Antonio Scurati: “Vedere il fascismo da dentro, vedere il suo abisso dentro di noi”

La bandiera è nella polvere. Deve essere raccolta.      (Ma da chi?)

Il fatto che un capo di governo, che ha prestato giuramento sulla Costituzione antifascista, si rifiuti anche solo di pronunciare questa parola nel giorno della commemorazione della liberazione dal nazismo-fascismo ci dice che questa esperienza collettiva sta tramontando, se non viene già storicamente estinta, nella sua forma storica del XX secolo. È così. È triste, ma è così. La bandiera è caduta. La bandiera è nella polvere. Deve essere raccolta. Ma non sarà più la stessa bandiera ben colorata (di rosso, soprattutto di rosso). Deve essere una bandiera sotto la quale ogni sincero democratico, sia di sinistra, di centro o di destra, può stare.

Non va bene protestare contro il governo di Giorgia Meloni. Così il disegno di legge sulla “sicurezza” accettato a settembre in prima lettura dal Parlamento italiano criminalizza le azioni non violente; per i gruppi che occupano spazio pubblico (strade, arterie stradali, autostrade, sit-in davanti a scuole, università o industrie) la sanzione può arrivare fino a due anni di reclusione. Attacca anche detenuti e migranti nei centri di detenzione, criminalizzando atti di resistenza passiva o disobbedienza (fino a 8 anni di reclusione) [1] . E il governo Meloni attacca i servizi pubblici (in particolare il settore sanitario), l’istruzione (i tagli previsti per il 2025 saranno catastrofici per ricerca, università e scuola), la libertà di informazione e quella di esprimere la propria opinione nello spazio pubblico. Pensiamo agli attacchi giudiziari contro lo scrittore antimafia Roberto Saviano o lo storico Luciano Canfora (Giorgia Meloni ha ritirato la denuncia poco prima del processo); alle intimidazioni che colpiscono tutti i giornalisti non allineati e alle minacce di licenziamento che gravano sugli insegnanti che esprimono la loro contrarietà alla politica del ministro dell’Istruzione e del Merito (sic!), Giuseppe Valditara, come avviene oggi da Christian Raimo [2 ] . In questo contesto di attacchi a tutto campo, come non ricordare la censura del discorso di Antonio Scurati alla RAI del 25 aprile (anniversario, e festa nazionale, dell’insurrezione generale del 1945) [3] ?

Il rientro a scuola dello scrittore è impegnativo. È appena uscito il quarto volume del suo romanzo-documentario dedicato a Benito Mussolini, Mr. L’ora del destino, mentre la serie da cui è tratto è stata presentata all’ultimo Festival del cinema di Venezia. Forse segno di un tempo in cui il “desiderio di storia”, e la lotta che necessariamente l’accompagna, appaiono come l’unica via per restituire senso all’agire. SP

Vorrei iniziare con una domanda che ci accomuna. Apparteniamo alla stessa generazione, l’ultima del dopoguerra, epoca in cui l’emancipazione umana era al centro delle lotte collettive e della partecipazione politica. Eppure, questa stessa generazione ha vissuto la transizione verso un mondo che proclamava la fine della storia. Che ruolo ha avuto questo nelle tue scelte letterarie?
Credo che una sorta di desiderio di storia sia stata la caratteristica essenziale di tutta la mia ricerca letteraria (anche quando ho scritto romanzi sociali e autobiografici di ambientazione contemporanea). Non solo ho iniziato con un romanzo storico in cui l’autore immaginario era alla ricerca di una controstoria segreta della modernità (Il rumore sordo della battaglia), ma poi ho continuato sempre alternando un romanzo storico che cercava di raccontare il presente e un romanzo di ambientazione contemporanea in cui i protagonisti sopravvivevano in una sorta di orfanotrofio della Storia. Mi presento spesso come parte della generazione degli “ultimi figli dell’ultimo Novecento”, secolo breve, probabilmente l’ultimo vissuto da tutti, e non solo dagli intellettuali, almeno in Europa occidentale, in un orizzonte temporale del tipo storico. Credo che non abbiamo ancora misurato l’enorme perdita di significato causata dall’uscita da questo orizzonte alla fine del XX secolo. Per dieci generazioni, a partire dalla Rivoluzione francese, donne e uomini hanno vissuto guardando al futuro, quindi coscienti del passato, con la speranza, e spesso la convinzione, che la vita dei loro figli sarebbe stata migliore della loro, e quella dei loro nipoti ancora migliore di quello dei loro figli. Erano pronti a uccidere o a morire, ma soprattutto a vivere in nome di questa promessa, di questa tensione proiettata. Era una vita collettiva, la vita meravigliosa, triste e piena di speranza dei destini generali.

