La terza campagna presidenziale di Donald Trump completa con i suoi eccessi ed eccessi un percorso politico che ha devastato come un ciclone la scena politica americana e mondiale. E, di fronte a questo ciclone, l’opinione pubblica illuminata resta senza parole, divisa tra scetticismo e stupore, schiacciata da un sentimento di incomprensione che non ha smesso di crescere dopo il trauma della vittoria di Trump nel 2016.
Da quella data, la vita politica è stata vista come un susseguirsi di shock, un viaggio erratico che Barack Obama ha riassunto la sera della vittoria di Donald Trump, nel 2016, con queste parole: “La storia non va in linea retta, va a zigzag. » La vittoria di Donald Trump nel 2016 non è stata solo una sconfitta elettorale per i democratici, ha messo in discussione tutti i sistemi di previsione e di allarme, ha rovinato la credibilità di analisti e commentatori, e quindi ha sfidato ogni logica ai loro occhi. Si è trattato di un’anomalia politica, di un evento stravagante che non rientrava nello scenario della vittoria prevista da Hillary Clinton.
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“Una delle cose più sconcertanti era che nessuno, per quanto erudito, aveva la minima idea di cosa stesse succedendo”, ha ricordato Michelle Goldberg in un articolo del New York Times, “Anniversario dell’Apocalisse”, pubblicato un anno dopo l’elezione di Trump. Con suo sgomento, si è rivolta a giornalisti che hanno vissuto o hanno vissuto sotto un regime autoritario “per cercare di capire come cambia la trama della vita quando un demagogo autocratico prende il potere”.
Un giornalista turco laico gli aveva detto con voce triste e stanca che la gente avrebbe potuto marciare per le strade per opporsi a Trump, ma che le proteste probabilmente si sarebbero placate e che “il sentimento di stupore dell’emergenza avrebbe lasciato il posto a un’opposizione sostenuta”. La scrittrice dissidente russa Masha Gessen ha avvertito che è impossibile mantenere il senso di ciò che è normale con un leader che assedia il tessuto della realtà: “Stai andando alla deriva e sei distorto. » “Avevano ragione entrambi”, conclude l’autore dell’articolo.
Alla Casa Bianca, la sera del 9 novembre, i risultati elettorali hanno lasciato senza parole Obama e i suoi narratori. “Era inconcepibile quanto l’abrogazione di una legge della natura”, ha detto uno di loro.
L’evento non rientrava in nessun account disponibile. Non è stata solo una sorpresa elettorale, è stata una sfida a ogni possibile narrazione. Dieci, cento volte avevamo scommesso sull’eliminazione di Trump alle primarie, poi sulla sua sconfitta contro Hillary Clinton, e il conduttore del reality aveva superato tutti gli ostacoli… Aveva lanciato una sfida ai media, alla loro campagna storie, negando la loro agenda e la loro retorica, sconvolgendo l’immagine che potevamo avere di un presidente, imponendo i suoi eccessi, la sua retorica infantile, il suo linguaggio onomatopeico e le sue bugie… L’editorialista conservatore del New York Times Roger Cohen si chiedeva: «Se dici “c’è qualcuno che vuole diventare presidente degli Stati Uniti e mente continuamente” e milioni di persone dicono “OK, sì, forse non va bene, ma voterò comunque per lui”, io penso che su questo occorra fare un’intera analisi.»
Da questa data, le vittorie elettorali di Jair Bolsonaro in Brasile, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Boris Johnson nel Regno Unito, Matteo Salvini e Beppe Grillo in Italia e Javier Milei in Argentina, eletto con quasi il 56% dei voti nel 2023, dopo una campagna che ha relegato le eccentricità di Trump al rango di infantilismo, ha imposto un nuovo modello di conquista del potere, che sembra contrastare una certa normalità politica. L’eccesso, più l’eccesso, la menzogna sono diventati la regola nella competizione per il potere, che sembra sfuggire ad ogni misura, e perfino ad ogni razionalità. Alla vigilia della possibile rielezione di Donald Trump nel 2024, è diventato urgente prendere tutta la misura di questa egemonia che unisce e confonde il potere di attrazione del grottesco e la seduzione dei poteri autoritari.
