Da giorni, di fronte alla mostruosità dei crimini di guerra commessi dall’esercito di Netanyahu nella Striscia di Gaza, l’emozione che suscitano e la condanna quasi unanime della comunità delle Nazioni Unite, ad eccezione degli USA, fanno crescere le accuse di “mettere i crimini del 7 ottobre in prospettiva”. Questi crimini di guerra sono stati innegabilmente atroci e sono stati condannati quasi all’unanimità l’8 ottobre come “terroristi”, giustamente.
Ma dal 9, con la decisione del governo suprematista di Netanyahu di tagliare acqua, elettricità, cibo e petrolio ai 2,3 milioni di abitanti di Gaza, prima ancora dei bombardamenti che hanno già causato migliaia di morti civili, tra cui la maggioranza donne e bambini, l’attenzione potrebbe passare solo alle rappresaglie israeliane. E questo per un motivo molto semplice: diplomatici e manifestanti possono ancora sperare di fermare oggi o domani quello che appare sempre più chiaramente come un ricatto di “genocidio, o deportazione nel Sinai” degli abitanti di Gaza. Ma nessuno, nessuna pressione, né su Hamas né sul governo israeliano, può garantire che il 7 ottobre non abbia avuto luogo.
Da allora in poi, il ritorno costante a un crimine passato non potrà che assumere un solo significato: ridimensionare o addirittura giustificare i crimini in corso, oggi e domani. Cosa che diventa sempre più difficile a causa del riconoscimento giurisprudenziale internazionale del principio di “proporzionalità”. Il 17 dicembre sono state registrate a Gaza 18.800 morti civili (senza contare i cadaveri sotto le rovine, i corpi in decomposizione nelle strade) rispetto ai 1.200 morti, un terzo dei quali militari, il 7 ottobre.
È stato rivelato che il software di intelligenza artificiale Habsora utilizzato dall’IDF per designare gli obiettivi dei bombardamenti era sintonizzato per accettare centinaia di vittime civili collaterali al fine di uccidere ipoteticamente un funzionario di Hamas. Per la doppia forza dell’attualità e della sproporzione, il 7 ottobre purtroppo scomparirà gradualmente come un episodio tra gli altri nella tragedia israelo-palestinese in corso dal 1948. Come sono scomparsi dalla memoria, tranne che dagli archivi di Wikipedia, i pretesti per i successivi bombardamenti e attentati su Gaza da parte dell’esercito israeliano, lo Tsahal, dal 2006.
Sì, resta l’insopportabile questione degli ostaggi, un crimine anch’esso inaccettabile e continuato, sul quale possiamo ancora “pesare”. Purtroppo la tregua e la mediazione del Qatar sono state interrotte sotto la pressione dell’ala più messianista del governo Netanyahu che, con immensa preoccupazione dei genitori degli ostaggi, si è schierata chiaramente a favore della dottrina dello “spara con la pistola”, bombardando i depositi dove sarebbero stati tenuti gli ostaggi per uccidere i loro rapitori. Gli ostaggi finiranno, come gli abitanti di Gaza, sepolti sotto le macerie o abbattuti dal “fuoco amico”.
Bisogna allora moltiplicare le accuse e i dettagli scandalosi sul 7 ottobre per ristabilire qualitativamente una “proporzionalità” quantitativamente indifendibile. Come se l’enormità del massacro del 7 ottobre non bastasse a infangare la legittimità della resistenza di un popolo palestinese espropriato della propria terra, occorre moltiplicare le menzogne della guerra per collegarla al crimine assoluto che giustifica la nascita di Israele nel mondo. Decisione dell’ONU del novembre 1947 (che creò anche, non dimentichiamolo, uno Stato palestinese, con Gerusalemme come città internazionale): la Shoah. Per fare questo, coloro che vogliono giustificare la distruzione di Gaza avanzano su tre direttrici.
