mondo contemporaneo, immerso nel frastuono dei mezzi di comunicazione di massa e dei suoi imbonitori, gli ammonimenti di Anders sono più che attuali: bisogna sempre diffidare di coloro che urlano, egli continua a ripeterci, perché se chi parla normalmente:
risparmia la sua energia per ciò che si prefigge. Chi invece promette e non si preoccupa di mantenere la sua promessa mette tutti i suoi sforzi già nella parola. Chi fa propaganda non ha alcun motivo per risparmiarsi, e così la sua parola appare energica, pronta e promettente come se fosse già all’opera per mantenere le promesse[22].
La menzogna è sempre urlata, afferma Anders, ed in questo urlare sta la sua forza e la capacità di offuscare la sua insensatezza, mentre la verità è spesso detta a voce bassa e per questo è più difficile sentirla. Ed a chi, per negare la propria vulnerabilità di fronte alla menzogna ed alla propaganda, ingenuamente si appella alla libertà di parola che vige nelle nostre società occidentali democratiche (libertà che naturalmente è garantita anche in Molussia), Anders ammonisce che tale cosiddetta libertà spesso si riduce ad una formula vuota, ovvero nella libertà di pensare e di dire opinioni che altri ci hanno inculcato: ogni regime, e ancora più quello che passa per democratico, non è infatti tanto interessato al fatto che non si esprimano opinioni, quanto a quello che nessuno sia in grado di formarsene una propria; per questo motivo bisogna diffidare sempre dagli slogan, non solo da quelli usati dal nemico, ma anche da quelli che noi stessi usiamo più o meno consapevolmente con intenti critici. L’opposizione ad un regime dittatoriale e la resistenza contro il potere che vuole asservirci, passano quindi sempre preliminarmente, dice Anders, da una presa di coscienza della propria condizione e dallo svelamento delle menzogne del potere, compito affidato appunto alle storie raccontate ne La catacomba molussica (per questo motivo a Molussia hanno da sempre considerato la conoscenza come istigazione, e chi mette in guardia contro i pericoli al pari di colui che commette effettivamente il reato). Questo perché chi si oppone e chi resiste è sempre colui che conosce ed è consapevole di ciò che accade attorno a lui, mentre gli ignoranti, non sapendo mai di esserlo, non possono lottare contro chi li tiene in questa condizione e per questo:
La loro liberazione è necessaria perché non sanno di dover essere liberati. La loro ignoranza non è solo l’ostacolo, ma anche il motivo che rende necessaria la rivoluzione. Saremo in grado di attuarla da soli? Noi pochi consapevoli? Certamente no, perché chi non sa sta dalla parte dei suoi nemici: in questo consiste la sua ignoranza. Dunque dovremmo combattere non soltanto contro i nostri nemici, ma anche con la massa che si allea con loro, anche se combattiamo proprio in favore di quella massa. Abbiamo bisogno di quelli che non sanno. E se quelli che non sanno ascoltano solo la voce di chi li incanta allora anche noi dobbiamo incantarli. In modo che, dopo la rivoluzione, si rendano conto che l’avrebbero fatta loro stessi se fossero stati in grado di riconoscerne la necessità e che capiscano perché non ci sono riusciti[…]. Impariamo a sfruttare le loro speranze, anche se sono le stesse che hanno riposto in chi li ha ingannati con vane promesse; sfruttiamo il loro entusiasmo, anche se si fideranno di noi come già si sono fidati dei falsi profeti. […]Dunque ingannali a beneficio loro e della verità[23]
Se è certamente vero che la verità esigerebbe di non essere urlata, come è stato detto precedentemente, bisogna in tempi difficili imparare ad urlare le proprie ragioni, affinché la verità silenziosa non sia surclassata dalla menzogna a voce alta; per far trionfare la verità bisogna infatti imparare ad urlare più forte di coloro che mentono, ed anche “se ci sembra umiliante far trionfare la verità a suon di trombe e di tamburi – dobbiamo gridare. Potremo permetterci di essere nobili solo dopo la vittoria[24]”. Colui che si oppone al regime (non importa quale, i dittatori sono intercambiabili) deve inoltre aver ben chiaro che occorre sempre agganciare i propri principi alla realtà; è facile infatti avere dei bei principi, ma la maturità sta nel compromesso che porta alla loro realizzazione. E soprattutto è bene sapere, come ammise Yegussa, che la “rivoluzione è più difficile di quanto avessi immaginato[…]. Perché inizia il giorno dopo la vittoria della rivoluzione[25]”. La rivoluzione è si difficile, ma nello stesso tempo imprescindibile, perché non si può sperare che il potere si delegittimerà da solo in quanto contro la legge, infatti:
il potere non viola mai la legge. Il potere viola solo un altro potere. […]Il potere si farà presto avvalorare dalle sue leggi dopo essersi spianato la strada senza di esse. […]Se una rivoluzione è avvenuta a ragione o a torto lo si capisce solo dal suo successo: se la sua diffusione le ha permesso di istituire una propria legge e di farsene avvalorare[26].