A partire dagli anni ’80, la riabilitazione del fascismo andò di pari passo con la criminalizzazione dell’antifascismo. Negli anni 1990-2000 il revisionismo sul fascismo italiano raggiunse la sua “fase più alta”. Diresti che ha vinto la battaglia culturale?
I due decenni in cui il revisionismo sul fascismo italiano ha raggiunto, come dici tu, la sua “fase più alta” sono gli anni Novanta e Duemila (Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa è del 2003 [4] ), almeno in termini di pubblicazioni e editing. Ed è stato durante questo decennio degli anni 2000 che i politici mainstream iniziarono a usare le frasi di Mussolini in pubblico, mentre riemersero le frange estreme e apertamente neofasciste. Tutto questo, però, restava al livello del discorso culturale o addirittura intellettuale. Non credo che su questa strada, per quanto importante, si sia arrivati ​​all’oscenità attuale del revisionismo postfascista esibito dall’attuale classe politica dominante. Ciò che contava molto di più era la desertificazione della coscienza storica di cui parlavamo all’inizio, la spoliticizzazione della vita collettiva causata da trent’anni di edonismo individualista irresponsabile e la deriva populista e sovranista che ne è derivata. Insomma, la riabilitazione dei postfascisti, almeno in Italia, è stata preparata da trent’anni di berlusconismo, non certo dalla rilettura storica dei loro modesti intellettuali (fu lui infatti a portarli al governo).

Nel tuo recente Fascismo e populismo [5] , scrivi: «A partire dalla Rivoluzione francese, per due secoli, dieci generazioni si sono appellate al futuro per ottenere giustizia: davanti al tribunale della Storia sarebbero finalmente finiti millenni di schiene spezzate e di sofferenze senza nome per trovare la redenzione. Redenzione e riparazione. » In altre parole, guardare alle vittime del passato, assumersi la responsabilità delle loro lotte per pensare al futuro e tracciare un orizzonte. Di fronte all’offensiva culturale della destra neofascista in Italia, l’esigenza di ritornare ad analizzare la storia del fascismo, la sua memoria e le sue eredità nella penisola ha dato vita ad opere essenziali, che purtroppo faticano a essere tradotte all’estero e per essere ulteriormente letta e discussa dal grande pubblico anche in Italia. Che ruolo pensi che la letteratura possa giocare in questo processo?
La letteratura romantica, così come il cinema e le altre forme di arte popolare, possono certamente rafforzare o, in alcuni casi, favorire le controspinte che, a ben vedere, non mancano nella nostra società (penso soprattutto alle nuove generazioni). Il “caso M” mi sembra un segnale in questa direzione, se così posso dire. Ciò presuppone però una scelta di terreno in campo letterario da parte dello scrittore erede del XX secolo, la scelta proprio del romanzo come genere popolare (e quindi anche una sorta di allontanamento dalla letteratura della seconda metà del Novecento, neoavanguardie in polemica con la narrativa romantica). Non possiamo sperare che il pubblico, soprattutto quello nato nell’era digitale, abbia un accesso di massa alle opere degli altri profili intellettuali a cui ti riferisci (se ho capito bene). Il massimo che possiamo sperare è che i bravi romanzieri o cineasti si nutrano di loro, li portino via virtuosamente dai loro territori e li restaurino in un romantico fai-da-te.