Primo binario: qualificare il 7 ottobre come un pogrom
Certamente è percepito come tale dagli ebrei che credevano di trovare rifugio in Israele. Ma lo scambio di ostaggi e soprattutto le indagini delle autorità israeliane e della stessa stampa hanno “messo in prospettiva questa percezione”. Un pogrom è una rivolta popolare, incitata dai vertici, contro una minoranza (esempi: i pogrom zaristi, il massacro dei tutsi). Il 7 ottobre si è trattato di un’azione di commando di Hamas sul territorio israeliano con un triplice obiettivo: impadronirsi delle postazioni militari israeliane al confine, uccidere quanti più civili possibile, rimuovere quanti più ostaggi possibile, due obiettivi questi ultimi meritevoli dell’accusa di terrorismo . Si tratta infatti di “crimini contro civili finalizzati a un obiettivo politico”.
Un doppio obiettivo: direttamente, creare nella popolazione la paura di suggerire l’emigrazione, e indirettamente, provocando la reazione violenta di Israele, sbarrare la strada agli “Accordi di Abramo” e al riconoscimento di Israele da parte dei paesi arabi. I commando di Hamas che si sono spinti il più possibile nel territorio israeliano, per perseguire i primi due obiettivi, sapevano che non sarebbero tornati: si trattava della ripresa su larga scala della tattica degli attacchi suicidi. Gli altri dovevano riportare i loro ostaggi a Gaza il più presto possibile. Anche se non si può escludere che alcuni civili di Gaza abbiano seguito questi commando per “approfittare della manna” (cosa che sembra indicare la difficoltà di Hamas nel localizzare tutti gli ostaggi), non possiamo in alcun modo attribuire questi crimini alla guerra contro la popolazione di Gaza.
Per quanto riguarda le vittime civili, rapite o uccise a colpi di arma da fuoco o in modo ancor più atroce, è chiaro, dalla loro identificazione, che non sono state prese di mira come “ebrei” ma come “occupanti”, come ha sottolineato la giornalista israeliana Amira Hass. E questo senza entrare nel dettaglio tra dominanti e dominati, sostenitori o oppositori di Netanyahu, ebrei e non: tra queste vittime troviamo beduini israeliani, lavoratori agricoli tailandesi o filippini, tutte persone immediatamente identificabili come non ebrei per il loro aspetto esteriore. Inoltre Hamas, a differenza di altri rami della resistenza palestinese, non porta avanti attacchi antiebraici nel resto del mondo. Hamas è una scissione dei Fratelli Musulmani (quindi anti-wahhabiti, in guerra contro Daesh e Al Qaeda) passati al nazionalismo guerrafondaio radicale e terrorista, e i suoi militanti a Gaza sono soprattutto figli di profughi della Naqba (la pulizia etnica del 1948) che provenivano da questa stessa regione del Negev.
Seconda pista: esagerare l’atrocità degli omicidi
Si parlava di bambini torturati davanti ai genitori, di bambini arrostiti al forno o appesi per i piedi con i reggiseni della madre… Ricordo che quando un blogger francese fu incriminato per aver preso in giro i bambini grotteschi cotti nel forno (come fece sotto le bombe il grande poeta gazano Refaat Alareer prima di essere assassinato con tutta la sua famiglia da un colpo mirato, quasi a voler compiere fino in fondo la profezia stessa della sua ultima poesia oggi tradotta in tutto il mondo come “Se muoio ”…), avendo evocato il celebre precedente delle “Campane di Anversa, 1914”.
Un primo comunicato stampa annunciava che quando i tedeschi entrarono ad Anversa “tutte le campane avevano suonato a rintocco”, e da cosa a cosa la versione popolarizzata era diventata “i tedeschi impiccarono i preti per i piedi invece che per i batacchi delle campane e assassinarono chiamandoli.» Ritroviamo lo stesso schema nella storia dei bambini appesi per i piedi con i reggiseni della madre o bruciati nei forni: l’inconscio xenofobo è strutturato come un linguaggio, un linguaggio “marabout”. Chi dice arabi pensa nazisti, ma i nazisti bruciavano i cadaveri degli ebrei nei crematori, quindi ecc.
