Nelle ultime ore è aumentata a dismisura la possibilità di vivere un fine settimana con… fenomeni meteorologici intensi, con “piogge e temporali” balistici. Dopo alcuni giorni di attesa, durante i quali il regime iraniano ha apparentemente cercato di valutare la situazione e decidere la linea d’azione adeguata, viene ora dichiarata la certezza di una risposta al colpo israeliano…
Si tratta della graduale realizzazione dello scenario peggiore sul fronte Iran-Israele, a condizione che ciò che si cerca sia la riduzione dell’escalation e, gradualmente, la pace. Ciò non significa che questa sia la priorità di tutte le parti.
Alti funzionari politici e militari iraniani hanno testimoniato, attraverso fughe di notizie, nelle ultime ore che l’Iran non ha mai lasciato nella sua storia alcuna sfida alla sicurezza senza risposta. Ufficialmente, ovviamente, non è stato detto nulla.
L’Iran è obbligato a rispondere
Gli iraniani sono quasi obbligati a differenziare qualitativamente il loro nuovo attacco, così come il secondo si è differenziato dal primo, lanciando la prima volta l’attacco con missili balistici, rispetto a un mix di vari droni suicidi. Dovrebbero cioè attaccare in modo da turbare ancora di più la difesa israeliana, per dare credibilità alle loro minacce retoriche, con l’obiettivo di ripristinare in parte la loro deterrenza, e dall’altro mobilitare l’interno con un evidente vantaggio per il regime islamico. Quale potrebbe essere la differenza questa volta? Forse la scelta più “libera” degli obiettivi, che non saranno stati comunicati a Israele attraverso gli Stati Uniti?
Poco dopo si seppe che la coppia aveva messo sotto sorveglianza uno scienziato nucleare israeliano, con la valutazione che intendevano assassinarlo! Quanto è ragionevole supporre che l’Iran stesse pianificando un simile assassinio, paragonabile a quelli compiuti dal Mossad sul suolo iraniano? Di conseguenza, la domanda che si pone è se il fallimento del piano in questione, un assassinio altamente simbolico che avrebbe ottenuto visibilità globale, abbia portato automaticamente alla necessità di ricorrere ad una classica ritorsione militare.
Il fronte Iran-Israele
Ma torniamo alla questione di quale potrebbe essere la risposta israeliana, che deve essere considerata certa. La posizione del Dipartimento di Stato è interessante. In altre parole, gli Stati Uniti si rendono conto che l’unico modo per impedire all’Iran una ritorsione è attraverso il coinvolgimento militare americano e non solo nelle operazioni difensive antibalistiche.
Questo è qualcosa che Teheran sta valutando attentamente. Naturalmente è importante anche l’impegno a sferrare il colpo in piena campagna elettorale americana. Chi favorirà? Qual è la motivazione degli iraniani che hanno chiaramente tenuto conto di questo parametro?
Il nuovo attacco porta il Pentagono a ritenere che, in caso di coinvolgimento delle forze statunitensi, per prevenire ritorsioni iraniane gli Stati Uniti debbano minacciare Teheran con operazioni aggressive? Ma questo, come spiegato, da un lato getta acqua nel mulino dei piani israeliani, dall’altro rischia di portare a un’escalation incontrollata e a un conflitto generalizzato dalle dimensioni imprevedibili.
Un simile sviluppo è ovviamente una pietra tombale per le speranze dell’Ucraina. Il conflitto in corso in Medio Oriente li ha sostanzialmente lasciati soli sul campo. I principali media occidentali sottolineano già che, a causa dell’avanzata russa, non è più una questione di vittoria o sconfitta per Kiev, ma della sopravvivenza della stessa Ucraina. I fronti sono ovviamente collegati. Secondo Washington, sul fronte di Kursk sono comparsi soldati nordcoreani. Se c’è qualcosa che è chiaro è che la strategia americana sta producendo risultati estremamente negativi e necessita di una revisione immediata. A patto che a prendere le redini sia una leadership sobria, con un accentuato senso di realismo e meno riferimenti ideologici.
Autore: Michele Zacharia è cofondatore e direttore degli studi presso l’Istituto per l’analisi della sicurezza e della difesa (IAAA/ISDA). Ha conseguito un Master in Economia in Studi Strategici presso il Dipartimento di Politica Internazionale dell’Università del Galles. La sua prima laurea è presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Studi Internazionali dell’Università Panteion. È specializzato in strategia, intelligence e si occupa di questioni di sicurezza internazionale.