“I can’t breathe”. Queste sono le parole che rendono meglio il tempo in cui viviamo. Eric Garner, George Floyd, Frank Tyson hanno detto queste parole mentre un poliziotto li strangolava. Ma tutti stiamo entrando nel ciclo del soffocamento. I can’t breathe è la frase che meglio definisce questa epoca, e l’orizzonte in cui cresce la generazione che consapevolmente si definisce ultima.
L’inferno climatico è inarrestabile, irreversibile. D’altra parte i soldi che servivano per la transizione ecologica, che già era una farsa, sono stati dirottati verso la guerra. Morire dunque di soffocamento climatico? Moriremo di soffocamento da guerra? Più probabilmente moriremo di depressione, di tristezza, e di soffocamento della sensibilità, perché l’orrore si moltiplica ogni giorno sul Mediascape. Di questa bruttezza onnipresente soffochiamo.
Disertare vuol dire anzitutto creare luoghi nei quali sia possibile sfuggire all’orrore. Ma dove sono questi luoghi?
Gli studenti statunitensi hanno trovato il coraggio di protestare, di occupare le università, di resistere alle aggressioni della polizia. Quelli europei sembrano paralizzati dalla depressione e dallo stordimento. Eppure la prospettiva della guerra è talmente vicina che farebbero bene a preoccuparsi. Il loro futuro è fottuto: la guerra sottrae le risorse economiche destinate alla finta transizione ecologica. Le bombe russe, ucraine, e i milioni di tonnellate di macerie e di bombe che ricoprono il territorio di Gaza sono la pietra tombale sulle speranze di un futuro respirabile.
Cosa aspettano gli studenti europei a occupare le università e le scuole? Cosa aspettano a organizzare la diserzione nei luoghi collettivi? Non si salverebbe l’umanità (nessuno ha più la possibilità di salvare l’umanità, questo lo sappiamo). Ma si vivrebbe insieme, con dignità e con solidarietà l’inferno che incombe. Anche all’inferno si può star bene, se non si è così soli, se non ci si odia, se non si combatte come cani. Come vivere allegramente all’inferno: questo è il tema di una poetica che sia all’altezza del nostro tempo.
Dalla Columbia alla UCLA, da Berkeley a Yale, gli studenti americani hanno capito che la vita di questa generazione è rovinata prima ancora di cominciare, e che non c’è che un modo per sottrarsi al lento soffocamento, alla schiavitù lavorativa, al coinvolgimento in una guerra demente e assassina: stare insieme, discutere della propria condizione, organizzare la resistenza, occupare i luoghi di socialità. Trasformare le città in luoghi di allegria collettiva contro il razzismo e contro l’orrore della guerra. È il solo modo per non sprofondare nella depressione, trasformandola in diserzione.
Fonte: comuneinfo
https://www.asterios.it/catalogo/tra-lingue-e-culture
Che cosa accade quando una lingua madre incontra una seconda lingua, quando nella distanza e nella separatezza dalla propria “casa-patria culturale” (nella accezione di Ernesto De Martino) si cominciano a dare nomi nuovi e diversi alle cose? Come farsi carico nell’insegnamento di una seconda lingua dei cambiamenti che producono effetti sugli investimenti affettivi e relazionali destinati a nuovi contesti?
È ciò che l’autrice narra sulla base della sua lunga esperienza di insegnante di Lingua italiana nel corso del Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti di Roma. Nei racconti l’eco della ricerca e della pratica del Movimento di Cooperazione Educativa e del “metodo naturale” con uno dei suoi assunti fondamentali: la necessità di costruire un buon clima di gruppo che non è qualcosa di astratto, ma la creazione di un ambiente di vita e di apprendimento nel quale sono garantiti a tutti il diritto all’ascolto, il diritto di parola e di espressione.