In realtà, gli esperti e i medici forensi israeliani hanno quasi completato le indagini sui crimini del 7 ottobre. Due bambini (di meno di due anni) sono morti, uno a colpi di arma da fuoco, l’altro bruciato con la famiglia in una casa bruciata… come tanti altri fatti a pezzi e bruciati vivi a Gaza sotto i bombardamenti israeliani dal 2006, condannati all’unanimità la sicurezza del Consiglio, ad eccezione degli USA per quanto riguarda il massacro in corso. Nessun bambino è scomparso dai luoghi dove sono stati riportati i dettagli più “scioccanti”.
Infine, insistiamo sulla questione dello stupro
Innegabilmente, è comune che i soldati, nel mezzo della guerra, stuprino. E questi stupri spesso mirano, oltre al piacere di “prendere un colpo”, a umiliare il nemico. Ricordiamo le massicce esazioni vendicative dei sovietici che penetravano in Germania, dei francesi in Algeria, dei miliziani serbi in Bosnia e perfino dei soldati degli eserciti di liberazione anglosassoni sulle donne che avrebbero dovuto venire a liberare, quando la testata del ponte fu bloccato due mesi dopo lo sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944. In quest’ultimo caso furono condannati solo afroamericani… Gli stupri sono quindi plausibili, anche nel contesto di un’azione di commando. Nel caso del 7 ottobre: altre bugie o realtà? In ogni caso ripreso anche dalla bocca del presidente degli Stati Uniti per “mettere in prospettiva” le atrocità israeliane a Gaza e rifiutare un cessate il fuoco umanitario.
Israele si sta organizzando per documentare gli stupri del 7 ottobre . Per il momento, l’unica cosa certa perché è stata filmata e trasmessa è il caso di questa sfortunata donna tedesco-israeliana riportata in jeep, nuda e priva di sensi, sotto gli sputi degli abitanti di Gaza. Un pezzo del suo cranio è stato ritrovato tra le macerie di un bombardamento. Il resto delle testimonianze sono sotto embargo, “per non stigmatizzare le vittime”, e questo rispetto onora gli investigatori israeliani, ma non impedisce ai media e ai politici di proclamarne le atrocità.
Invochiamo anche le altre donne ostaggi che Hamas non ha ancora liberato: sarebbe proprio che sono state violentate, e Hamas proprio non vuole liberarle per impedire loro di parlare (di conseguenza non sono più ostaggi scambiabili: perché li tenete in vita?) Forse vero… oppure no: diremo che è “proprio perché non neghino” che l’IDF li bombarda?
È indiscutibile che portare per le strade i resti di una donna seminuda costituisce di per sé (stupro o meno) un atto riprovevole di natura sessuale, con l’obiettivo di umiliare il “nemico” più che la femminilità in quanto tale. Seguendo esattamente la stessa logica, l’IDF trasmette foto di cittadini di Gaza radunati, seminudi e bendati, stipati in camion con cassone ribaltabile da cinquanta persone, presupponendo, senza dubbio a ragione, che l’orgoglio di una popolazione araba sia ancora più umiliato da questo spettacolo dell’attacco alla “virilità” delle vittime maschili. Di fronte allo scandalo internazionale, l’IDF spiega che si trattava di controllare che non indossassero cinture esplosive… E li abbiamo fatti salire sui camion senza averli già controllati?
Allo stesso modo, le donne palestinesi rilasciate nell’ambito dello scambio di ostaggi negoziato dal Qatar (si tratta essenzialmente di prigionieri “amministrativi”, non accusati, quindi anche loro sono ostaggi) affermano di essere state ammassate, nude, di qualunque età, distese a terra, otto in celle per tre… La “relativizzazione” reciproca è quindi più impossibile…. .
Alla fine diremo: “Ma è stato Hamas a dare il via, gli israeliani si stanno solo vendicando”. Scherzo? La guerra israelo-palestinese sarebbe iniziata il 7 ottobre 2023? In quella data e solo nel 2023, più di 160 cittadini della Cisgiordania erano stati uccisi dai coloni o dall’esercito. Impossibile contare nuovamente dal 1948… Per restare fedeli all’ultima ratio degli abusi sessuali: ho visitato Nablus durante l’ Operazione Rampart (la rioccupazione da parte dell’IDF della Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese, nel 2002), guidato da un ebreo per la Pace. Mi ha indicato le piccole croci disegnate a mano sopra o accanto alle case che l’IDF aveva fatto esplodere. Questo marchio è stato apposto dai “collaboratori” palestinesi reclutati dai servizi israeliani, per designare (con deliberata confusione) le case dei combattenti della resistenza palestinese. Come sono stati reclutati questi collaboratori approssimativi? “I servizi israeliani”, mi ha spiegato, “rapiscono gli adolescenti, li violentano o minacciano di stuprarli, affinché accettino di collaborare.» Non ho potuto verificare le dichiarazioni della mia guida israeliana, ma sono probabili quanto le accuse di stupro del 7 ottobre.