Il fascismo, voi dite, è un fantasma che va superato. Pasolini ne dà la sua spiegazione negli Scritti corsari: l’Italia è un paese senza memoria che, se si prendesse cura della sua storia, saprebbe che “i regimi sono portatori di veleni antichi, di metastasi invincibili; imparerebbe che in questo Paese particolarissimo, che ama vivere al di sopra delle proprie possibilità, ma con i pantaloni rammendati ovunque, i vizi sono ciclici […] incarnati da uomini diversi, ma accomunati dallo stesso cinismo, dalla stessa indifferenza per l’etica, allergici all’etica coerente e alla tensione morale”. Quasi cinquant’anni dopo, pensi che questa osservazione sia ancora attuale?
Lo è e non lo è. Pasolini ha colto e descritto, forse meglio di chiunque altro, lo sfondo antropologico della mutazione che avviene con il declino della società contadina e tradizionale, mutazione per certi aspetti mostruosa, e ha saputo ricondurla ad una sorta di “eterno fascismo” che è alla base della nostra storia nazionale. Ma lo ha fatto da una prospettiva di sinistra reazionaria (cosa non rara anche oggi). Ciò gli ha impedito di cogliere le particolari dimensioni storiche del fenomeno fascista (non sono d’accordo con la tesi del “fascismo eterno”). Se ci soffermiamo sulla sua visione, perdiamo di vista la dinamica evolutiva (o involutiva che dir si voglia) di questi fenomeni storici, fase finale del loro divenire o del loro cambiamento. Su questo asse l’Italia è stata e continua ad essere un’avanguardia (l’avanguardia della retroguardia, se vogliamo), un laboratorio, un’officina del futuro, e non un atavismo immutabile. Pensiamo ai populisti-sovranisti che, in Italia, per la prima volta in una grande nazione europea, stanno conquistando il potere politico. Pur con tutto il loro viscido “passato che non passa”, rappresentano senza dubbio qualcosa di nuovo. Un fenomeno d’avanguardia del 21° secolo (purtroppo, aggiungerei).

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«La storia è sempre una lotta per la storia», scrivi, e su questo punto siamo d’accordo. Ma ho un punto di disaccordo con te, sul ruolo “negativo” che attribuisci a quello che chiami “pregiudizio antifascista”, che qualifichi come “una forma di cecità che ci ha esentato dalla consapevolezza di tutte le terribili verità.” Cosa intendi esattamente? Non è questo in contraddizione con il tuo desiderio di “ricostruire” l’antifascismo? Se no, perché?
Non sono sicuro di aver usato esattamente quelle parole. In ogni caso, il pregiudizio antifascista è scomparso per ragioni storiche profonde e complesse. La sua caduta non dipende dalla nostra scelta. Possiamo e dobbiamo prenderne atto. Questo è un punto di partenza, non un argomento. Non pretendo ovviamente di poter “rifondare” l’antifascismo (obiettivo sproporzionato), ma spero che le controspinte che ho citato sopra prevalgano, facendo evolvere la cultura italiana ed europea in questa direzione. Ciò presuppone, a mio avviso, una storia diversa da quella del secondo dopoguerra, incentrata sul “mito della resistenza” (lo intendo nel senso etimologico di storia fondativa), sacrosanto, luminoso e necessario, ma ora cancellato. La narrazione di cui abbiamo bisogno porta alla consapevolezza di essere stati fascisti, a vedere il fascismo dall’interno e a vederne l’abisso dentro di noi (mentre il paradigma vittimistico della narrativa del Novecento collocava sempre il fascismo nel «loro», nel altro del sé del narratore, a lui irriducibile).

I “nipoti” di Mussolini si trovano oggi alla guida dello Stato italiano. Lei insiste molto sul fatto che siamo di fronte ad una deriva illiberale e non ad una minaccia diretta alla democrazia (se ho capito bene). Potresti spiegare cosa intendi con questa distinzione?
Ritengo che questa distinzione tra regime fascista e deriva illiberale sia preziosa non solo perché rispecchia la realtà (in epoca fascista qualcuno come me sarebbe già stato aggredito fisicamente, e non solo verbalmente, in più occasioni), ma anche e soprattutto perché ci aiuta a non sottovalutare i rischi gravissimi a cui va incontro oggi la democrazia. L’uso disinvolto e imprudente dell’aggettivo/sostantivo “fascista” fa presagire attacchi “fisici” alla democrazia nel prossimo futuro. La domanda canonica che mi viene posta costantemente è: “Hai paura che il fascismo ritorni in Italia e in Europa?”. Rispondo che questa domanda va nella direzione sbagliata. Il fascismo storico è, infatti, un fenomeno storicizzato. Ma la sua componente populista – che considero un elemento essenziale, primordiale e originale del mussolinismo – è già tornata. Lui è già lì, è già al governo. Lui già decide le nostre vite. Non dobbiamo limitarci ad aspettarlo nel prossimo futuro. La minaccia che egli rappresenta oggi per la democrazia liberale non ha le caratteristiche di un attacco frontale come avvenne cento anni fa. È più subdolo, obliquo, ogni giorno. Questa non è una minaccia esistenziale immediata. Ciò non implica la soppressione del sistema democratico ma l’impoverimento qualitativo della vita democratica. Non è mirato alla testa e nemmeno al cuore. Colpisce come un coltello nello stomaco. La morte è lenta, per dissanguamento.

