Larry Fink, CEO della più grande società di investimenti al mondo, BlackRock, ha messo in guardia da una “crisi pensionistica” globale. Man mano che le persone vivono più a lungo, trovano più difficile fare la giusta pianificazione finanziaria e affrontare questi costi, mentre allo stesso tempo si intensificano le pressioni sui sistemi pensionistici nazionali.

“Non c’è da stupirsi che le generazioni più giovani, i Millennials e i GenZ, provino una tale ansia per le loro finanze”, ha riconosciuto il 71enne Fink nella sua lettera annuale. “Credono che la mia generazione — i baby boomer — si sia concentrata sul proprio benessere finanziario a spese di coloro che verranno dopo di loro. E nel caso della pensione, hanno ragione”.

I giovani hanno perso fiducia nelle generazioni più anziane, ha aggiunto Fink. “Abbiamo il dovere di riconquistarla. E forse investire nei loro obiettivi a lungo termine, compresa la pensione, non è un cattivo punto di partenza”.

Infatti, come ha sottolineato Fink, se i baby boomer aiutano le generazioni più giovani a risparmiare abbastanza per il loro futuro, forse questo eviterà che diventino disillusi dal capitalismo e dalla politica. “Nessun’altra forza può far uscire più persone dalla povertà o migliorare la qualità della vita come il capitalismo”, ha spiegato.

Secondo Fink, i baby boomer che occupano posizioni di responsabilità nel mondo degli affari e della politica hanno l’obbligo di aiutare a sistemare il sistema. Allo stesso tempo, però, il CEO di BackRock ha contestato l’idea diffusa che le persone debbano andare in pensione a 65 anni. “Nessuno dovrebbe essere costretto a lavorare più a lungo di quanto desidera. Ma penso che sia un po’ assurdo che la nostra idea di base della giusta età pensionabile — 65 anni — risalga all’Impero Ottomano”, ha detto.

Secondo i dati delle Nazioni Unite citati da Fink, entro la metà di questo secolo, un sesto delle persone nel mondo avrà più di 65 anni. Nel 2019, il rapporto corrispondente era di una persona su 11. Quasi la metà degli americani di età compresa tra i 55 e i 65 anni non ha denaro nei propri conti pensionistici personali, ha aggiunto. “Il passaggio dal sistema a prestazioni definite al sistema a contribuzione definita è stato, per molti, un passaggio dalla certezza finanziaria all’incertezza finanziaria”, ha osservato.

Fonte: stampa estera


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“Se gli individui riusciranno a ricongiungersi con la loro storia, come qui abbiamo cercato di aiutarli a fare, potranno facilmente riconoscere che è economicamente sensato:
1) garantire, a chi ha contribuito per un periodo di venticinque/trent’anni alla produzione nella forma del lavoro salariato, una partecipazione adeguata ai frutti della riproduzione sociale, attraverso una pensione ancorata alla retribuzione e alle condizioni di vita divenute storicamente normali, invece che ai soldi accantonati;
2) aprire lo spazio alle generazioni anziane per altre forme di partecipazione alla produzione caratterizzate da un maggior grado di libertà rispetto al lavoro salariato, fornendo loro i mezzi economici corrispondenti, che dovrebbero aggiungersi alla pensione, invece di relegarle nei Centri anziani, o lasciarle chiuse in casa, in attesa del trapasso;
3) creare, attraverso il perseguimento degli obiettivi appena indicati – che si concretizzano ancora in spese che non puntano ad essere remunerative – alcune delle condizioni materiali affinché le nuove generazioni possano estrinsecare appieno e stabilmente le loro stesse capacità produttive;
4) consentire alle giovani generazioni, emancipate dalla precarietà, di conquistare ai propri anziani uno spazio di libertà analogo a quello che gli anziani hanno creato per loro, quando le hanno sottratte alla necessità di un lavoro precoce.
Quando gli individui si risveglieranno dallo stato ipnotico nel quale, in molti, sono recentemente precipitati, e sapranno ascoltare con orecchie disincantate le argomentazioni degli avversari della previdenza pubblica, si renderanno facilmente conto che tutti gli appelli che vengono pressantemente rivolti loro non hanno alcun legame con la situazione di fatto, e costituiscono al massimo “frasi idealizzate, illusioni coscienti, ipocrisie premeditate”.
Speriamo che affinché questo passaggio avvenga non sia necessario soffrire così profondamente come accadde tra le due guerre mondiali, quando ci volle la disoccupazione di massa e la morte di milioni di persone per scoprire che la fiducia nel laissez faire, da un lato, e nei “duci”, dall’altro, era peggiore del male. Ma se, come la crisi che si protrae da trent’anni e il collasso finanziario del 2008 lasciano intravedere, la storia si ripeterà in maniera così becera, magari sostituendo ai dittatori che si avvalevano della violenza, dei leader che fanno leva sulla propaganda suasiva o dei tecnici che nascondono la loro incapacità dietro a formule salvifiche, vuol dire che, pur nel suo inguaribile ottimismo, Erich Fromm aveva pienamente ragione quando metteva in guardia la società moderna dalla spinta, intimamente radicata negli esseri umani, ad una “fuga dalla libertà”.