Trump contro l’America: quando la finzione diventa realtà

 

Alla vigilia del secondo insediamento di Trump e dei suoi accenni di esacerbato nazionalismo, sembra salutare aprire, o riaprire, The Plot Against America, l’ucronia di Philip Roth sull’ascesa di un simpatizzante nazista al potere negli STATI UNITI. Scritto nel 2004, il romanzo assume una svolta profetica, offrendo una preziosa visione dei meccanismi che hanno permesso a tale populismo di fiorire nell’America di oggi.

Nell’ottobre del 2016, quando la maggior parte dei sondaggi prevedeva la sconfitta di Donald Trump alle elezioni, sono stato invitato da diverse università americane per una serie di conferenze sul vincitore del Premio Nobel 2014, Patrick Modiano. A Chicago, alloggio al 39° piano del River Hotel, da dove ho una splendida vista del Trump International Hotel e della Torre dall’altra parte del fiume. La sua facciata in vetro mostra con orgoglio il nome del candidato repubblicano in lettere maiuscole.

In realtà ho portato con me un libro che mi perseguita sin dalla nomina del candidato repubblicano: The Plot Against America di Philip Roth. Allora decido di rileggerlo davanti alla Trump Tower, come per vendicarmi di questo nome che mi provoca e mi fa sprofondare nella paura. Viene poi confermata la mia impressione che Roth avesse, in modo quasi premonitore, anticipato nel 2004 quanto sta accadendo nel 2016.

Il giorno successivo consigliai caldamente la lettura del romanzo ai miei colleghi americani che, con mia grande sorpresa, non condividevano il mio entusiasmo per il libro e il suo autore. Ma quando Trump ha vinto le elezioni presidenziali, questi stessi colleghi mi hanno contattato per dirmi che, sconvolti, hanno seguito il mio consiglio e hanno divorato The Plot Against America in uno stato di stupore e preoccupazione simile a quello che avevo loro descritto. L’effetto del romanzo su di loro fu lo stesso che su di me: un’inquietante sensazione di déjà vu, come se Roth non avesse solo raffigurato un universo immaginario ma delineato anche le possibilità di un’America appena diventata realtà.

Alla vigilia del secondo insediamento di Trump alla Casa Bianca, mentre l’equilibrio geopolitico internazionale è più minacciato che mai, mi sembra salutare riaprire Il complotto contro l’America per guardare il nostro mondo da quale finzione e interrogarsi sulla strana capacità di questo testo per anticipare il nostro presente. 

Il romanzo di Philip Roth immagina un’America in cui l’aviatore e simpatizzante nazista Charles Lindbergh fu eletto presidente degli Stati Uniti contro Franklin D. Roosevelt durante le elezioni fittizie svoltesi nel 1940. Si tratta di quella che chiamiamo un’ucronia, vale a dire un testo che prende una situazione storica reale come punto di partenza ma modifica un evento per considerare che la Storia ha preso una piega diversa. Ma a differenza di altre ucronie, il romanzo di Roth sembra stranamente preveggente delle dinamiche politiche e sociali contemporanee. Esplorando questa America alternativa attraverso gli occhi di una famiglia ebrea del New Jersey confrontata con un clima di crescente antisemitismo e profondi sconvolgimenti nella politica americana, Roth mette in discussione la fragilità delle istituzioni democratiche di fronte all’ascesa del populismo e dell’estremismo.

In questa finzione, Lindbergh si presenta innanzitutto come un’incarnazione del sogno americano – come l’uomo d’affari Donald Trump – e professa – come il miliardario – un nazionalismo radicale che piace a gran parte dell’elettorato. Il discorso che l’aviatore pronunciò effettivamente nel 1941 a Des Moines, vero fulcro del romanzo, ne è l’esempio più lampante. 