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La Regina Giorgia, la RN e il ricordo di Giacomo Matteotti

Gli attacchi, le minacce e la censura a cui sei soggetto – e non sei il solo – non indicano un salto di qualità?
Sì, questa è la parola chiave. Non c’è bisogno di aspettare per rivedere le camicie nere sfilare per le strade. Già oggi la qualità della vita democratica è peggiorata.

Nel monologo censurato dalla RAI, in occasione della commemorazione del 25 aprile, lei ha dichiarato: “Finché questa parola – antifascismo – non sarà pronunciato da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà ad infestare la casa della democrazia italiana.» Ma non è forse la distruzione del senso e del valore dell’impegno antifascista, di questa lotta per l’uguaglianza e l’emancipazione sociale, il corollario dell’“ex-post-filo-neo-para-fascismo” odierno e del suo programma identitario ?
Il fatto che un capo di governo, che ha prestato giuramento sulla Costituzione antifascista, si rifiuti anche solo di pronunciare questa parola nel giorno della commemorazione della liberazione dal nazismo-fascismo ci dice che questa esperienza collettiva sta tramontando, se non viene già storicamente estinta, nella sua forma storica del XX secolo. È così. È triste, ma è così. La bandiera è caduta. La bandiera è nella polvere. Deve essere raccolta. Ma non sarà più la stessa bandiera ben colorata (di rosso, soprattutto di rosso). Deve essere una bandiera sotto la quale ogni sincero democratico, sia di sinistra, di centro o di destra, può stare.

Un’ultima domanda. Il periodo che stiamo vivendo è particolarmente buio, eppure, in Italia, siamo di fronte a un nuovo impulso culturale letterario e cinematografico, al tempo stesso tramonto e alba: come si spiega questo? quali sono i tuoi progetti?
Ho passato troppo tempo a studiare e raccontare il ventennio fascista – attualmente mi sto occupando della Seconda Guerra Mondiale e di Salò – per pensare che il periodo che stiamo vivendo sia “particolarmente buio”. Il problema è che abbiamo perso il senso della lotta (e anche il gusto della lotta). E non sono nemmeno sicuro di trovarmi di fronte ad un nuovo impulso culturale e letterario (vorrei che mi dicessi cosa ne pensi). Per quanto riguarda i miei progetti, mi restano ancora due volumi della saga M da finire e pubblicare. Poi vedremo…

Note

[1] Vitalba Azzolini, “Ddl sicurezza: il governo sceglie ancora una volta la repressione e il populismo penale”, Valigia Blu, 16 settembre 2024.

[2] Matteo Pascoletti, “Saviano, Domani, Report: in Italia il potere ha un problema con la libertà di espressione e di informazione”, Valigia Blu, 26 luglio 2024; Charles Heimberg, “Quando l’estrema destra italiana imbavaglia la libertà di pensiero di un insegnante”, Médiapart Blog, 8 ottobre 2024.

[3] Stéfanie Prezioso, “La “regina” Giorgia, la RN e il ricordo di Giacomo Matteotti”, AOC , 21 giugno 2024.

[4] Cfr. Tomaso Montanari, “Italia: una Repubblica decostruita dall’antiantifascismo”, AOC , 2 ottobre 2020; Stéfanie Prezioso, “Cent’anni dopo la marcia su Roma: il fascismo, dal passato al presente e ritorno”, AOC , 26 ottobre 2022.

[5] La politica della paura , traduzione di Nathalie Bauer, Les Arènes, settembre 2024.

Autrice: Stéfanie Prezioso ha un dottorato in letteratura (storia). È professoressa presso la Facoltà di scienze sociali e politiche dell’Università di Losanna. Il suo lavoro si concentra principalmente sul fascismo e l’antifascismo, sulla generazione del 1914, sulla questione dell’esilio politico, sull’immigrazione italiana e sui problemi storiografici relativi all’appropriazione della memoria storica (uso pubblico del racconto).