Perché non ci piace più il calcio

 

Euro 2024, che ha iniziato il 14 giugno in Germania, ha attirato un’emittente solo all’ultimo momento, mentre la Ligue 1 si ritrova con la bocca nell’acqua per la prossima stagione. Questo disinteresse rivela la profondità del divario tra lo sport universale e la sua base. Il calcio, intrappolato in una corsa a capofitto neoliberista, si è dato la zappa sui piedi.

“Il calcio è cambiato.» La formula, firmata Kylian Mbappé nel 2022, è diventata cult, tanto per la sua imperfezione sintattica quanto per l’identità del suo autore. La dislocazione fu praticata ai loro tempi da Nicolas Sarkozy e François Hollande, anche da Marcel Proust o Jean Anouilh per trascrivere il linguaggio popolare dei loro personaggi, ma per il momento questa, servita da un abile comunicatore, ha il merito della chiarezza.

Sì, il calcio è cambiato. Divenne addirittura irriconoscibile, reso informe dalla ripetizione dei colpi sferrati dai suoi carnefici. Ma cominciamo con l’ascoltare le testimonianze dei giovani, proprio per toglierci il pregiudizio della negatività del “era meglio prima”. Rayan Cherki, 20 anni, diamante grezzo dell’Olympique Lyonnais: “(Questo calcio moderno) mi spaventa. Quando vediamo la Superlega o il VAR (in francese, video assistenza all’arbitraggio)… non sono cresciuto con quello. Mi è piaciuto molto il calcio con i fuorigioco non fischiati, con gli errori e i momenti di follia. Rimarrò sempre alla vecchia maniera e voglio sempre tornare al calcio che amavo. Se chiedete a tutti i calciatori cosa li ha spinti ad amare questo sport, nessuno vi dirà i gol attesi, eh. » [1]

Per chi non ha dimestichezza con la pratica del neolinguaggio calcistico, il goal atteso è una metrica statistica che permette di valutare la qualità di un tiro e quindi il numero di goal che un giocatore o una squadra avrebbe dovuto segnare durante una partita. Un dato che può rivelarsi molto comodo per assumersi la responsabilità di una sconfitta: così, secondo il suo allenatore Luis Enrique, il PSG avrebbe dovuto vincere per 3 gol a 1 contro il Dortmund e raggiungere la finale di Champions League. Rayan, i cui riferimenti sono Zidane, Ronaldo (il brasiliano) e Ronaldinho, non parla troppo con Kylian: “Lui, attraverso la sua visione, è il gol, il gol, il gol. Allora mi dice: “stats, stats, stats”. In realtà quando ci vediamo parliamo praticamente di tutto… tranne che di calcio. » [2]

In una società piena di consapevolezza, dove il talento si misura dal numero di visualizzazioni sul web, i dati sarebbero quindi diventati una sorta di diktat, spegnendo spontaneità, audacia ed emozione. Condividendo la stessa cultura consumistica con il calcio, il rap soffrirebbe di un identico problema a sentire Malick Mendosa, alias S. Pri Noir: “Recentemente ho avuto una discussione su questo con il mixer del mio album. Gli ho detto: «Mischia con le orecchie, non con gli occhi! Non seguire i codici dati che hai imparato a scuola.»” [3] Ancora Cherki: “Hai paura di perdere la palla o di sbagliare”. E anche parlare al punto da mettersi la mano sulla bocca per parlare con il partner. Da qui la curiosa sensazione per lo spettatore di assistere sempre allo stesso incontro, nello stesso stadio, tra gli stessi protagonisti, più corridori che giocatori, intercambiabili. Non molto tempo fa, l’appassionato aveva prenotato il suo mercoledì sera perché c’era una partita. Ma ora c’è una partita ogni giorno della settimana, mese e anno, un facsimile della precedente, piena di algoritmi. Il livello atletico è innegabilmente aumentato ma il dramma è scomparso. Il tema è più serio di quanto sembri: si tratta di una rottura antropologica.

