Alcuni giorni fa, proprio mentre qui su L’AltraMontagna usciva un articolo del mio Blog in cui raccontavo l’inquietudine di camminare in un pascolo abbandonato riconquistato dal bosco, ho notato per puro caso un libro fuori posto nella libreria che stavo riordinando. Un libretto sottile, che non mi ricordavo di aver letto. Uscito nel 2020, l’anno centrale della pandemia, è stato presto sommerso da altri titoli e, probabilmente a causa della sua piccola mole, è caduto nell’oblio.
Il titolo — La città rurale. Paesaggi in continuo divenire — mi ha immediatamente attirato, dato che avevo scritto da poco di paesaggi montani che mutano rapidamente. La quarta di copertina, con il suo inquadramento relativo alla tematica del saggio, mi ha del tutto conquistato. Così nei giorni successivi l’ho letto, trovando al suo interno numerosi temi affrontati in questo primo anno de L’AltraMontagna: il rapporto tra Terre alte e città, la comprensione del paesaggio montano, il ruolo sociale e ambientale delle attività agro-silvo-pastorali, la necessità di nuove visioni e di nuove politiche per la montagna.
Si tratta di un saggio breve ma al tempo stesso densissimo, scritto da un “collega” dottore forestale, Andrea Pincin, che oggi riveste il ruolo di Direttore del Centro servizi per le foreste e le attività della montagna (CeSFAM) della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e che è anche professore aggregato all’Università di Udine, dove insegna alpicoltura e gestione dei prati e dei pascoli.
Ho trovato le riflessioni contenute nel saggio decisamente interessanti e attualissime. Hanno saputo allineare tanti pensieri che durante quell’escursione narrata nel Blog si erano sovrapposti l’un l’altro. Per questo ho scelto di contattare l’Autore per porgli alcune domande, nonostante il suo libro sia uscito già da quattro anni.
Meglio tardi che mai!
NB: Il Dott. Pincin ha partecipato a questa intervista da professionista e non in veste istituzionale
Iniziamo dalle premesse: da dove nasce l’idea, o forse la necessità, da parte di un funzionario regionale che si occupa di Terre alte, di ragionare attorno ad un concetto che si focalizza sul ruolo della città?
All’incirca tra il 2010 e il 2020, c’è stata per la prima volta nella storia dell’umanità una profonda trasformazione nella demografia globale, poiché la popolazione che risiede nelle aree urbane ha superato quella che abita nelle aree rurali. Questo è un fenomeno epocale: negli ultimi 12.000 anni, partendo dalla rivoluzione neolitica, e passando per la nascita delle civiltà e delle polis, e finanche per le rivoluzioni industriali di fine ‘800, la popolazione mondiale è sempre stata in prevalenza rurale. Le stime indicano che nel 2030 addirittura il 70% della popolazione mondiale vivrà in città. Non a caso alcuni studiosi hanno definito questo periodo l’inizio di una nuova epoca nella storia geologica della terra: l’urbanocene.
Questa storica inversione nel rapporto demografico tra città e campagna genera dei risvolti estremamente rilevanti sulla gestione delle risorse geografiche, sulla geopolitica, sull’ambiente e sul paesaggio. Essa comporta inoltre una dominanza della cultura urbana su quella rurale, producendo in questa declinazione i principali impatti sulle Terre alte. La cultura urbana, infatti, non ha nessuna conoscenza della ruralità, che è la cultura propria delle Terre alte; essa non percepisce il ruolo centrale delle attività agro-silvo-pastorali nella gestione del paesaggio e quindi nella valorizzazione di tutti quei servizi ecosistemici che la montagna garantisce a tutta la comunità.
Produttori, gestori del paesaggio e sentinelle: con queste parole sono descritti nel saggio i protagonisti delle attività agro-silvo-pastorali. Crede che politica e opinione pubblica condividano questa triplice definizione?
L’opinione pubblica è espressione della cultura urbana, se non altro per una questione di statistiche demografiche. La mancata conoscenza della ruralità da parte di questa cultura dominante genera tre principali riflessi.