Per cui ancora oggi, che l’incubo del nazismo e dello stalinismo è fortunatamente svanito, l’opera di Anders continua ad avere una ben precisa missione: metterci in guardia contro le menzogne di coloro i quali vogliono asservirci e sfruttarci, contro chi detiene il potere (politico, militare, economico, religioso, mediatico, ecc.); lo stesso Anders, ancora nelle opere della maturità, saccheggerà sistematicamente alcune frasi o brani dalla sua opera giovanile, a riprova che la reputasse ancora attuale ed utile; d’altro canto in essa troviamo in nuce molte delle teorie e delle idee che saranno alla base delle sue opere della maturità. Veniamo ora ad una breve analisi di quest’opera così interessante ed insieme così complessa. La catacomba molussica è un romanzo filosofico e pedagogico che si prefigge di fornire ai suoi lettori gli strumenti per svelare le menzogne della propaganda e dell’ideologia fascista, ma anche della nascente propaganda comunista in URSS, così come di quella imperialista in USA (visto che alcune storie si svolgono in Ursia o in Usalia). La narrazione è ambientata in Molussia, una terra immaginaria (tipica di ogni utopia ed anche di ogni distopia), in un tempo non ben specificato ma che ha tratti molto comuni con la nostra epoca o con il nostro presumibile futuro prossimo. Nella premessa, che è parte integrante dell’opera (scritta da Anders anche se porta la firma “L’editore”), leggiamo che le pagine che seguono sono nate nell’ultimo e più terribile periodo del movimento di liberazione molussico; e che tale documento contiene la trascrizione letterale dei dialoghi (la somiglianza a volte forte con i dialoghi platonici o con la raccolta di Le mille e una notte è ritenuta del tutto casuale) di due dei tanti detenuti condannati a scontare il resto della loro esistenza nelle prigioni sotterranee di Molussia. Questo Manuale della menzogna viene immediatamente pubblicato dai vincitori, poco dopo la liberazione di Molussia, ma se il suo contenuto si è preservato i vincitori lo devono ai loro nemici, ai carcerieri: sono stati difatti questi servitori del terrore, che obbligati a sorvegliare i detenuti e condannati ad ascoltare giorno e notte le loro parole, hanno trascritto i loro dialoghi e così facendo hanno lavorato inconsapevolmente per i combattenti della libertà. La prima edizione di questo manuale era pensata, da chi lo ha pubblicato, come destinato alle sole persone istruite che trascuravano la verità per paura od opportunismo; ma tale limitata destinazione scompare nelle edizioni successive dove si raccomanda al contrario di utilizzare alcuni racconti come:
materiale di discussione nell’ambito della più ampia educazione al raziocinio; brani accuratamente selezionati possono addirittura essere letti insieme ai bambini[…]. Perché in quest’epoca di derisione generale dello spirito, di istupidimento organizzato, di idolatria comandata, nessuna causa richiede una elaborazione così profonda e allo stesso tempo così ampia come la lotta contro la menzogna per il trionfo della ragione. E’ raro che l’uomo sia entusiasta di combattere per questa causa, entusiasta di elevarsi – non di sentirsi uno spirito eletto; di realizzare se stesso – non di idolatrarsi. Il dovere di elevarsi non è affatto teologico, bensì umanistico. Quando troviamo dei testi che trattano di questo dovere in termini entusiastici, con lo zelo quasi religioso degli eretici, dobbiamo servircene e diffonderli. Oggi questo libro è destinato a tutte le vittime della menzogna: non solo agli intellettuali, che devono essere restituiti alla causa della verità; non solo agli esiliati e ai dispersi nel mondo che vivono e muoiono per la causa della libertà; ma soprattutto a coloro che, in numero ben maggiore, credono alla menzogna e ne diventano complici inconsapevoli. Se in qualcuno di loro si insinua il dubbio o addirittura lo si convince a rinnegare la menzogna, allora Olo e Yegussa non hanno vissuto invano anche per l’oggi. “La menzogna è tanto più impotente quanto più esiguo è il numero dei suoi seguaci”, come già disse Olo[27].
