Ne consegue che tutti i fenomeni metafisici sono interpretati teleologicamente dai razionalisti. Vale a dire, vanno interpretati sulla base dell’idea filosofica che le cose hanno scopi e cause, che vengono interpretate (in materia di Arte, Cultura e Religione) con criteri oggettivi limitati (dal soggettivismo), dall’immaginazione e dalla conoscenza dell’oggetto.
Criteri che non riguardano la moltitudine cristiana, che si avvicina con fede alla regione dell'”increato” e con la coltivazione dell’anima, affinché la “santificazione dell’uomo” (attraverso la Chiesa) diventi benefica. Perché la sua purificazione, la sua chiamata alla santità e la sua unione con il “Padre, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili” (come dice il Simbolo della nostra fede), diventino proficue, perché “Questa è la volontà di Dio, la santificazione di noi”, come dice il grande apostolo delle genti Paolo (1 Tess. d, 3).
Pertanto, sulla base della fede, della purificazione e della redenzione, il credente in Cristo interpreta e comprende il Santo Dio trino, la nascita di Cristo, l’Epifania trina e la sua risurrezione. In particolare, interpreta la nascita divina come una possibilità che Dio gli concede per riconciliarsi con Lui e con il prossimo. Stabilire nuove priorità nella sua vita, avvicinarsi con cuore limpido, obbedienza e umiltà al concepimento (inaccessibile alla ragione) da parte dello Spirito Santo della Vergine Maria e alla “nascita del Figlio e Verbo di Dio”, come dice la Bibbia.
Cioè i portatori della Parola divina, che — insieme alla Chiesa (Casa di Dio e “depositaria della Sua grazia”) — coltivano la fede nel loro gregge, rivelando loro un mondo nuovo, dal quale le prove logiche di accettazione della Presenza e della benedizione divina sono assenti, perché coperte dalla fiducia del cristiano in Dio. Fiducia che rende la sua fede invulnerabile alle tentazioni.
Immune da garanzie logiche o alibi psicologici nel corso della sua vita. Questo, del resto, è il significato della festa della Natività di Cristo, che rappresenta un “punto di svolta” nella storia umana. Infatti, per commemorare questo “rito” (cioè la nascita divina), la Chiesa ha designato come lettura apostolica della domenica precedente la nascita di Cristo il brano (estratto) del suo albero genealogico.
Giorno dell’incarnazione di Cristo e della divinizzazione dell’uomo
Testimonianza di fede
È una testimonianza di fede, per far sapere al “gregge” che la promessa di Dio della salvezza del mondo “dalla discendenza di Davide” è stata registrata nell’Antico Testamento e faceva parte del Suo piano preesistente per la salvezza e la redenzione del mondo. Un piano in cui la fede e la fiducia dell’uomo in Dio erano in primo piano: gli esempi più caratteristici sono quelli di Abramo, Sara e del loro figlio Isacco, ma anche quelli di Noè, dei vari Giudici, dei Profeti o di persone comuni che passano — come testimoni della fede cristiana — attraverso le pagine del Nuovo Testamento. Una fede, quella cristiana, che ha origine nell’Incarnazione e nella nascita di Gesù, che non ha nulla a che vedere con la creazione di un nuovo essere umano, perché non si tratta di una parentela biologica, ma di una parentela spirituale, divina.
Pertanto, non consideriamo la nascita di Cristo secondo criteri teleologici come uno “scandalo”, come ho detto prima. Nella grotta di Betlemme, il bambino nato dalla Vergine Maria era il “Figlio di Dio” inviato agli uomini! Il “Figlio di Dio” che si è fatto uomo, affinché noi potessimo diventare “figli di Dio per grazia”. In comune, per la nostra salvezza.
Così, quando sentiamo suonare le campane delle chiese, dobbiamo interpretarle come una chiamata a partecipare al mistero dell’incarnazione del Dio-Uomo. Un mistero che infrange l’illusione dell’onnipotenza della materia, poiché Egli ha scelto di nascere in una stalla e non nella ricchezza e nella nobiltà. È un esempio di amore, umiltà e rispetto per l’uomo semplice, autentico, naturale, che diventa un tutt’uno con la natura e, vivendo in uno spirito di libertà, sente il bisogno di avvicinarsi a Dio con semplicità e spirito di pentimento.
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Questo spiega perché non solo i famosi maghi/astronomi dell’epoca (Melchiorre, Gaspare e Belshazzar) vennero ad adorare il Divino Bambino in sparganes con doni costosi (oro, incenso e mirra) seguendo la stella di Betlemme, ma anche poveri pastori. Mentre nel suo breve percorso sulla terra, gli esattori delle tasse e le prostitute con fede e altruismo (Zaccheo, Cireneo, Cananea, Samaritani…) vennero a incontrare Gesù/maestro.
In uno spirito di pentimento, lo stesso approccio è adottato oggi da coloro che celebrano la nascita divina ogni Natale con la fede e non con la ragione. Celebrano la Natività di Cristo cantando “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra e benevolenza verso gli uomini”. Celebrano l’incarnazione del Figlio di Dio, il cui risultato è stata la redenzione dell’uomo. Celebrano la nascita del Verbo che è diventato causa di vita eterna, portando il messaggio che l’Amore di Dio per l’uomo è stato documentato dalla nascita di Suo Figlio, avvenuta nell’umiliazione finale, diffondendo la speranza che l’amore e l’umanità hanno come “stielis” i poveri dell’universo…
Fonte: SLPress
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