L’anomia è palpabile e le interruzioni sono dirompenti. Il calcio era lo sport popolare per eccellenza, “una preda di guerra della classe operaia contro la borghesia”, dice bene l’autore di fumetti Kris. I primi codici del gioco furono infatti scritti a metà del XIX secolo a Cambridge, in un ambiente universitario. Ma curiosamente, il calcio non vivrà la stessa traiettoria del rugby. Se nel sud dell’Inghilterra l’attività sportiva resta in gran parte riservata a un’élite, il nord, la cui vita è governata dall’industria, sta prendendo una strada completamente diversa: quella del professionismo. I capi delle grandi fabbriche creano la loro squadra e reclutano i migliori giocatori, che pagano. Ciò che segue è un affascinante movimento di appropriazione da parte dei lavoratori nel desiderio di vendetta sociale. Lo stesso fenomeno avrebbe poi colpito anche i popoli colonizzati. L’Algeria, in particolare, sarà unita a sostegno dei suoi giocatori professionisti che scelsero, nella primavera del 1958, di lasciare la Francia continentale per unirsi clandestinamente alle fila della squadra del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Anche se non riconosciuto dai vertici della FIFA, questo “undici dell’indipendenza” farà molto per la causa realizzando un giro del mondo di quasi ottanta partite.

La progressiva gentrificazione degli spalti è concomitante con un ritorno dell’attivismo di estrema destra, che gli ultras avevano proprio contribuito a respingere.

Il calcio continua a scrivere la sua storia con l’inchiostro della lotta di classe quando prospera nelle nostre periferie e permette a una generazione di guardare Gérald Darmanin dritto negli occhi. L’ascesa di una figlia di Bondy, di origine africana, allo status di star globale con redditi XXL ci racconta di un’integrazione disinibita che non deve nulla a nessuno. Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna e oltre la tangenziale scorre la speranza di un successo americano da quando le promesse repubblicane di uguaglianza e fraternità sono state pschitt. In pochi anni, e senza aspettare i Giochi Olimpici, l’Ile-de-France ha segnato il suo territorio ed esteso la sua influenza grazie al calcio: un giocatore su dieci dei cinque principali campionati europei proviene da lì.

La nazione start-up troverebbe quasi lì il proprio appartamento modello regionale. Non è senza dubbio un caso che il Capo dello Stato coltivi così tanto la sua vicinanza con Mbappé, al punto da sussurrargli ostentatamente all’orecchio sotto l’occhio della telecamera pochi minuti prima della finale di Coppa di Francia. Gli azzurri di Deschamps sono diventati quelli di Macron, scialbi vincitori della globalizzazione. Ma il sogno americano ha il suo rovescio, l’individualismo, e la matrice delle scommesse sul futuro ha il suo effetto perverso, il condizionamento della vita alla raccolta fondi. Quando oggi i campi dell’Ile-de-France vengono occupati dagli scout, cioè dai reclutatori che fanno scouting per i club professionistici, anche un ragazzino sotto i 13 anni diventa un investimento finanziario.

Il rapporto commerciale con il calcio è sempre stato una realtà ma oggi pone un nuovo paradigma: la monopolizzazione dell’oggetto per scopi puramente mercantili da parte di fanatici per i quali è un prodotto come un altro, suscitando tra gli appassionati un sentimento di spoliazione. Al di là del fenomeno di appartenenza e di identificazione, questa passione ha, infatti, a lungo incarnato per il movimento ultra un impegno politico contro il fascismo e ogni discriminazione, un attaccamento a un progetto di giustizia sociale, una forma di resistenza all’ordine borghese. Tuttavia, è chiaro che la progressiva gentrificazione degli spalti è concomitante con un ritorno dell’attivismo di estrema destra, che gli ultras avevano proprio contribuito a respingere. Dovremmo leggervi una spiegazione per la violenza ricorrente che oggi accompagna la nostra Ligue 1, dal momento che le rivolte urbane ci parlano di una divisione?