Eccesso, eccesso, eccesso non hanno mai smesso di occupare la filosofia politica da Platone ad Aristotele e da Cicerone a Montesquieu. Come scongiurarlo? Come impostare i limiti? Che tipo di Costituzione dovrebbe essere adottata per limitarne la portata? I greci gli si opposero con le nozioni di temperanza, di moderazione che hanno attraversato i secoli, passando di mano in mano come una staffetta (dal greco sôphrosunè alla ciceroniana moderatio), fino a divenire la virtù cardinale del legislatore con Montesquieu, che affermava di aver scritto Sullo spirito delle leggi solo al solo scopo di dimostrare che “lo spirito di moderazione” deve essere quello del legislatore perché “è la moderazione che governa gli uomini, e non gli eccessi”.
Tuttavia, la figura dell’eccesso che tendiamo ad espellere dalla sfera politica non smette di rimbalzare nella storia politica; si manifesta in una molteplicità di personaggi storici, adottando le forme della provocazione, dell’insulto, della parodia, della caricatura, che Michel Foucault analizzava sotto la categoria del potere grottesco.
L’aggettivo grottesco va inteso nel suo significato originario. Secondo il linguista russo Mikhail Bachtin, con “grotesca” si intendevano originariamente pitture ornamentali scoperte alla fine del XV secolo durante gli scavi effettuati a Roma nelle Terme di Tito. Bachtin definisce “grotesca” il “gioco insolito” di queste figure caratterizzato dalla commistione di forme vegetali, animali e umane. Questo stile sconosciuto, proveniente dal Medioevo e emerso dalle grotte, veniva chiamato “grotesca” per designare tutto ciò che oltrepassa i limiti e mescola i generi.
Questa ricorrenza del grottesco nella storia politica lascia perplessi. “Roma imperiale”, scrive Michel Foucault nel corso del 1974-1975 al Collège de France (Les Anormaux , EHESS/Gallimard/Seuil, 1999), “conosceva già molto bene questi meccanismi di governo attraverso la squalifica quasi teatrale della persona dell’imperatore. Michel Foucault la definì “sovranità infame […] il che significa che colui che è detentore di maestà è allo stesso tempo, nella sua persona, nel suo carattere, nella sua realtà fisica, nel suo costume, nel suo gesto, nel suo corpo, nella sua sessualità, nel suo modo di essere, un personaggio infame, grottesco, ridicolo”. Da Eliogabalo, “fare l’amore come una donna”, “accogliendo la dissolutezza per tutti gli orifizi del suo corpo”, passando per Claudio, schiavo della moglie, la feroce Messalina, a Nerone, “che non arrossisce di indulgere alle più vergognose agisce con uomini e donne, a cui piace travestirsi e sposa il suo liberto”…
Nel Novecento, ricorda Foucault, vengono subito in mente le immagini di Hitler e Mussolini quando pensiamo alla natura grottesca del potere, alle sue manifestazioni teatrali. “Il potere si è dato questa immagine di venire da qualcuno che era travestito teatralmente, disegnato come un clown.” Così il grottesco di uno come Mussolini, «assolutamente inscritto nella meccanica del potere», o quello di Hitler, chiuso nel suo bunker poche ore prima del suicidio, chiedendo che qualcuno gli fornisse dolci al cioccolato «fino alla morte». Ma era un grottesco involontario, non rivendicato da loro, non strategico.
Hitler e Mussolini furono grotteschi prendendo in prestito in un certo senso, presero direttamente in prestito i segni del grottesco dagli eccessi degli imperatori romani. Il loro potere scimmiottava la rappresentazione imperiale romana, i suoi segni, i suoi rituali, i suoi monumenti e i suoi eccessi. Ubu Roi di Alfred Jarry, La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht o Il grande dittatore di Chaplin non facevano altro che sottolineare questa grottesca peculiarità della sovranità arbitraria dei due dittatori.