Questo discorso è strettamente legato all’efficace adesione di Lindbergh all’America First, una dottrina populista basata sull’isolamento degli Stati Uniti dal resto del mondo e sulla priorità data alla politica interna, lanciata nel 1916 dal presidente Woodrow Wilson per evitare Il coinvolgimento americano nella prima guerra mondiale si radicalizzò negli anni ’30 e in seguito fu utilizzato per opporsi all’entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. E fu proprio a Des Moines che Lindbergh se ne fece portavoce, dando libero sfogo alle sue pulsioni xenofobe e nazionaliste. Stigmatizza gli inglesi, la presidenza di Roosevelt e, soprattutto, gli ebrei, che accusa di dirigere segretamente la politica americana e di spingere il Paese verso la guerra. Roth ha reso questo discorso quello che effettivamente era: uno strumento di manipolazione che esacerbava paure e divisioni all’interno della società americana. 

I dibattiti su identità e disuguaglianze americane, presenti nei libri di Roth, assumono particolare rilevanza nell’era Trump.

The Plot Against America esamina quindi il modo in cui il personaggio di Lindbergh sfrutta queste tensioni per affermare la sua popolarità. Dopo la vittoria elettorale, l’aviatore mise in pratica le sue idee firmando l’ Intesa islandese, un accordo di neutralità con il regime nazista. Questo cambiamento diplomatico crea una divisione all’interno della nazione, in particolare tra gli ebrei americani che temono la normalizzazione dell’antisemitismo. Inizia quindi un conflitto politico tra il immaginario Roosevelt, che difende gli ebrei e desidera l’entrata in guerra degli Stati Uniti, e i sostenitori di Lindbergh, impegnati in un’epopea nazionalista e xenofoba in un contesto di rivolte e pogrom. 

Tanto più che le riforme imposte da Lindbergh nel romanzo non si limitano alla politica estera. Quest’ultimo istituisce l’ Office of American Absorption (OAA), un programma di assimilazione ebraica volto a omogeneizzare la società americana. Iniziative come “Just Folks” e “Homestead 42” spingono gli ebrei a confondersi con il resto della popolazione. Questi programmi mirano a cancellare le differenze culturali e religiose che rendono ricca la società americana, emarginando coloro che non corrispondono all’ideale lindberghiano. 

Roth descrive così il processo attraverso il quale il pensiero nazionalista e ostracizzante penetra nella vita quotidiana dei cittadini. I cambiamenti nel quartiere di Newark dove vive il giovane narratore e dove le famiglie ebree vengono sostituite da famiglie non ebree a causa del “Progetto Buon Vicino” testimoniano questo desiderio di standardizzare la società a scapito della diversità storica e culturale del paese. Un tale fenomeno di “pulizia” etnica è tanto più preoccupante perché è giustificato da una visione democratica dell’America, in cui le masse si mobilitano attorno a un patriottismo ingenuo e ingannevole. 

Questo processo di manipolazione avviene anche attraverso lo sfruttamento delle debolezze individuali, come dimostra l’accettazione da parte del rabbino Bengelsdorf dell’invito di Joachim von Ribbentrop, ministro degli Esteri nazista, ad un pranzo di Stato alla Casa Bianca. Questo episodio segna nel romanzo il culmine della demonizzazione delle ideologie fasciste, avviata dall’accordo di neutralità stipulato con Hitler. Il rabbino, lungi dall’opporsi a questo rapporto diplomatico, sembra anzi gioire di esso, che il narratore vive come un tradimento. Perché questo gesto, che potrebbe passare per un errore diplomatico, in realtà segnala il decadimento dei principi democratici ed etici sotto la pressione del potere.

Attraverso questo esempio, Roth mostra come un leader, sfruttando le paure e le debolezze degli individui, può manipolare non solo l’opinione pubblica ma anche figure influenti all’interno delle comunità vulnerabili. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto può spingersi un leader populista senza che le istituzioni democratiche gli resistano? Perché Lindbergh è al centro di un vero e proprio complotto contro l’America, vale a dire contro i valori democratici che l’America incarna. Attraverso questo scenario, Roth invita a riflettere sul modo in cui il populismo radicale può radicarsi in una democrazia per corromperla dall’interno. 