Certamente, conquistando il Santo Graal della qualificazione alla Champions League con il 15esimo bilancio del campionato, i compagni del Brest sono riusciti a piantare la loro spada nel modello “economicamente garantito” dai proprietari dei casinò. E solo per questo si sono guadagnati il ​​diritto di sedere accanto ai Cavalieri della Tavola Rotonda nella leggenda bretone. Ma la vendetta dei proletari dell’arsenale raggiunge qui i suoi limiti quando la casa automobilistica Peugeot, desiderosa di salire di fascia alta, abbandona l’FC Sochaux-Montbéliard, con il pretesto che il calcio “trasmette valori popolari”. Nel XXI secolo, sono infatti leve diverse dalla storia umana che devono essere attivate per far esistere un club.

Una tendenza dovrebbe però spingere gli impresari di pompe funebri a rivedere i propri percorsi: i giovani, chiamati domani a riempire gli spalti ma anche ad abbonarsi ai canali a pagamento per mantenere l’attuale sistema dei diritti televisivi, non si ritrovano nel calcio contemporaneo. Respinte dalla mercificazione dilagante, dall’iniquità istituzionalizzata, dalle aberrazioni ecologiche e dai grandi affari finanziari a tutti i livelli, le generazioni Z e Alpha stanno andando avanti. In altre parole, il calcio, oltre alla perdita del suo carattere popolare, sta attraversando una crisi sociale. Un uccello di malaugurio ha chiaramente colto l’attuale sepoltura: l’ex giocatore del FC Barcelona e della Roja, Gerard Piqué, convertito in uomo d’affari, già becchino della Coppa Davis di tennis, e che si vedrebbe piantare l’ultimo chiodo nella bara con la sua Kings League e la sua Kings World Cup.

Il concetto ? Una reinterpretazione del gioco nell’era dei social network. Su un piccolo campo, squadre di sette giocatori si sfidano per due periodi di 20 minuti, composte da ex giocatori professionisti, giocatori dilettanti scelti a caso e… creatori di contenuti, il cui pubblico colossale funge da cassa di risonanza. Le regole seguono i codici del gioco, in particolare con l’introduzione di un jolly capace di capovolgere improvvisamente tutto. Questa fusione tra gaming tradizionale, eSport e fantasy football ha un solo obiettivo: dare energia alle partite per creare un nuovo tipo di intrattenimento in grado di beneficiare del potere comunitario delle piattaforme di streaming.

Perché la strategia, ovviamente, è che lo spettacolo sia accessibile gratuitamente, con una moltitudine di contenuti aggiuntivi. La Spanish Kings League, la cui ultima finale si è giocata a Barcellona davanti a 90.000 spettatori! – ha così raggiunto il picco di 2,16 milioni di spettatori su Twitch, ovvero una copertura mediatica paragonabile a quella di una partita di Champions League. L’idea ora è duplicare all’infinito. Se Gerard Piqué giura sulla testa di Shakira che la sua invenzione non è destinata a sostituire il calcio ma a completarlo, vale comunque la pena notare che la prima edizione della Coppa del Mondo dei Re, che si è svolta in Messico dal 26 maggio all’8 giugno, è stata trasmessa sulla piattaforma M6+ mentre Euro 2024 era ancora alla ricerca di un’emittente per tutte le sue 51 partite. Muoviti, non c’è più niente da vedere.

Note

[1] So Foot, aprile 2024

[2] So Foot, aprile 2024

[3] So Foot, marzo 2024.

Autore: Nicolas Guillon è un giornalista. La sua giovinezza a Nantes, scandita dalle imprese delle Canarie, lo ha portato ad avvicinarsi alla professione dal lato sportivo. Per un decennio ha coperto eventi importanti come il Tour de France, la Coppa del mondo di calcio e il Superbowl, un periodo scandito da numerosi lavori sul doping. All’inizio del secolo decise di esplorare altri universi. La fine di Moulinex, di cui ha raccontato La Tribune, ha avuto un profondo impatto su di lui. Si è poi dedicato al tema della pianificazione territoriale, in particolare nella redazione di Le Moniteur, dove ha diretto per diversi anni la sede di Lille. Oggi coltivando la sua indipendenza, afferma di esercitare un giornalismo impegnato al servizio del dibattito intellettuale. Non ha mai smesso di interessarsi allo sport, che ora si diverte a osservare da bordo campo.

Fonte: AOCmedia