Le ‘chiavi dimenticate’ degli ebrei di Salonicco

 

Il 15 marzo 1943, il primo treno della morte, che trasportava gli ebrei di Salonicco ad Auschwitz, partì dalla vecchia stazione ferroviaria della città. Oggi domenica 17 marzo la città commemorerà la memoria dei suoi ebrei che furono sterminati nei forni crematori con una marcia silenziosa di ricordo da Piazza Eleftherias (Piazza della Libertà) alla vecchia stazione ferroviaria.

“Oggi la chiave la cui porta si è sciolta, poggia simbolo del vento e della diaspora. Compagna a quell’altra chiave della porta del Tempio, che quando i Romani lo stavano bruciando, qualcuno lanciò in alto con tale forza che una mano la raggiunse, la raccolse e la conservò nelle profondità del cielo…” (ballata sefardita).

La canzone si riferisce alla cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492 e l’arrivo di molti di loro a Salonicco. In questo caso, cinque secoli dopo, era la mano di Julia Appsoglou, che si protendeva dalla finestra semichiusa per prendere la chiave datale da Sarah Pinchas, nella Città Alta di Salonicco.

Era il 15 marzo 1943, quando il primo treno che trasportava ebrei da Salonicco, diretti ad Auschwitz, partì dalla vecchia stazione ferroviaria della città. Durante la notte i tedeschi si erano scatenati, invadendo con la forza le case degli ebrei per portarli alla piattaforma della stazione e da lì ai crematori per lo sterminio. In via Raktivan, a Tsinari, nella Città Alta, mentre trascinavano la famiglia Pinchas di cinque persone, Julia Aptsoglou osservava la scena da dietro le grate, incapace di reagire.
Non appena l’ha notata, Sarah l’ha chiamata: “Komsu (vicino di casa, in turco) le ha detto: prendi la chiave di casa mia e occupatene fino al nostro ritorno”, come ci ha raccontato il nipote di Apsoglou, lo scrittore Tasos Papanastasiou, che ha trasformato l’intera vicenda in un romanzo. Non sono mai tornati.

“Mia nonna prese la chiave e si prese cura della casa. Quando ormai si sapeva che non sarebbero tornati, consegnò la chiave alle autorità e da allora non abbiamo mai saputo che fine abbia fatto. Per un certo periodo alcuni sfollati si erano stabiliti nella casa all’inizio della guerra civile. Oggi sopravvivono alcune piastrelle del cortile della casa…”.
C’erano molte famiglie ebree che, al momento di partire per la Polonia, dove avrebbero dovuto ricevere case e posti di lavoro, come la propaganda tedesca aveva diffuso ed era stata creduta dal rabbino Koretz, lasciarono le chiavi della loro casa ai vicini cristiani, con l’aspettativa che se ne sarebbero occupati fino al loro ritorno.
Ciò che accadde alle proprietà di coloro che perirono, ovvero il 96% di coloro che furono trasferiti ad Auschwitz, è più o meno noto ed è ancora in gran parte avvolto da un velo grigio.
Alcune, pochissime, delle ‘chiavi dimenticate’ rimangono nelle case di alcuni sopravvissuti, o in collezioni private di cristiani, per ricordare aspetti di questo terribile crimine.
Ognuna di queste chiavi ‘sblocca’ anche il dramma di una famiglia che è stata spazzata via. La chiave della sinagoga distrutta di Kavala è esposta al Museo Ebraico di Salonicco.
Un mazzo di chiavi, simbolo di un’altra grande distruzione del popolo ebraico, quella della cacciata dalla Penisola Iberica seicento anni fa, è ora nella collezione di una famiglia ebraica di Salonicco.
Appartiene ai suoi antenati, che lasciarono Gordova nel 1492, perseguitati, e portarono con sé le chiavi nell’aspettativa che anche loro sarebbero tornati.

Oggi domenica 17 marzo — il primo treno della morte da Salonicco era partito il 15 marzo del 1943 e ne sarebbero seguiti altri diciotto fino all’agosto del 1943 — la città commemorerà la memoria dei suoi ebrei che furono sterminati nei forni crematori con una marcia silenziosa di ricordo da Piazza Eleftherias (Piazza della Libertà) alla vecchia stazione ferroviaria.

Testo di Stavros Tzimas, fonte Kathimerini.gr

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Conosco molto bene la Città Alta (Ano Pòlis) di Salonicco. Ho trascorso la mia infanzia e adolescenza fra le vie Raktivan e Tzinari. Avrei voluto essere oggi presente nella marcia silenziosa in memoria dello sterminio degli ebrei di questa bellissima città cosmopolita che è Salonicco. So di certo, perché ho le prove, che mio Padre ha nascosto e salvato molti, tantissimi di loro. So di certo, perché ho le prove, che mio Padre nel dopo guerra, insieme con altri antinazisti e antifascisti, ha pagato questa sua scelta con sei mesi di esilio in un’isola deserta del Mar Egeo.

So anche, perché ho le prove, dei tanti collaborazionisti greci — δωσιλογοι — di Salonicco che hanno aiutato i nazisti a compiere questo sterminio. Dopo la guerra e la guerra-civile nessuno di loro ha pagato per i suoi crimini, anzi, per lunghi anni hanno dominato la vita politica ed economica della città.

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