Gli stupri di alcuni non esonerano né relativizzano gli stupri di altri. Le braccia dei bambini spezzate dai soldati dell’IDF, incoraggiati da Yitzhak Rabin, perché lanciavano loro pietre durante la prima Intifada, non “giustificano” gli abusi e le profanazioni del 7 ottobre. E quelle del 7 ottobre non giustificano le rappresaglie che seguirono.
A questa litania di accuse sul 7 ottobre si aggiunge spesso l’accusa contro Hamas, che ricorre ad ogni invasione e bombardamento di Gaza, dal 2006 (“Piogge estive”) o 2008 (“Piombo Fuso“) alla guerra vera e propria del 2014 , dove si trattava già di “distruggere Hamas e le sue infrastrutture”, e di usare la popolazione come scudi umani.
Ma infine, diamo un’occhiata alle foto satellitari di questo campo di prigionia a cielo aperto che è diventata la Striscia di Gaza! Si tratta di un’area urbana continua che occupa la quasi totalità di un minuscolo territorio dove si affollano 2,3 milioni di profughi, travolgendo città antiche, un tempo brillanti, come Gaza, città greco-nabatea, porta d’accesso alla “via della seta marittima” sulla via del Mediterraneo. Sì, si vedono zone di orti e orti: e Hamas ha dovuto installare lì i suoi lanciamissili, combattendo solo in questi orti? I bombardieri israeliani decollano tutti dal deserto del Negev, vero?
La stampa israeliana ha denunciato almeno un caso di scudi umani “organizzati”: bambini di Gaza posizionati dai soldati dell’IDF sui tetti degli edifici da loro occupati. Hamas non ha impedito che 1,8 milioni di abitanti della zona nord si “rifugiassero” più a sud. In realtà il discorso degli “scudi umani” fa un loop logico con il discorso dell’immensità dei crimini del 7 ottobre: dobbiamo sradicare il male assoluto che è Hamas anche se ciò significa annientare un popolo, del resto poiché Hamas viene da, è che si tratta di, una popolazione di animali umani.
Ancora una volta, non ho intenzione di “mettere in prospettiva i crimini di Hamas”, ma arriva un momento in cui elevare i suoi crimini alla portata della Shoah, giustificando le peggiori ritorsioni, ha qualcosa di indecente, in cui la diplomazia mondiale si sta preparando per sospendere queste rappresaglie prima che travolgano l’intera regione. Sì, domani la giustizia e la storia dovranno fare il punto su tutti i crimini, tutte le mutilazioni, tutte le profanazioni, tutti gli stupri o le umiliazioni sessuali, da entrambe le parti. Ma se dobbiamo parlarne adesso perché la sofferenza delle vittime è adesso, allora non dimentichiamo né l’uno né l’altro.
Le accuse di stupro del 7 ottobre sono terribili, ma ci sorprende l’assenza di empatia, nei resoconti francesi e nei forum, anche femministi, nei confronti degli ostaggi palestinesi liberati che denunciano oralmente gli abusi sessuali subiti. Perché dopo la Shoah non si può abbandonare la “priorità della lotta all’antisemitismo”, come se per le femministe le donne non ebree vittime di abusi fossero secondarie?
È particolarmente pericoloso relativizzare un crimine con il crimine precedente nella catena della tragedia israelo-palestinese. Si ritorna inevitabilmente, oltre la Naqba del 1948, alla creazione di Israele e alla Shoah, che non riguarda più i palestinesi. Rimango stupito quando leggo le critiche rivolte a chi ha a cuore la sorte dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, di “voler mettere in discussione l’esistenza di Israele ed eliminare gli ebrei dalla loro terra”.