È così che nel 2004 Roth ha spostato il suo lettore dalla realtà alla finzione e nel 2016 Trump ha in qualche modo spostato il romanzo dalla finzione alla realtà. Per dirla senza mezzi termini: Trump contro l’America era diventato realtà. Da qui l’impressione, per molti lettori, che il testo avesse anticipato l’era Trump. La ricezione del libro è stata ampiamente ripresa all’epoca e nell’aprile 2020 è stata trasmessa anche su HBO una miniserie adattata dal romanzo di Ed Burns e David Simon.

L’elezione di Trump, con i suoi accenni di nazionalismo esacerbato e populismo sfrenato, la sua ideologia dell’America eretta inizialmente a mantra, ha infatti dato ragione ai timori di Roth riguardo alle possibilità di deriva autoritaria all’interno delle stesse democrazie. Ed è qui che Il complotto contro l’America assume una svolta profetica, fornendo preziose informazioni sui meccanismi che hanno permesso a tale populismo di prosperare nell’America di oggi.

I romanzi di Roth, e Il complotto contro l’America in particolare, continuano a risuonare nel nostro presente perché mettono in discussione gli sviluppi socio-politici che sono più che mai all’opera. Roth ha infatti saputo descrivere con rara acutezza le fratture dell’America contemporanea, legate all’identità nazionale e alle minoranze. Ma i dibattiti sull’identità e le disuguaglianze americane, presenti in libri come American Pastoral o The Human Stain, assumono un rilievo singolare nell’era Trump, dove le tensioni razziali e culturali, alimentate dal populismo, sono più acute che mai.

Naturalmente l’America di Lindbergh e l’America di Trump non sono strettamente sovrapponibili. Tuttavia, le loro somiglianze sono sufficientemente sorprendenti da cambiare definitivamente il modo in cui leggiamo questo romanzo. Pura coincidenza, si potrebbe dire. Questa sarebbe ovviamente una spiegazione plausibile nella misura in cui, tra tutte le possibilità verso cui può tendere una democrazia, Trump non è una probabilità zero – come hanno dimostrato anche Bolsonaro e Milei che hanno preso il potere in Sud America. Ma ciò significherebbe dimenticare che Roth medita proprio su una biforcazione della Storia e ci invita quindi a considerare il suo romanzo meno come una profezia quanto come un laboratorio mentale capace, a partire da un’analisi fine di una situazione storica, di considerare le conseguenze più estreme. 

Da questo punto di vista, l’uso della narrativa come esperimento mentale è cruciale. Ripensando la Storia, Roth ci offre un osservatorio privilegiato sulle ripercussioni delle scelte popolari irrazionali e degli eccessi autoritari. L’ucronia, ponendo la domanda “what if”, costituisce quindi un vigoroso monito che ci spinge a esaminare le dinamiche politiche del nostro tempo. Ecco perché, rivolgendosi alla Seconda Guerra Mondiale, Il complotto contro l’America non è solo un riesame del passato, e nemmeno una profezia, ma piuttosto un’esplorazione complessa e angosciata dei pericoli insiti in ogni democrazia, sempre presenti in un’era in cui le basi democratiche sono regolarmente minate da forze esterne ed interne. 

Il complotto contro l’America, in questo senso, è stato dal 2004 un monito per il futuro, incoraggiando a essere più vigili di fronte ai rischi di una deriva autoritaria, anche nelle democrazie più solide. Da lì a concludere che non possiamo raccomandare caldamente che gli elettori siano anche lettori, c’è solo un passo…

Autore: Maxime Decout è Professore-ricercatore in letteratura all’Università della Sorbona e membro junior dell’UITA.