Prima gli italiani, ma quali? Forse quelli che non ci sono più

La giunta Regionale Lombarda ha approvato un piano per “salvare una lingua parlata da secoli e tramandata di generazione in generazione nelle case, corti e cascine lombarde”. Allora “prima gli italiani” include o inizia con – e non è una questione di quei numeri primi che abbiamo imparato o meno dalle lezioni di matematica nelle scuole superiori – i lombardi. La Lega in commissione cultura si accorge che questa lingua “rischia di scomparire per sempre”, allora urge intervenire. Purtroppo, se nemmeno il ministro dell’istruzione e del merito, il leghista Valditara, è in grado di distinguere, nonostante sia un accademico universitario, la differenza tra LINGUA, LINGUAGGIO, DIALETTO O PARLATA LOCALE, (figuriamoci tra fonema, monema e morfema), ecco che allora l’operazione educativa e culturale consiste retoricamente nel “sostegno alla collocazione di apposita segnaletica stradale, turistica, culturale e di promozione territoriale con indicazioni in lingua lombarda”. E pazienza se già nella scorsa legislatura all’assessore leghista Stefano Bruno Galli avevano spiegato e ammesso che “tutti i linguisti sostengono non esista una lingua lombarda”, mettendo fine a un lungo balletto a corredo della possibile istituzione di una “Giornata regionale della lingua lombarda”. Così ogni campanile potrebbe avere presto i cartelli in dialetto e ne uscirebbe una “Babele linguistica stradale” che potrebbe disperdere gli automobilisti nel mondo alla faccia di Google Maps! Vogliamo parlare di retorica? La retorica è una cosa seria, meglio pensare a una propaganda autoreferenziale da quattro soldi, forse indirizzata agli scomparsi, piuttosto che ai vivi o semmai alla memoria, seguendo le orme di Ugo Foscolo e i suoi “Sepolcri”.

A tal proposito, non solo i napoletani sostengono che la parlata napoletana è una lingua, ma lo fanno anche gli amanti del dialetto, chi nel corso del tempo è riuscito a inventare una sintassi e una grammatica scritta, di una espressione orale e figurale, subendo l’apertura sconsolata delle mani degli studiosi, quelli davvero, della lingua italiana e della linguistica nella sua evoluzione nel corso dei secoli e delle aree geografiche, dalle contaminazioni a tutte le sue varianti.

Il DDL lombardo istituisce anche un “Registro regionale delle associazioni di tutela e valorizzazione della lingua lombarda e delle sue varietà locali”, ovvero delle parlate locali, elementi fonetici variabilissimi, nel corso del passato, pure all’interno della stessa zona del paese, addirittura da una contrada o un quartiere all’altro. Per semplificare, il dialetto non è più né parlato né compreso da chicchessia, figuriamoci nel grafo scritto, dove vengono gettati però un milione e mezzo di euro. Ma non solo “La giunta, nell’ambito delle proprie disponibilità finanziarie, può concedere alle associazioni iscritte al Registro appositi contributi finalizzati al sostegno delle attività”. Un modo quindi per far arrivare fondi a una galassia di sigle ad hoc.

Non di meno, ma più avara, la giunta regionale dell’Emilia-Romagna, che accoglie 44 progetti tesi “alla salvaguardia e valorizzazione delle lingue locali” anche se soltanto dieci si divideranno i centomila euro messi a disposizione.

Stavolta il “merito va anche a chi ha fatto cose buone”, chi imponeva fieramente la lingua dettata dall’Accademia della Crusca, quella di Dante o del Manzoni, aborrendo i dialettismi, poiché una e indivisibile. Così, Vincenzo Meletti autore del “Libro fascista del Balilla”, testo unico delle scuole elementari dall’anno 1934, quando allora i maestri bacchettavano sulle mani degli scolari che si esprimevano nella sola lingua parlata in casa dalla propria famiglia analfabeta, spiegava agli scolari la figura del Duce: “Mussolini, che tutti chiamano Duce e che tu puoi chiamare babbo, è un figlio del popolo, venuto dalla miseria. È l’uomo più grande e buono del mondo. Egli in un decennio ha fatto diventare l’Italia la prima nazione del mondo. Con la Marcia su Roma il governo fu tolto agli uomini paurosi e fu inaugurato il regime fascista che durerà più di un secolo”. Nelle scuole viene anche introdotta una nuova materia: “Cultura militare”, insegnata da ufficiali della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, nelle scuole secondarie e superiori fino alla laurea, atta a forgiare lo spirito guerriero.

Sapranno i discendenti del Balilla di Genova, del prode Pietro Micca o del vate D’Annunzio resistere alle tentazioni del dialetto, visto che ormai non lo parla più nessuno e anche nessuno lo capisce più, nonostante l’analfabetismo di ritorno imperi tra giovani e adulti nell’attuale stirpe Italica? Al massimo, l’esprimersi in modo colto, in ogni caso, sarà con una dozzina di parole in latino e qualche etimologia greca: tutto merito della riforma Gentile che ancora struttura le fondamenta delle scuole superiori. Oggi i “primi italiani” non ci sono più. Allora – come si dice nel pugilato – fuori i secondi. Anche se di incontro in incontro, a scendere, si potrebbe arrivare fino al Sanscrito o alle tavolette Assiro-Babilonesi in cuneiforme, lineare A o B. Una tavoletta al posto del cartello stradale, può essere perfino una buona idea.


Il giro del mondo dell’emigrazione italiana, in oltre 250 film, dagli anni Ottanta dell’Ottocento fino ad oggi.

Una novità di Asterios disponibile inizio Ottobre in tutte le Librerie!

 

https://www.asterios.it/catalogo/valigie-di-cartone