Se c’è una parola pericolosa da associare è “Israele – gli ebrei – la loro terra”. Dimentichiamo le parole del grande scrittore israeliano Amos Oz: “Questa terra, che è la mia terra, è anche la loro terra, che non è la mia terra”? Dimenticate lo Shema Israel, l’avvertimento agli Ebrei attribuito a Mosè nel Deuteronomio/Devarim: “Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che giurò ai tuoi padri di darti, possederai città grandi e belle da te non costruite, case piene di ogni genere di beni e che non avete riempito, cisterne scavate che non avete scavato, vigne e olivi che non avete piantato”?
Generazioni di israeliani, credenti e non, si sono succedute per tre quarti di secolo su questa terra donata loro non dal Signore, ma dall’ONU, e che hanno ampliato con il ferro e il terrore fino al cessate il fuoco del 1949, a Rodi, ai confini cosiddetti “1967”. Là vivevano, si amavano, costruivano nuove case, piantavano ulivi, nuove viti. Mettere in discussione questo fatto compiuto e ratificato sarebbe criminale quanto espellere i turchi da Izmir per restituire ai greci le antiche terre ioniche.
Tuttavia, la terra di Israele è stata sottratta alla terra di Palestina, abitata da palestinesi, e questo è proprio il problema. L’OLP di Yasser Arafat riconobbe questa “terra” agli israeliani, proprio come l’ANC di Nelson Mandela riconobbe la legittimità della loro presenza in Sud Africa ai coloni inglesi e afrikaner. Ma fare della Palestina la “terra degli ebrei” (quando tanti altri sopravvissuti alla Shoah scelsero, dopo aver lasciato i campi, di restare o di ritornare, come la mia famiglia paterna, nei “loro” paesi: Polonia o Francia), significa ripetere imprudentemente il discorso dei coloni messianisti della Cisgiordania e del loro ministro Ben-Gvir.
Sì, esiste un legame indissolubile tra l’esistenza di Israele e la distruzione degli ebrei d’Europa, risultato di tanti pogrom e persecuzioni “cristiane”. Per non dimenticarlo, mentre guardo con ansia alla sorte dei miei corrispondenti da Gaza e del mio collega dell’Università del Negev, rileggo le testimonianze della Shoah: Il tempo dei prodigi di Aharon Appelfeld, e il Diario di Rywka Lipszyc , questa adolescente che visse per più di tre anni nel ghetto di Lodz, poi, gettata da Auschwitz a Bergen-Belsen, scomparsa al momento della Liberazione.
Nota che nella letteratura ebraica “il contenuto più importante è la Torah, e lo stile è la Palestina”, ma che tra i suoi amici sionisti “la Palestina è al primo posto, e in alcuni la Torah viene al secondo posto e in altri per niente.” Ha quattordici anni, vive nel ghetto di Lodz, e conosce già la differenza tra ebrei e (futuri) israeliani…
Oggi sembra emergere un consenso che tre mesi fa non era evidente: l’unica soluzione umana è… la soluzione ONU del 1947, la soluzione dei due Stati. La soluzione per uno Stato “laico e multinazionale”, sognata mezzo secolo fa dall’estrema sinistra israeliana e dal FDPLP di Nayef Hawatmeh, sarebbe, nell’attuale stato degli equilibri di potere, la realizzazione del progetto esplicito di Netanyahu e dei suoi alleati suprematisti: uno Stato ebraico “dal mare al fiume” e perché no oltre il Giordano, con Gaulanitide (l’antica tetrarchia di Filippo) e Perea.
La soluzione a due Stati non sarà una soluzione miracolosa. Vivrà, in ciascuno di essi, giorni difficili, con irredentisti e minoranze nazionali da entrambe le parti, come la soluzione dei due Stati negoziata per l’Irlanda nel 1921. Ciò supporrà la paziente costruzione di una storia comune, dove i crimini di alcuni non “relativizzano” più i crimini degli altri. Iniziamo oggi.
Fonte: AOC Media