La catacomba molussica è composta da una serie di dialoghi e di storie che il prigioniero anziano, che prende sempre il nome di Olo, trasmette al prigioniero più giovane, che prende sempre il nome di Yegussa (i quali assieme al nome perdono anche la loro storia e la loro identità per votarsi alla causa della libertà). Come questa trasmissione abbia avuto inizio è ancora avvolto nel mistero: sappiamo difatti, di per certo, solo che il primo Olo fu una donna ed il primo Yegussa il suo secondino. Questi messaggeri dell’oscurità non possiedono nulla tranne il loro motto, che afferma: “non siamo nient’altro che voci con la funzione di tramandare il nostro messaggio[28]”. Una volta morto Olo, il suo Yegussa si trasforma in Olo per un nuovo Yegussa, e così di generazione in generazione da più di trecento anni. L’unico compito di Yegussa è quello di memorizzare intatte il più alto numero di storie per poi a sua volta trasmetterle a quello che sarà il suo Yegussa. All’inizio Olo fa la seguente importante rivelazione a Yegussa:
io conosco molte storie, dalla nascita di Molussia fino ad oggi o quasi. Che la Molussia che si erge sopra di noi lo sappia oppure no[…]la sua vera storia è conservata in questa catacomba[…]. La città non sa di ignorare la verità, che continua ad esistere sotto di lei nel pieno esercizio delle sue funzioni e non permette che il filo si strappi. Solo alcuni vengono mandati qui sotto, noi, i prigionieri. Così la sua crudeltà preserva la nostra eredità[29].
Paradossalmente quindi la sopravvivenza della verità è garantita proprio dai capi e dal potere malvagio che governa Molussia; sono loro che continuano a rinnovare, senza che lo sappiano, i testimoni della verità nella veste di prigionieri. L’unica vera consolazione della vita dei messaggeri è che:
un giorno Molussia verrà rovesciata e ciò che oggi è in alto finirà in basso. E’ per questo giorno di sconvolgimento e per i nostri discendenti che tramandiamo la verità. Perché a partire da quel giorno Molussia sappia che cosa è stata e perché non entri nella nuova era senza conoscere l’epoca degli inganni; per tutto il tempo in cui è stata ingannata, infatti, ha saputo ben poco di sé. Ma io temo che saprà ancora meno di sé quando l’epoca degli inganni sarà finita. Al momento della sua vittoria la verità potrebbe essersi definitivamente perduta[30].
