L’automotive è in crisi: non vende abbastanza. Perché l’auto elettrica è ancora cara e poco pratica? O perché quella termica potrebbe non essere più vendibile o utilizzabile a breve? Il passaggio dell’auto dal termico all’elettrico sembra a molti il principale indicatore dello “stato dell’arte” nella transizione energetica, se non addirittura della conversione ecologica. La ragione è chiara: l’auto costituisce una componente basilare della quotidianità sia quando la usiamo che quando ne siamo assediati.
Questa focalizzazione sull’auto alimenta, sia tra i favorevoli che tra i contrari alla transizione, l’illusione che la vita quotidiana possa comunque continuare così com’è e offusca la necessità di ridurre comunque utilizzo e devastazione di quelle risorse il cui uso già oggi eccede le capacità di carico della Terra.
Però se la strada della conversione ecologica verrà imboccata sul serio (ora non lo è) la nostra vita quotidiana cambierà profondamente; ma ben più malamente, fino all’estinzione del genere umano, se non verrà affrontata per tempo. Comunque, anche limitandoli all’automotive, dibattito e conflitti connessi sono comunque fuori quadro; per molti motivi.
L’equità, pilastro del pensiero ecologico. Circola oggi nel mondo circa un miliardo e mezzo di auto. Per raggiungere, al 2050, o anche qualche decennio dopo, il tasso di motorizzazione europeo (quello italiano è più alto) le auto in circolazione dovrebbero essere 5 miliardi. Ci saranno le risorse per fabbricarle e alimentarle tutte? O lo spazio per farle circolare? O è un consumo riservato per sempre ai popoli privilegiati? Oggi noi; ma domani? Chissà…
Le terre rare. L’auto elettrica è in competizione per l’impiego di molti materiali preziosi e rari con gli impianti di generazione da fonti rinnovabili: la sua produzione in massa non può che ostacolare o ritardare la transizione energetica, che è una assoluta priorità.
L’inquinamento. È ormai noto che il particolato deriva soprattutto, oltre che dalle emissioni delle auto “vecchie”, dall’attrito delle ruote e dei freni. Con l’auto elettrica poco cambierebbe.
La congestione. È, insieme all’inquinamento, ciò che rende le città invivibili: per i bambini, ma non solo per loro. Ed è ciò che in gran parte ha distrutto l’incontro casuale per strada e la socialità; riducendoci ad affidarla al cellulare.
La competizione per la potenza dei motori, la velocità e il parcheggio modella e mima quella che il sistema impone a tutti nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni sociali come in quelle internazionali: la guerra.
Il consumo di suolo: per far posto alle auto: sia in città, promuovendone lo sprawl, che in campagna, in montagna e ovunque, massacrando il paesaggio.
L’aver affrontato e continuare ad affrontare il dibattito sull’auto elettrica solo in termini tecnici, energetici, economici e, al massimo, occupazionali, senza tener conto delle sue implicazioni sociali, culturali ed esistenziali – quelle che potrebbero coinvolgere tutta la popolazione nella comprensione, accettazione e promozione della conversione ecologica – ha dato ai suoi nemici un’arma formidabile per contrastarla. Solo un grande dibattito pubblico, che avrebbe dovuto precedere e accompagnare il Green Deal e il suo sviluppo, può ancora rendere “desiderabile”, come avvertiva Alex Langer, la conversione ecologica.
Anche per l’automotive le alternative ci sono: una mobilità fondata su un servizio pubblico che combini trasporto di linea e mobilità flessibile personalizzata, da un lato; e la riconversione della produzione di auto, dei servizi e delle infrastrutture connesse in impianti per le rinnovabili. Ma occorre parlarne, progettarle, sperimentarle. Come cerca di fare, volutamente ignorato, il collettivo ex Gkn.
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