Quando Foucault parlava di “potere grottesco”, non aveva davanti agli occhi l’antologia di assurdità e incompetenze a cui assistiamo dall’elezione di Donald Trump. Per lui non si trattava affatto di fare un uso polemico dei termini “grottesco” o “ubiquo” allo scopo di squalificare gli statisti che verranno così definiti, ma piuttosto di cercare di comprendere, al contrario, la razionalità di questo potere grottesco, una razionalità paradossale poiché si manifesta attraverso l’irrazionalità delle sue decisioni. «La sovranità grottesca opera non malgrado l’incompetenza di chi la esercita ma a causa di questa incompetenza e degli effetti grotteschi che ne derivano […]. Chiamo grottesco il fatto che a causa del loro status, un discorso o un individuo possano avere effetti di potere che le loro qualità intrinseche dovrebbero squalificare.»
Con notevole preveggenza, Foucault ci mette in guardia contro l’illusione che consiste nel vedere nel potere grottesco “un incidente nella storia del potere”, “un fallimento della meccanica”, quando costituisce “uno degli ingranaggi che sono parte integrante dei meccanismi di potere. Sono questi i meccanismi che mette in atto sistematicamente la schiera di buffoni apparsa a partire dal 2016.” «Mostrando esplicitamente il potere come abietto, infame, ridicolo o semplicemente ridicolo, si tratta di manifestare in modo clamoroso il carattere ineludibile, l’inevitabilità del potere, che può funzionare proprio in tutto il suo rigore e al limite estremo della sua razionalità violenta, anche quando è nelle mani di chi si ritrova di fatto squalificato.» «Il grottesco», affermava Foucault, «è uno dei processi essenziali della sovranità arbitraria. »
Giullari, pagliacci e tanti pagliacci non hanno mai avuto così tanta influenza sulla vita politica. Grazie al potere dei social network, l’eccesso è diventato una norma comunicativa, che permette di catturare l’attenzione, e il burlesque, un nuovo stile politico. Ovunque si guardi, il grottesco sembra aver preso il potere. Trump è stata la prima manifestazione, ma dal 2016 continua a manifestarsi in tutto il mondo grazie all’epidemia di coronavirus.
Laddove la tirannia dei buffoni riesce ad imporsi, il suo obiettivo non deve essere sottovalutato: distruggere la legittimità della politica, ultimo ostacolo alla deregolamentazione generale della vita sociale.
Max Weber distingueva tre tipi di dominio legittimo: dominio di natura giuridica-razionale, dominio tradizionale e dominio carismatico. È chiaro che il potere grottesco, con la sua negligenza, le sue prescrizioni contraddittorie, l’irrazionalità della sua condotta, non rientra in nessuna di queste legittime dominazioni. Innanzitutto, il potere grottesco mina il dominio di natura razionale giuridica, fondato sul rispetto della legge, sulla fede nella legalità delle norme. Essa sconvolge il dominio tradizionale, che si fonda su regole, costumi e consuetudini di cui assicura la trasmissione.
Quanto al potere carismatico come lo definisce Max Weber, fondato sulla grazia personale e straordinaria e sulle “qualità prodigiose, o particolarità esemplari che fanno il leader”, esso non solo viene negato con una potenza grottesca, ma viene addirittura ribaltato, invertito sotto la figura del buffone senza qualità. In lui è l’uomo comune, e non il leader dotato di qualità prodigiose, ad acclamare sui social network. L’uomo clown dei reality o dei talk show, ingigantito ed elettrizzato dai social network.
Dovunque sia riuscita a imporsi, la tirannia dei giullari unisce la potenza fantasiosa del grottesco e la padronanza metodica dei social network, la trasgressione del burlesque e la legge delle serie algoritmiche. Il loro scopo non deve essere sottovalutato. Distruggere la legittimità della politica, ultimo ostacolo alla deregolamentazione generale della vita nella società. Sostituire l’impotenza politica con il controllo di tutti gli aspetti della vita attraverso la governamentalità algoritmica.