L’Olo di turno, dopo aver memorizzato il più alto numero di storie, deve cercare di trasmetterle in tempo al suo Yegussa e prima che sopraggiunga la morte. Già molte storie, tuttavia, si sono purtroppo perse perché non si è riusciti a trasmetterle in tempo. La vita di Olo è così sempre una corsa contro il tempo affinché la catena di trasmissione della verità non si spezzi mai e non vanifichi il sacrificio dei predecessori. I messaggeri si trovano così nella paradossale situazione di dover imparare a pazientare infinitamente, affinché la rivolta abbia successo, ed insieme ad essere impazienti di svolgere il proprio lavoro per la verità e per la trasmissione di tale verità. Tale trasmissione deve poi necessariamente avvenire senza storpiature o modifiche, perché si dice che tutti i messaggeri sono come un’unica memoria; a dimostrazione di ciò sta il fatto che le domande e le risposte che lo Yegussa si trova a dire, durante i racconti di Olo, sono sempre le stesse, come fossero un copione a cui tutti si attengono anche se in modo totalmente inconsapevole. Sia Olo che Yegussa non devono e non possono nemmeno sperare che esistano altri prigionieri, che in altre catacombe svolgano il loro stesso lavoro, e che un domani tutti assieme, ognuno col suo pezzetto di verità memorizzato, si possa ricostruire l’intera verità, ma come dice Olo “ogni schiera deve comportarsi come se fosse l’ultima[31]” e “ognuno deve ricominciare da capo[…]ognuno è il primo[32]”. Il tempo dei prigionieri è così come la loro missione una continua ripetizione circolare che non ha nulla a che vedere col tempo lineare che vige in Molussia, dove esiste uno spazio che lo rende possibile. In questa catena ininterrotta di messaggeri e nel loro compito di tramandare una verità che sarà fondamentale, affinché la rivoluzione abbia luogo, risiede l’unico barlume di speranza per Molussia, spiega Olo, anche se la probabilità che ciò che speriamo si avveri realmente un giorno rimane bassa, perché “abbiamo puntato sull’improbabile[33]”; ma nonostante la probabilità di una rivoluzione sia bassa o perlomeno molto lontana nel tempo, si deve sempre perseverare nella propria missione perché “siamo spaventosamente nelle mani del caso: aderire alla verità significa riconoscere anche l’esistenza del caso. Però dobbiamo sbarragli la strada come possiamo: senza speranze ma con tutte le nostre forze[34]”. E’ questa morale sconsolata, eppure capace di spingere verso un impegno totale affinché le cose cambino, uno dei tratti più originali della filosofia di Anders ed uno dei valori guida della sua vita e della sua militanza politica (dall’impegno antifascista a quello pacifista ed antinuclearista degli anni a venire). Il finale de La catacomba molussica vede Olo morire di vecchiaia, consapevole di aver adempiuto alla sua missione e di aver istruito il suo Yegussa, pronto a diventare a sua volta il maestro per un nuovo discepolo. Ma la condizione di solitudine in cella è per Yegussa da subito insopportabile: pieno di storie da raccontare, ma senza nessuno a cui raccontarle, egli si sente soffocare; così, dopo cinque giorni dalla morte di Olo in cui egli prova a recitare a voce alta le storie che non hanno più un uditore, Yegussa si spegne nel buio e nel silenzio più assoluto delle prigioni sotterranee di Molussia. Noi non sappiamo quanti anni dopo la rivoluzione abbia trionfato a Molussia, né quanto le storie dei vari prigionieri siano effettivamente state d’aiuto; non sappiamo come la rivoluzione si sia svolta, né in che condizione ora vivono gli abitanti di Molussia; non sappiamo neanche se ritornerà la dittatura, sotto forme magari diverse o sotto altri intercambiabili Burru. Quello che sappiamo è che, anche se per vie traverse, gli insegnamenti e le storie delle catacombe molussiche sono comunque riusciti ad affiorare in superficie, pronte per essere trasmesse all’occorrenza affinché la verità, anche se costretta dalla menzogna a strisciare silenziosa per anni sottoterra, non muoia mai.
Note
[1] Anders Günther, Opinioni di un eretico, op. cit., p. 44.
[2] Entrambe le opere, disponibili solamente nell’edizione in lingua tedesca, sono raccolte in Anders Günther, Kosmologische Humoreske und andere Erzählungen (Ironie cosmologiche ed altri racconti), Suhrkamp, Frankfurt 1978, rispettivamente alle pp. 96-189 e 190-227. Ci si atterrà qui anche alla breve esposizione di queste opere contenuta nel saggio di Portinaro Pier Paolo, Il principio disperazione, op. cit., pp. 20-22.