In primis la cultura urbana proietta sul mondo agricolo e sulla montagna la propria simbologia e i propri stereotipi, di solito percependo questi spazi come un piacevole sfondo per le proprie attività ricreative. Le Terre alte diventano quindi dei non-luoghi, non più degli spazi di vita per le comunità umane.
In secundis, la cultura urbana entra in maniera sempre più preponderante negli interventi di gestione del paesaggio montano senza disporre degli strumenti culturali, prima che tecnico-scientifici, necessari per comprenderne il senso. Questo è emerso a seguito della tempesta Vaia: le aziende agricole e forestali, nonché tutta la filiera foresta-legno, si sono prontamente attivate per gestire la grande quantità di biomassa morta o deperiente all’interno del bosco. Lo scopo era primariamente ambientale e di sicurezza: grandi quantità di legno morto in bosco aumentano il rischio di parassitosi, il rischio di incendi, il rischio idrogeologico e i rischi legati alla sicurezza della circolazione stradale. Nonostante questo, ci sono state (e ci sono tuttora) forti proteste relative alla realizzazione degli interventi di utilizzazione forestale sostenibile e di realizzazione delle infrastrutture necessarie a garantire l’accessibilità all’interno del bosco proprio per realizzare quegli interventi di carattere ambientale.
In terzo luogo, la cultura urbana domina le scelte politiche a vantaggio delle aree urbane, marginalizzando ancora di più i contesti rurali: si pensi al ruolo sempre più ridotto della Politica Agricola Comune dell’Unione europea (PAC): nel 1980 essa interessava il 65% del bilancio europeo, oggigiorno appena il 23%.
Alla luce di questi aspetti, non ritengo che ci sia ancora la piena consapevolezza dei plurimi e centrali ruoli che svolgono i protagonisti delle attività agro-silvo-pastorali.
Nel definire la “città rurale” parla dello spazio urbano non solo come mercato finale e principale dei prodotti e dei servizi offerti dalla cornice agro-silvo-pastorale che circonda i grandi nuclei abitativi, ma soprattutto come “paradigma culturale innovativo”: di cosa si tratta?
Il libro parla del paesaggio, l’elemento derivante dall’interazione millenaria, sostenibile e attiva tra la natura e l’umanità. Tutto in Europa è paesaggio: se non si considera questo tassello filosofico-concettuale, non si ha la chiave di lettura della geografia planetaria. La cultura urbana dimentica invece troppo spesso che il paesaggio è espressione di questo millenario rapporto: di solito nega la natura nella costruzione della città o elimina l’umano nella lettura delle aree rurali e montane, da cui nasce, ad esempio, il concetto oggi molto in voga di wilderness. In questo contesto, le città giocano e giocheranno sempre più un ruolo centrale nell’ambito dell’intero pianeta.
La città rurale è una proposta per favorire il riconoscimento della relazione tra la città e i paesaggi che la circondano, rimettendo al centro la sostenibilità nel rapporto natura-umanità. La città rurale promuove la valorizzazione della ruralità nei contesti urbani per restaurare una relazione florida, attiva, vivace e sostenibile tra un sistema umano e l’ambiente, per rendere consapevoli i cittadini nei processi di creazione della propria geografia e dei propri paesaggi. Il paesaggio è il centro del sistema: citando il prof. Ugo Morelli “nel paesaggio «economia» (le regole per il governo della casa e dell’ambiente) ed «ecologia» (le azioni, i pensieri e i linguaggi sulla casa e sull’ambiente) tendono a coincidere e possono finalmente tornare ad essere la stessa cosa”. La ri-ruralizzazione urbana può giocare un ruolo chiave sia nei derelict corners, i ritagli verdi periurbani spesso abbandonati in condizione di forte degrado, sia nelle più vaste aree marginali, anche montane, oggi in fase di abbandono.
Nel saggio individua tre grandi azioni che la politica dovrebbe intraprendere in modo sinergico per ristabilire una relazione dei cittadini con la propria terra: ce le illustra brevemente?