La logica in gioco in questa nuova forma di egemonia è la logica del discredito. Di fronte al “circolo della ragione” che ha portato il mondo alla crisi del 2008, si è formato un “circolo del discredito” che ha trovato nei social network la sua cassa di risonanza, ma anche il suo “formato”, la sua sintassi e i suoi codici, creando ciò che potremmo definire una “sottocultura dell’incredulità”. Di fronte alla pandemia, il discredito ha dimostrato pienamente la sua potenza dannosa e la sua energia perversa. Ha acquisito la stessa potenza e velocità di contagio del virus stesso e si è diffuso come un incendio che ha preso il sopravvento su tutti i discorsi politici, mediatici, scientifici ed epidemiologici autorizzati.
Tre date: 2008, 2016, 2020, come tanti fuochi. La crisi finanziaria del 2008 è stata la prima, e senza dubbio quella che ha devastato maggiormente la credibilità del discorso politico negli Stati Uniti e in Europa e ha inferto un colpo fatale alle narrazioni politiche su cui si basavano tutti i discorsi dei governanti neoliberisti. Questo discredito ha trovato nelle reti sociali, apparse nel 2005, una cassa di risonanza che ha trasformato il dubbio in rabbia e in sospetto generalizzato. La Brexit e l’elezione di Donald Trump nel 2016 hanno legittimato il discorso del “populismo” e hanno rivelato il ruolo incendiario dei social network. La disconnessione dei discorsi ufficiali, la loro discrepanza con l’esperienza concreta degli uomini hanno rovinato la credibilità di tutte le storie ufficiali. Terzo focolaio: la pandemia di coronavirus, durante la quale il discredito ha rivelato il suo potere di diffondersi su scala globale. La paura ancestrale delle epidemie si è trasformata sui social network in un complotto diffuso. Il trumpismo è l’erede di questi tre shock di discredito.
Ai bianchi declassati, che costituivano il cuore del suo elettorato, Trump ha offerto una vendetta simbolica, il ripristino della superiorità bianca martoriata dall’ascesa delle minoranze in una società sempre più multiculturale. Dà credito ai perdenti, non della globalizzazione, perché Trump sarebbe obbligato a includere le popolazioni non bianche, ma a coloro che si sentono minacciati in una società multiculturale.
E lo fa utilizzando le ricette del reality – trasgressione, eccesso – perché solo il reality soddisfa questo bisogno di rappresentazione, ben noto ai clinici, che si nutre dell’impotenza di vivere. Un bisogno di rappresentanza che Donald Trump coglie e trasforma in capitale politico. Fino ad allora i reality erano stati limitati all’intrattenimento. Donald Trump ne ha fatto uno strumento per la conquista del potere e il suo esercizio.
La posta in gioco in queste elezioni va ben oltre una semplice scelta democratica tra orientamenti politici opposti; è un salto nell’ignoto, una rottura della razionalità politica. L’elezione, che fino ad allora aveva lo scopo di dare mandato, di accreditare, funziona al contrario, è diventata espressione di sospetto, getta discredito sugli uomini e sulle istituzioni democratiche. Ovunque, il discredito fonda la sua legittimità in modo paradossale, non basandosi sul credito al centro del patto di rappresentanza, ma sul discredito che mina ogni fede. Le rivolte del Campidoglio del 2020, istigate da Trump, e il tentativo di impedire la “certificazione” dei risultati sono l’espressione e la messa in scena di una sfida più ampia alle procedure stabilite per la transizione del potere e l’alternanza democratica.
Le campagne elettorali sono diventate un esercizio non per stabilire, ma per respingere. Il loro modus operandi non si basa più su storie credibili, ma su battute, insulti, provocazioni che screditano ogni forma di autorità (economica, mediatica, politica, medica). Con Trump non si tratta più di governare in un quadro democratico, ma di speculare al ribasso sul suo discredito. Trump è un eroe del sospetto che ha costruito la sua strategia su un paradosso: fondare la credibilità del suo “discorso” sul discredito del “sistema”, speculando al ribasso sul discredito generale e aggravandone gli effetti.