[3] Il testo è ancora allo stato di manoscritto inedito. Della sua esistenza e del suo contenuto ci informa lo stesso Anders in Id., Uomo senza mondo, op. cit., pp. 46-47.
[4] Ibidem.
[5] Id., Mariechen. Eine Gutenachtgeschichte für Liebende, Philosophen und Angehörige anderen Berufsgruppen (Marietta. Una storia della buonanotte per amanti, filosofi e membri di altre categorie professionali), Beck, München 1987. L’opera è stata definita da alcuni critici la migliore poesia filosofica in lingua tedesca (Cfr. Schimdt-Dengler, Wendelin, Der verwüstete Mensch. Zu Günther Anders’ Essay über Döblins Roman Berlin Alexanderplatz, in Raimund Bahr, Urlaub von Nichts, Art & Science, St. Wolfgang 2005, p. 118. Questo volume curato da Bahr raccoglie gli atti e la documentazione del simposio svoltosi a Vienna, nel 2002, in occasione del centenario della nascita di Anders).
[6] Cfr. Ivi, pp. 19-20.
[7] Ivi, p. 26.
[8] Id., La catacomba molussica, Lupetti editore, Milano 2008, p. 97.
[9] Id., Lo sguardo dalla torre. Favole con le illustrazioni di A. Paul Weber, Mimesis edizioni, Milano 2012, pp. 144-145. La favola è datata 1957 e non a caso chiude la raccolta. Alcune favole di questa raccolta sono presenti anche nel romanzo di Anders intitolato La catacomba molussica.
[10] Cfr. Id., Ketzereien, op. cit., p. 292. Kosmologische Humoreske apre la raccolta omonima di racconti (vedi nota 169).
[11] Id., Opinioni di un eretico, op. cit., p. 28.
[12] Id., Kosmologische Humoreske, op. cit., p. 19.
[13] Ivi, p. 7.
[14] Id., Troppo (1957), in Id., Lo sguardo dalla torre, op. cit., pp. 116-117.
[15] Id., Kosmologische Humoreske, op. cit., pp. 90-91. L’espressione usata da Frau Nu “dolce empirico”, utilizzata per la prima volta da Aristotele, indica gli essenti.
[16] Cfr. Nietzsche Friedrich, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, Adelphi, Milano 1991. Eraclito per Nietzsche è il primo filosofo che ha pensato alla continua creazione e distruzione dei mondi e degli essenti, come al gioco del fanciullo Zeus. Il gioco del fuoco che crea e distrugge mondi (il divenire) è però un gioco innocente, da non prendere o interpretare in modo patetico o con categorie morali, come si trattasse del gioco del bambino e dell’artista che di continuo creano e distruggono.
[17] La storia di Die molussiche Katakombe è narrata dallo stesso Anders, in Anders Günther, Opinioni di un eretico, op. cit., pp. 48-52. Per ulteriori approfondimenti Cfr. Portinaro Pier Paolo, Il principio disperazione, op. cit., pp. 97-106 e Young-Bruehl Elisabeth, Hannah Arendt 1905-1975. Per amore del mondo, op. cit., pp. 147-148.
[18] Id., Opinioni di un eretico, op. cit., p. 52.
[19] Ivi, p. 50.
[20] Id., La catacomba molussica, op. cit., p. 207. Burru è il dittatore che ha preso il potere a Molussia dietro cui non è difficile scorgere la figura di Adolf Hitler.
[21] Ivi, p. 186.
[22] Ivi, p. 115.
[23] Ivi, pp. 305-306.
[24] Ivi, p. 306 (per la vicinanza di questa posizione di Anders al pensiero di Brecht, Cfr. la nota n. 115 in questo studio).
[25] Ivi, p. 175.
[26] Ivi, p. 202.
[27] Ivi, p. 11.
[28] Ivi, p. 21.
[29] Ivi, p. 19.
[30] Ivi, p. 34.
[31] Ivi, p. 36.
[32] Ivi, p. 47.
[33] Ibidem.
[34] Ivi, p. 36.