La politica è l’elemento chiave che può garantire la valorizzazione della marginalità geografica e restaurare relazioni responsabili e lungimiranti tra i cittadini e l’ambiente circostante. Il libro propone tre azioni tra loro concatenate: l’educazione, la creazione e la promozione.
L’educazione gioca un ruolo centrale in tutti i processi sociali. Essa ha un duplice fine: far conoscere e maturare la cultura rurale nell’ambito urbano e promuovere nuovi protagonisti delle attività agro-silvo-pastorali consapevoli, i quali possano operare nelle aree marginali e abbandonate, sia di carattere periurbano che montano. La creazione è l’insieme di attività per dare slancio alle proposte imprenditoriali nell’ambito rurale che nascono dall’ambito formativo. Le attività agro-silvo-pastorali sono anche attività economiche: è quindi necessario implementare delle politiche per garantirne la costituzione e uno sviluppo equo. La promozione rappresenta l’ultima azione: in essa la città si fa responsabile del sostegno a tutte le attività rurali che ruotano intorno al proprio ambito geografico, anche garantendo un riconoscimento sociale dei propri cittadini agricoltori. Questo significa anche favorire il consumo dei prodotti locali, promuoverne l’uso nella ristorazione e nelle mense pubbliche e private.
Tra le righe del suo saggio sembra di percepire che le Terre alte siano oggi di fronte ad un bivio della storia. Le politiche di oggi determineranno quale delle due strade prenderanno i territori rurali e, in particolare, montani nel prossimo futuro: abbandono inesorabile oppure una rinascita (o quantomeno il raggiungimento di un nuovo equilibrio). Come immagina e come auspica i territori di cui si occupi tra 30 o 50 anni?
Sono residente in Carnia, nelle Alpi orientali. Qui il processo di spopolamento è stato (ed è tuttora) più incisivo che altrove: nel 1950 erano presenti circa 61.000 residenti, per il 2030 le stime parlano di 31.000 persone. La densità abitativa è molto bassa: se non si considera il centro abitato principale, ci sono 21 abitanti per chilometro quadrato, meno di un terzo rispetto la densità abitativa media della montagna italiana e il 10% della media nazionale. Molte altre aree montane stanno vivendo una profonda crisi demografica, culturale e paesaggistica: fenomeni di spaesamento e marginalizzazione incidono significativamente sulle comunità e producono una contrazione dei servizi pubblici, azzerano i tassi di natalità, riducono le prospettive di crescita personale e promuovono l’emigrazione giovanile.
Nonostante le grandi sfide che oggi si presentano, ritengo che la montagna abbia molto da insegnarci e molte opportunità da offrire: vivibilità, sostenibilità, ambiente, senso di comunità, spazi di sviluppo economico. Tutte caratteristiche che le città sempre più sovraffollate e caotiche non sembrano essere in grado di garantire, ma che fanno naturalmente parte del territorio montano: non a caso il turismo in montagna continua a crescere, anche in piena crisi economica. È il momento di scegliere se continuare a guardare alla montagna come uno sfondo piacevole nel quale effettuare attività emozionanti ma vuote di significato – trasformando le Alpi in non-luoghi – o se investire nella cura e nella residenzialità permanente del territorio montano. Questo dovrebbe essere l’elemento principale delle politiche a favore delle terre alte. Per garantire la residenzialità permanente della montagna, non bastano però gli spazi aperti e l’ambiente “pulito”: è necessario dotare e garantire il territorio di tutte le infrastrutture e i servizi, anche culturali, essenziali per lo svolgimento della vita delle comunità umane e per le attività economiche.
Città fatte diversamente: prova a immaginare un’altra esistenza urbana
Tra trent’anni auspico una montagna alpina nella quale la residenzialità permanente e le attività agro-silvo-pastorali siano motivo di orgoglio per i valligiani, in un contesto culturale ed economico florido e vivace, dotato delle infrastrutture necessarie. Non si tratta di trasportare la città in montagna, ma di garantire a chi sceglie di vivere nei contesti rurali prospettive di sviluppo personale meritevoli.
https://www.asterios.it/catalogo/la-citt%C3%A0-giardino-del-domani