Con Trump, il grottesco ha sostituito il racconto (e il carnevalesco, il romantico) nella conquista dei cuori e delle menti. “La storia è uno scherzo”, diceva Henry Ford. Trump ne ha fatto una politica. Ha sfidato il sistema democratico, non per riformarlo o trasformarlo, ma per ridicolizzarlo. La sua onnipresenza su Twitter è quella di un re carnevalesco che si arroga il diritto di dire tutto e di screditare ogni forma di potere. Lungi dal diventare presidenziale una volta eletto, ha ridicolizzato la carica presidenziale con le sue eccentricità, i suoi sbalzi d’umore, le sue posture grottesche. Trump conosce e padroneggia le leggi dei reality, dove la libertà di espressione deve essere costantemente dimostrata attraverso la trasgressione. Trump è una figura del trash di lusso, che trionfa sotto i segni del volgare, dello scatologico e della derisione. Incarna una sorta di ideale tipo, il redneck rivestito di una patina di notorietà e dotato di una legittimità miliardaria.
Dopo i capitani d’industria del capitalismo industriale del XX secolo, è giunto il momento degli artisti libertari che aborriscono ogni idea di regolamentazione economica, politica e… linguistica. Il loro gusto per la trasgressione non conosce limiti, né nei fatti né nelle parole. Da qui il carattere carnevalesco delle loro esibizioni che adottano ovunque la forma di un ballo burlesco di miliardari. Elon Musk è la figura di spicco, il Re delle Baloney secondo la rivista The Atlantic .
L’editorialista Ian Bogost descrive lui e i suoi simili come bullionaires (miliardari di merda)! I figli di Logan Roy nella serie Succession sono modelli. Parlano spazzatura come molte star del mondo dei media e dei social network. È un tipo particolare di discorso spazzatura. Le chiacchiere spazzatura dei ricchi. Non il trash talk delle strade, ma il trash talk degli yacht, non quello dei rapper, ma quello degli yuppie. Il linguaggio castigato del potere legittimo è caduto nel vaso ribollente della scatologia e della pornografia. Il linguaggio è ridotto a onomatopee, risatine, interiezioni. Una trattativa d’affari tra i Roy assume sempre la forma di stupro e divoramento. La metafora principale della serie è l’orgia. È tutta una questione di aggressioni sessuali, stupri memorabili, inculate leggendarie.
Queste stronzate dei miliardari non sono semplici errori, sequenze calibrate per scioccare e stimolare il pubblico, ma fanno parte di una modalità di derisione che governa gli scambi e mira a oltrepassare i confini del dicibile nel dibattito pubblico. L’indignazione ne fa parte. Sottolinea questo confine, segnala che è stato oltrepassato.
Elon Musk, che ha ripristinato l’account Twitter di Trump dopo aver acquistato l’app, ha proposto di rinominare Twitter “Titter”. A Thierry Breton che gli chiedeva di conformarsi alla legislazione europea, ha risposto condividendo un’immagine del film Un tuono ai tropici , con la seguente frase doppiata in francese: “Inclinerai la testa ben all’indietro e andrai per rilassarti. ‘Ficcati nel tuo cazzo di culo!»
Autore: Christian Salmon è uno scrittore. È membro del Centro di Ricerca sulle Arti e sul Linguaggio (CNRS). È stato assistente di Milan Kundera presso la Scuola di Studi Avanzati in Scienze Sociali (1984-1988). Nel 1993, con il sostegno di più di trecento intellettuali provenienti dai cinque continenti, ha fondato il Parlamento Internazionale degli Scrittori, il cui primo presidente è stato Salman Rushdie. Ha diretto la Rete Internazionale delle Città di Rifugio e la rivista AUTODAFÉ, pubblicata in 8 lingue (1993-2005). Ha collaborato con diversi giornali tra cui Libération, Le Monde e Mediapart. Nell’ottobre 2020 ha pubblicato La Tyranny des buffons con Les Liens qui Libérent.
Fonte: AOCMedia